everything and the value of nothing.”
(Oscar Wilde – The Picture of Dorian Gray)
La difficoltà nell’affrontare la tematica del valore, cioè di fare del valore il proprio oggetto di studio, sta nella sua costitutiva ambivalenza, cioè nel fatto che tale termine/concetto contiene nella propria estensione semantica almeno due dimensioni affatto diverse, ma compresenti. Quella di esprimere una qualità positiva circa una cosa, una persona, una situazione o una condizione e quella di essere una unità di misura cioè esprime la determinazione assunta da una variabile.
Tale ricchezza semantica è testimoniata anche dalle numerose definizioni che il termine valore assume nella vita sociale. Lo schema seguente riporta in maniera sintetica le definizioni indicate in due dei più diffusi dizionari della lingua italiana il Garzanti (8 definizioni) e lo Zingarelli-Zanichelli (16 definizioni).
Come emerge chiaramente è possibile individuare quattro raggruppamenti tendenziali di tali definizioni corrispondenti ad altrettanti complessi semantici.
In primo luogo il valore rappresenta “qualsiasi qualità positiva, considerata in astratto come elemento di riferimento per un giudizio” (Garzanti, def. 4) o “ciò che è vero, bello, buono secondo un giudizio personale più o meno in accordo con quello della società dell’epoca e il giudizio stesso” (Zingarelli, def. 11).
In secondo luogo il valore costituisce la “misura di una grandezza fisica; determinazione assunta da una variabile” (Garzanti, def. 7) o “elemento associato a un elemento dato in un’applicazione” (Zingarelli, def. 12).
Vi è poi il terzo costrutto semantico, molto ampio, che comprende le numerose declinazioni che il concetto di valore assume in ambito economico, su cui torneremo tra poco.
Infine il quarto raggruppamento contiene una miscellanea di definizioni che rimandano in un qualche misura alle prime due, cioè una qualità positiva di una persona (come ad esempio: coraggio, virtù, bontà di indole, eroismo) o di una cosa (gioielli, titoli di borsa, pietre preziose, oggetti di pregio, oggetti artistici); oppure una unità di misura (ad es. prezzo, costo, intensità del colore).
La centralità che la dimensione economica ha assunto nella vita sociale delle democrazie occidentali è testimoniata dalla numerosità di declinazioni che il concetto di valore ha sviluppato in questo ambito semantico.
Vi sono qui alcune coppie terminologico-concettuali note anche nel linguaggio comune, quali valore d’uso vs. valore di scambio (di un bene), valore nominale vs. valore reale (della moneta o di un titolo di Borsa). Nonché una prima definizione in termini economici del concetto di “valore aggiunto”.
Per trattare adeguatamente questa tematica intendo sviluppare una argomentazione che prende spunto dalla riflessione teorica di J. Godbout avanzata in una serie disaggi pubblicati sulla “Revue du Mauss” ed espressa in modo sistematico nella sua opera più nota L’Esprit du don (1992).
La duplice rottura della modernità
L’autore afferma che la nascita della società moderna propriamente detta implica una duplice rottura rispetto ai legami che regolavano la vita sociale nelle società pre-moderne e feudali: i rapporti di servitù (costrizione) e i rapporti comunitari (obblighi morali). Le istituzioni che operano tale superamento sono, rispettivamente, il mercato prima e lo Stato successivamente (in specie nella versione dello Stato provvidenza o Stato sociale). Nelle società arcaica e feudale le cose (i beni) circolano inseriti nei rapporti personali, all’interno di legami comunitari diretti, personalizzati, retti da norme sociali. Il mercato introduce un capovolgimento in seno ai rapporti sociali, esso istituzionalizza dei rapporti spersonalizzati tra individui che diventano agenti neutri. Il mercato costituisce “uno spazio”, un luogo senza legami personali, in cui le cose si scambiano tra loro grazie al meccanismo dei prezzi, indipendentemente dalla volontà degli attori.
