giovedì 6 gennaio 2011

Il fine e il compito dell’educazione

di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Cercasi un fine.
Bisogna che sia onesto. Grande.
Che non presupponga nel ragazzo null'altro che d'essere uomo.
Cioè che vada bene per credenti e atei...
Il fine giusto è dedicarsi al prossimo.
E in questo secolo come si vuole amare
se non con la politica o col sindacato o con la scuola?...
Non è più il tempo delle elemosine, ma delle scelte”.
(Don Milani & la Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, pag. 94, LEF)

Chi educhiamo? Il protagonista centrale della relazione educativa, non il destinatario o l’utente, è colui che si educa, l’educando. Educhiamo la persona umana, un essere unico, irripetibile, concreto. Educhiamo alla formazione della persona umana nella sua totalità: “l’uomo dunque, ma l’uomo singolo e integrale, nell’unità di corpo e anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà” (Gaudium et Spes 3). L’educazione non è un contratto o una concessione, ma quel rapporto che consente il processo per la promozione e lo sviluppo della persona umana. Educare è il processo che normalmente fa essere l’uomo, cioè sviluppa, manifesta e fa emergere le capacità solo implicite alla nascita. Il termine educazione deriva dal latino educationis, che a sua volta deriva da educare (della stessa radice di ducere, cioè condurre, portare e seducere che significa condurre con sé) e che significa allevare, far crescere, nutrire sia fisicamente sia moralmente. Quindi ha chiare affinità con il verbo edocere (ossia insegnare, istruire, indicare, e al tempo stesso, dare modelli cui attenersi per poter imparare, si esplica nell’organizzazione di ciò che già è dato e non nella costruzione di ciò che ancora non c’è, ma che sarebbe desiderabile che ci fosse). Nel verbo italiano educare si fonde però anche con educere, ossia ex ducere, che significa in prima battuta portar via, portare oltre, poi anche tirare fuori, trarre fuori dall’uomo sia le potenzialità positive per sfruttarle ai fini del suo miglioramento, sia i difetti per liberarsene aiutando a superarli. Questi due verbi latini hanno la stessa radice ma esprimono due sensi diversi che non devono essere confusi. Educare vuol dire infatti “far emergere”, nonostante tutti i limiti legati all’esperienza di ciascuno di noi che non ne tolgono la validità. Questo è un punto su cui non possiamo non trovarci d’accordo, perché ogni ragazzo, ma anche l’adulto, ha bisogno di essere aiutato a scoprire e riscoprire il valore di se stesso, delle cose e della realtà. Se con “far crescere” si intende la conseguenza esterna del processo educativo, anche il significato di “trarre fuori” è limitante perché evidenzia soprattutto l’azione dell’educatore. Invece è proprio non sostituendosi alla persona educanda, che questa può essere educata a conoscere, ad accettare, a tirar fuori e costruire sé, entrando in rapporto con la realtà che la circonda. E la realtà è fatta di persone, di fatti, di eventi, del presente e del passato, di cui lo stesso presente è figlio, ma anche “genitore” del futuro. L’ideologia uccide la realtà, l’ipocrisia danneggia ed educe illusioni pericolose.

Si può, pertanto, sostenere che l’educazione contempli due particolari e differenziati modi d’essere del rapporto interpersonale, promosso dall’educatore nei confronti dell’educando. Anzitutto si provvede a che le condizioni adeguate siano poste affinché la crescita interiore ed esteriore del soggetto avvenga nel migliore contesto possibile, oggettivo e soggettivo. Ma è proprio attraverso e insieme a quest’azione che, ci si adopera soprattutto a un’opportuna pratica educativa per inverare ciò che già sussiste nell’educando. Così il soggetto sente promossa, secondo una determinata linea di sviluppo, la propria crescita globale ed è aiutato a trarre da se stesso ciò che è già presente. L’educazione è quella relazione che introduce alla verità di sé e alla realtà, nel senso che da una parte propone attraverso i principi ricevuti una visione del mondo necessaria affinché la persona sappia partire dalla stessa come un metro di paragone da cui misurare tutte le altre proposte o possibilità; dall’altra si mostra adeguata risposta a quel bisogno, propriamente umano, di trovare un significato unitario al reale che permetta di rispondere delle proprie scelte, pena l’indifferenza o peggio il cinismo.

L’azione educativa deve tener conto della realtà e deve essere in relazione all’oggetto che è il soggetto educando. L’educare non è né una convenienza né una convenzione, ma la profonda convinzione interiore dell’uomo che sin dalla nascita non si fa da sé, non nasce da sé e non nasce da solo, non può crescere da solo, non può vivere da solo. L’educabilità rimane una delle potenzialità fondamentali dell’umano e non può diventare routine e abitudine, pena l’estraniarsi da se stessi e distrarsi dall’altro. Non si può pretendere di educare gli altri senza, a sua volta, essere educati. Diceva John Wilmot conte di Rochester: “prima di sposarmi avevo sei teorie sul modo di educare i bambini. Oggi ho sei bambini e nessuna teoria”. Infatti se c’è qualcosa che si desidera cambiare negli altri, si deve prima esaminare bene e vedere se non è qualcosa che bisogna cambiare in noi stessi. Lasciarsi educare ed educare se stessi è la spinta iniziale della formazione di se stessi. E’ soprattutto compito personale che non si può demandare per formare persone solide, capaci di comunicare collaborando con gli altri per il vero bene e per dare un senso alla propria vita.

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Educazione: emergenze e risposte, dei singoli, degli enti e del sistema educativo
Riflessione di Luciano Corradini
Professore emerito nell’Università di Roma Tre e Presidente emerito dell’UCIIM

Pubblichiamo questo contributo che abbiamo ricevuto sul fine e il compito dell’educazione. Lieti dell'impegno di mobilitazione sulla tematica educativa come centrale per i prossimi dieci anni, si avverte però anche il rischio che le parole si logorino, che ci si limiti a ripetere il già noto, che non si riesca a fare passi avanti nella comprensione dei problemi e nella ricerca di soluzioni efficaci e convincenti. Contro questa stanchezza preventiva si deve combattere, con impegno di analisi delle difficoltà e dei risultati ottenuti, che non sono tutti negativi come ci sembra nei momenti neri. Bisogna pensarci e parlarne fra soci e colleghi, mettendo a confronto anche le nostre esperienze, con sincerità e con discrezione.



Maritain filosofo dell’educazione: verità e libertà
di Piero Viotto
già docente di pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano e Membro del comitato scientifico dell’Institut International Jacques Maritain