Qual è il meccanismo che fa saltare la regolazione pre-moderna? Secondo Godbout in tali società “tutto ciò che viene prodotto è destinato a qualcuno”, siamo di fronte cioè ad una indissociabilità tra atto di produzione e il suo fine, in ultima analisi la persona a cui il prodotto è destinato. Tale norma fondamentale viene meno nel momento in cui si comincia a produrre qualcosa non in quanto qualcuno l’ha domandata, ne aveva bisogno, ma per offrirla sul mercato, cioè ad una platea anonima di potenziali acquirenti. Il fine della produzione non è più l’utilità dell’utilizzatore ma quella del produttore. Fa così la sua comparsa nella storia dell’umanità il “surplus”, il mercato in tal modo “libera” dalla subordinazione personale. Tale vantaggio ha però un costo che consiste nell’introdurre nel sistema l’incertezza (circa la vendita dei beni prodotti in più). Vi è bisogno pertanto di un intermediario, tra produttore e utilizzatore, cioè di qualcuno che trovi una domanda per l’offerta. Fa così la comparsa la figura del mercante (commerciante), che assume il ruolo di punto focale del sistema, in quanto è il meccanismo chiave per l’assorbimento del rischio maggiore, quello che può mettere in crisi il sistema nel suo complesso, cioè a dire il rischio di sovrapproduzione.
Al termine di questo processo storico il senso del rapporto di produzione risulta così “capovolto” e la società è diventata utilitaristica, in quanto ha dissociato l’utilità dall’uso, sostituendo la figura dell’utilizzatore con quella del consumatore. Da questo momento un mondo di “prodotti” invaderà la società, in quanto la produzione da mezzo diventa fine in sé, dato che per ogni produttore l’obiettivo sarà quello di produrre sempre di più (anche cose inutili) senza curarsi di chi utilizzerà i suoi prodotti finali. Ciò implica la necessità di creare permanentemente bisogni artificiali per vendere i beni prodotti.
Il capovolgimento dell’ordine fine-mezzo fa sì che la produzione diventa la misura dell’utilità, cioè il fondamento del valore delle persone. Il valore di scambio ha sostituito il valore d’uso, nella determinazione della posizione reciproca delle cose tra loro e rispetto alle persone.
La modernità ha compiuto così la prima rottura, ha introdotto la prima libertà: la libertà dal rapporto di servitù tra le persone, le cose che circolano non “trasportano” più il legame sociale, ne sono “liberate”. Vi è però un secondo tipo di legame (obbligo) da cui la modernità ci “libera” ed è quello dai rapporti comunitari, ciò avviene molto più tardi grazie allo stato sociale. Fino a questo momento il rapporto mercantile riguarda solo la produzione di cose (beni) e non invade lo scambio dei servizi. Il mercato libera i singoli dalla condizione di sottomissione nei riguardi del signore, ma non dal sistema dei rapporti primari, familiari, di parentela, di villaggio.
Sarà la nascita e lo sviluppo delle Stato provvidenza che si occuperà di introdurre questa seconda “liberazione” dai legami sociali. Esso immette il dualismo produttore-utente nella sfera dei rapporti di servizio, attraverso la figura di un secondo intermediario, che svolge la funzione che il mercante assume nel sistema economico, cioè il burocrate. Il funzionario, il dipendente pubblico, rappresentano il primo passo verso un lungo processo di professionalizzazione della sfera dei servizi alla persona che divengono ora un “lavoro sociale” svolto da specialisti. La comparsa dell’intermediario, anche in questa sfera di relazioni, comporta la progressiva trasformazione di ogni legame sociale in un rapporto tra estranei.
Godbout parla con una certa ironia di questo processo di liberazione: “le donne che prima si occupavano gratuitamente dei figli e dei genitori, ora si occupano a pagamento dei figli e dei genitori di altre donne” (Ivi, pag. 201), le quali, aggiungiamo noi, a loro volta probabilmente sono occupate in professioni che riguardano il benessere dei parenti delle prime! Ciò che si perde, rispetto al guadagno in libertà individuale, è la qualità del legame, in ragione della dissociazione che si attua tra servizio reso e legame personale con il beneficiario. Il quale appunto diventa un utente, anonimo e spersonalizzato, analogamente al modo in cui l’utilizzatore era divenuto consumatore nel mercato.
Ora gli scambi tra le persone non veicolano più niente, se non dei sentimenti. È l’insorgenza del legame affettivo allo stato puro, cioè liberatosi da ogni aspetto materiale o utilitario.
Si completa così il progetto della modernità: quello di compiere una liberazione integrale dailiberi - in quanto consumatori ed utenti - di legami sociali. I cittadini sono ora liberati dalla servitù nei confronti del signore (sudditi) e dagli obblighi nei confronti della comunità (morale), sottomettersi alla legge della produzione perpetua (della crescita continua). La società, aggiungiamo noi, diventa “socializzante”, in quanto il suo scopo principale è quello di “liberarci dagli altri”.