Pubblichiamo questo contributo alla riflessione di Piero Viotto, grati sia per i contenuti espressi, che per l'apporto che offre ad un'associazione Centro-Studi per l'umanesimo personalista quale la nostra.
Jacques Maritain (1882-1973) rappresenta per noi un riorientamento certo verso un umanesimo che s'ispira al Vangelo. Anche il tema educativo rientra in una pedagogia che sia un sapere di tipo filosofico e non una riduzione a sorta di psicologia o sociologia applicata. Il personalismo maritainiano viene presentato come una terza via; in realtà è una vera e propria via alternativa, che non ha nulla di mediano pur accogliendone le istanza positive. Esso risponde basicamente al nichilismo societario e al relativismo etico dominanti. Infatti, per quanto conservi il richiamo a certi valori liberali e socialisti (che poi, secondo Maritain, sono valori cristiani secolarizzati), va oltre l'individualismo borghese e il collettivismo marxista, e rifiuta con decisione il loro esito immanentistico e le varie forme di totalitarismo ideologico in cui sboccano, così come il realismo maritainiano dal punto di vista metafisico e noetico si caratterizza per un organico pluralismo, in base al quale si rispettano le articolazioni della realtà e i gradi del sapere, superando gli imperialismi di tipo ontologico e quelli di tipo empiriologico. Maritain risale alla posizione ontologica di San Tommaso per cui la legge naturale si fonda sull’essere e sulla realtà, ma figlio della modernità che valorizza il soggetto, pone l’accento sui diritti e doveri, e sulla loro conoscenza per connaturalità legata allo sviluppo della coscienza morale, che l’uomo deve esercitare per conoscere la legge naturale nei singoli contesti.
Con sano realismo – mentre era attivamente impegnato a favore della nascente carta dei diritti universali dell’uomo – Jacques Maritain sottolineava come l’accordo tra mondi culturali diversi può compiersi non tanto su basi teoretiche, quanto su una convergenza pratica capace di tutelare alcuni diritti fondamentali dell’uomo. Mounier in "Il Personalismo" affermava: “Se si vuole spiegare l’umanità, bisogna coglierla nel suo vivente operare e nella sua attività globale”. Tale richiamo ha carattere non specificamente confessionale ma etico, non propriamente religioso ma valoriale, mettendo in luce ciò che nella sua radice è motivato cristianamente ma nella sua espressione è aperto universalmente. Maritain consapevole che “mentre per secoli, i problemi cruciali per il pensiero religioso sono stati innanzitutto le grandi controversie teologiche sui dogmi della fede, questi problemi cruciali verteranno (ora) soprattutto sulla teologia e sulla filosofia politica”. Per egli “un atto, il minimo atto di vera bontà, è, per dire il vero, la migliore prova dell'esistenza di Dio”. La convergenza nella società può essere quindi concepita come punto di partenza e non come punto di arrivo ideologico. Quale attualità anche per l'oggi!
Viotto ci indica come anche dentro al tema educativo Maritain analizzi i rapporti tra persona e società e afferma che l’uomo non si esaurisce nel sociale, anche se è portato ad una comunione sociale: la società è per le persone e non le persone per la società. L’educazione va riconosciuta come relazione interpersonale e il bene comune non consiste allora solo in una redistribuzione del benessere materiale, ma soprattutto nell’edificazione di una società che favorisca la promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Per Maritain lo scopo ultimo dell’educazione non può quindi essere la preparazione professionale e nemmeno l’educazione sociale, ma proprio la formazione dell’uomo. Nel saggio "L’educazione e le umanità" scrive “propongo di chiamare umanità quelle discipline che fanno l’uomo più uomo, e coltivano nell’uomo la sua natura specificatamente umana poiché gli apportano i frutti spirituali e il risultati del lavoro di generazioni e riguardano cose che valgono per loro stesse, che val la pena di apprendere per amore della verità e della bellezza“. La Populorum Progressio lo spiega così : “Se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più degli uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d'un umanesimo nuovo, che permetta all'uomo di ritrovare sé stesso, assumendo i valori superiori d'amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione”.



Sul metodo e la spiritualità dello studio
Intervento di Luca Arcangeli
FUCI Rimini

Pubblichiamo questo intervento di Luca Arcangeli della Fuci che esplicita anche metodologicamente di come educare c'entri con l'essere appassionati al vero attraverso il reale e l'impegno personale. Abbiamo già detto di come educare e sedurre abbiano punti in comune e infatti Luca afferma che "sterile è la Verità che non viene cercata con amore appassionato, breve emozione è la Carità che non si fonda sul rispetto del vero".
Poi prende spunto da Bernard Lonergan di questo appassionarsi. Infatti questo autore afferma nella prefazione originaria del 1953 di Insight, ovvero Intellezione, che "L'auto-coscienza razionale è un picco sopra le nubi. Intelligente e ragionevole, responsabile e libera, scientifica e metafisica, essa si pone al di sopra della spontaneità romantica e delle profondità psicologiche, del determinismo storico e dell'ingegneria sociale, del soggetto esistenziale turbato e dei simboli indecifrati dell'artista e del modernista. Eppure se l'uomo può scalare la vetta del suo essere interiore, può anche mancare di rivolgere l'attenzione alla possibilità dell'ascesa o, ancora, può cominciare la salita solo per perdere la sua strada. Se allora egli conosce se stesso come è di fatto, non può conoscere più che l'essere stato gettato nel mondo per essere afflitto con domande a cui non risponde e con aspirazioni che non soddisfa. Infatti, è il paradosso dell'uomo che ciò che egli è per natura è molto meno di quanto possa divenire". Per questo invita ad appropriarsi. e di considerare in tutte le sue conseguenze, il focus interiore della propria intelligenza e ragionevolezza. Esso è intellezione che non evidenzia tanto l'aspetto della facoltà dell'intelligenza, quanto quello della dinamica del processo che implica vari atti a vari livelli per conoscere e per conoscere cosa è conoscere la propria intelligenza, la propria ragionevolezza, la propria libertà essenziale e limitatamente efficace. Apprendere il focus è "guadagnare intellezione nell'intellezione, squarciare le esposizioni esterne, verbali e concettuali della matematica, della scienza e del senso comune e penetrare il dinamismo interiore della ricerca intelligente e della riflessione critica".