La riduzione quantitativistica del concetto di valore
Per Godbout tale duplice rottura comporta anche un rovesciamento del significato delle parole e in particolare del termine valore, il quale subisce una riduzione semantica in senso quantitativo.
La riduzione dei valori al loro equivalente quantitativo (prezzo, somma di denaro) produce una progressiva sostituzione del valore d’uso da parte del valore di scambio, che colonizza l’estensione semantica del concetto di valore. Secondo il nostro la teoria economica non è in grado di spiegare le possibili declinazioni del significato di valore e in particolare sottostima, “nasconde”, una terza manifestazione di esso che è presente, accanto alle altre due, anche nelle società complesse altamente differenziate: quella del “valore di legame”.
Con il concetto di “valore d’uso” infatti l’economia denota la capacità (il grado) di un bene di soddisfare un bisogno (utilità) da parte di un fruitore/beneficiario (utilizzatore) e pertanto indica una caratteristica propria del bene, una sua qualità intrinseca, che lo rende unico. Laddove con il concetto di “valore di scambio” si esprime una misura quantitativa (denaro) che segnala la posizione relativa di un determinato bene nell’ambito della rete degli scambi (monetari) di oggetti. Esso è per sua natura relazionale, ma indica il rapporto tra le cose scambiate. Ora accanto a questi due modi di considerare il valore, secondo il nostro, ne esiste un terzo, anch’esso di natura intrinsecamente relazionale ma volto ad esprimere il rapporto tra le persone inserite nella relazione di scambio e non meramente il rapporto tra gli oggetti dello scambio. Si tratta appunto del valore di legame. Con esso si indica cioè che ciò che viene scambiato “vale” non in sé (valore d’uso) né in relazione ad altri oggetti (valore di scambio) ma nell’ambito della relazione tra gli attori agenti. Cioè all’interno della rete (circuito) dei legami tra i soggetti (persone), ed esso esprime precipuamente “il rafforzamento dei legami”.
Godbout apporta numerosi esempi di come le cose assumano valori diversi a seconda della loro capacità o meno di “nutrire” i legami sociali. Si tratta ovviamente di uno scambio simbolico, che contiene in sé la “memoria” della forza del legame (valore affettivo del rapporto) che lega i soggetti dello scambio (relazione). Così come il prezzo è la memoria del “valore di scambio”, la gratuità esprime il valore di legame. Esso contiene in sé il valore del tempo, che il mercato ha cancellato con l’estensione nello spazio globalizzato di un eterno presente. Nelle parole dell’autore: “il valore di legame (…) serve a dimostrarci che non siamo degli oggetti” (Ivi, p. 220).
I tre tipi di valore: valore d’uso, valore di scambio e valore di legame
Concludendo su questo punto ci preme sottolineare che il concetto di valore è un concetto complesso, che ha una estensione semantica ampia e diversificata. Esso ha una natura costitutivamente ambivalente in quanto contiene in sé almeno due declinazioni principali: “l’espressione di una qualità positiva” e di “una unità di misura”. Esso ha costituito da sempre oggetto di studio delle scienze sociali e della sociologia in particolare, che lo ha posto al centro della sua riflessione (avalutatività e razionalità rispetto al valore in Max Weber; giudizi di valore, rappresentazioni collettive, coscienza collettiva, in Durkheim).
Il processo di razionalizzazione dell’occidente ha fatto sì che esso diventasse il fulcro di una disciplina specifica: la scienza economica, la quale lo ha declinato in due significati principali: l’utilità (capacità di soddisfazione diretta ed immediata di un bisogno) = valore d’uso; e posizionamento nel sistema di scambio di beni (dimensione quantitativa – prezzo – rispetto agli altri beni e servizi) = valore di scambio. A partire dagli anni ’80 del secolo scorso un gruppo di economisti, sociologi e antropologi francesi raccoltisi attorno alla “Rivista di Mauss” e fondatori del “movimento antiutilitarista nelle scienze sociali”, ha iniziato ad elaborare un pensiero critico circa gli assiomi del pensiero economico dominante e in particolare nei confronti della sua versione neo-liberista, riformulando una serie di concetti chiave della disciplina.
Nell’ambito di questo progetto di ricerca è stata elaborata una terza declinazione del concetto di valore e cioè quella di “valore di legame”, il quale analogamente al valore di scambio è intrinsecamente relazionale (cioè non esprime una proprietà o caratteristica specifica, propria, dell’oggetto, ma ha “senso” solo nell’ambito di un circuito di relazioni, riferimenti di senso ), ma diversamente da esso non riguarda la relazione tra le cose medesime (prezzo) ma la relazione tra le persone coinvolte nello scambio (gratuità, valore affettivo, tempo).
Indicazioni bibliografiche
Colozzi I. (2006), Terzo settore e valutazione di qualità. Misurare la produzione di beni relazionali, in “Lavoro Sociale”, vol. 6, n. 3, 2006, pp. 411-419
Durkheim E. (1911), Giudizi di valore e giudizi di realtà, in E.Durkheim Sociologia e Filosofia (a cura di) Bouclé C.(1924) .
Godbout J.T. (1992), L’Esprit du don, Edition La Découverte, Paris.
Latouche S., (2004), Survivre au développement. De la décolonisation de l’imaginaire économique à la construction d’une société alternative, Vol. II Petit traité de la décroissance sereine, Editions Mille et une Nuits, Paris.
Nef – New Economic Foundation (2009), A bit Rich: Calculating the real value to society of different professions, Nef, London.
Patel R. (2009), The Value of Nothing. How to reshape Market Society and Redefine Democracy, Portobello Books, London.
Stiglitz J., Sen A., Fitoussi J-P., (2009), Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress, Paris.
Weber M. (1995), Economia e Società, Vol. I, Edizioni di Comunità, Milano.
DIZIONARIO GARZANTI | DIZIONARIO ZANICHELLI | |
1. QUALITA’ POSITIVA | 3 l'insieme delle caratteristiche e delle qualità che danno pregio a una persona, a una cosa, a una situazione, a una condizione, e che le rendono apprezzabili; 4 (estens.) qualsiasi qualità positiva, considerata in astratto come elemento di riferimento per un giudizio; | 1. complesso delle qualità positive in campo morale, intellettuale, professionale, per le quali una persona è degna di stima; 10. importanza che ha qualcosa, sia oggetti-vamente in se stessa, sia soggettivamente nel giudizio dei singoli; 11. ciò che è vero, bello, buono secondo un giudizio personale più o meno in accordo con quello della società dell’epoca e il giudizio stesso; |
2. UNITA’ DI MISURA | 7 (scient.) misura di una grandezza fisica; deter 8 (mus.) durata di una nota; | 12. (mat.) elemento associato a un elemento dato in un’applicazione; 13. (mus.) durata della nota o della pausa corrispondente; 14. con valore di, avere valore di, locuzioni che esprimono equivalenza fra due fatti, rispetto soprattutto agli effetti, all’importanza, alla funzione; |
3. ECONOMICO | 1 (econ.) caratteristica di un bene per cui esso è scambiabile con una certa quantità di altri beni (valore di scambio), o è in grado di essere utile, di soddisfare un bisogno (valore d'uso); nel linguaggio corrente, l'equivalente in denaro del bene stesso, il suo prezzo, il suo costo; valore aggiunto, differenza tra il valore dei beni o dei servizi prodotti da un'impresa e il valore dei suoi acquisti di beni e servizi; valore no valore reale, il valore effettivo, espresso in termini di moneta a pari potere d'acquisto; | 6. (econ.) a) valore d’uso: l’utilità che un dato bene ha per chi lo possiede; b) valore di scambio: quantità di un bene o di moneta che si da in cambio di un altro bene o servizio di cui si abbisogna o che si desidera: c) valore aggiunto della produzione: aumento di valore che riceve una cosa per effetto delle lavorazioni e trasformazioni alle quali viene sottoposta per renderla utilizzabile e che si ottiene sottraendo dal valore della produzione quello delle materie prime e ausiliarie impiegate per ottenerla; d) valore no |
4. VIRTU’, CORAGGIO ED ALTRO | 2 in senso concreto, tutto ciò che ha un valore definito e può essere oggetto di negoziazione; 5 coraggio, ardire, eroismo; 6 riferito a cosa, validità, efficacia; | 2. virtù, bontà di indole, natura, costumi 3. coraggio, ardimento, eroismo dimostrati nell’affrontare il nemico e nel sostenere le dure prove della guerra; 4. prezzo, costo; 5. peso purezza, taglio, intensità del colore di una pietra preziosa; 7. (al pl.) gioielli e oggetti preziosi; 8. (al pl.) tutto ciò che può essere comprato e venduto in Borsa; 9. pregio; 15. significato; 16. (al pl.) nel linguaggio della critica d’arte, gli elementi stilistici particolari di un’espressione artistica. |
Schema n. 1 – L’estensione semantica del concetto di valore
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