Commento alle riflessioni di Luciano Corradini
Intervento di Gabriele Paganelli
Responsabile Area Famiglia e Educazione
Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Bello, davvero interessante e stimolante Carlo l'intervento di Luciano Corradini, professore che non conoscevo. Nella sua brevità, tocca senza sempre soffermarsi in profondità argomenti decisivi nell'attuale dibattito educativo. Inizio con una nota critica, che ho rintracciato nel primo paragrafo, La difficile e doverosa cura educativa per le antiche e nuove malattie dell'Italia, dove le suggestive e ricche immagini non permettono a mio parere di comprendere in modo sufficientemente chiaro quali siano le antiche e nuove malattie dell'Italia. Ha parlato di inquinamento dando per scontato il terreno sociale che facilita l'insorgere di queste malattie. Io avrei approfondito meglio questo punto, ma a parte questa personale ed opinabile osservazione, è davvero un ottimo lavoro, che condivido.
Nel paragrafo Discariche e inquinamento anche di tipo psicologico e culturale è efficace aver riportato la frase del Gorgia di Platone dove è chiara la differenza fra principio di piacere e principio di bene. Freud pensa che l'educazione deve tendere al passaggio da principio di piacere al principio di realtà, Giussani spiegando il metodo della scuola di comunità sottolinea la differenza fra corrispondenza e piacere...
Mi ha colpito in modo particolare il paragrafo Trasmettere, suscitare, voci del verbo educare, laddove viene messa in evidenza la differenza fra trasmettere e suscitare e il conseguente richiamo alla dimensione educativa dell'appello che sfida la libertà di colui/colei che viene educato/a. Questo appello chiama in causa evidentemente il Rischio educativo di don Giussani.
Nel paragrafo Dal disagio vissuto a quello conosciuto: sapere per impegnarsi si parla di cittadinanza sovrana, prezioso principio che ritengo particolarmente valido, che ricorda evidentemente la Scuola di Barbiana, che aveva in questa uno dei suoi maggiori caposaldi educativi. Più avanti, dove Corradini parla di spiritualità professionale, mi fa venire in mente una persona che ritengo emerga forte e si incarni questa dimensione di spiritualità. Si tratta di Alessandro D'Avenia, un insegnante di storia e filosofia in un liceo milanese. Ha scritto circa un anno fa anche un libro, Bianca come il latte, rossa come il sangue. Il libro è meraviglioso certamente, ma conosco D'Avenia anche per alcune incursioni nell'ambito di Cl e per alcune interviste lette. Cura poi un blog fatto molto bene, www.profduepuntozero.it, dove anche lì è rintracciabile in modo evidente questa spiritualità professionale. Se desiderate, vi consiglio caldamente di andare a scoprire questa ottima testimonianza di docente di scuola secondaria.


Per una «paideia» rivolta alla persona nella sua completezza
di Maurizio Schoepflin
Insegnante di Filosofia nei Licei, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare di Roma e la Pontificia Università Urbaniana

Pubblichiamo il seguente contributo sul tema educativo. E' stato pubblicato sul settimanale delle diocesi toscane "Toscana oggi" e poi ripreso dal blog del sito del Progetto Culturale della C.E.I.
Qual è il cuore autentico dell’educazione? Tutto il discorso che l’Occidente ha sviluppato intorno alla questione educativa affonda le proprie radici nel concetto di paideia con cui la civiltà greco-classica additò l’ideale della formazione integrale dell’uomo: non solo e non tanto la preparazione alla cultura, ma la cultura stessa, intesa quale «valore» della persona umana colta nella sua interezza. Il cristianesimo dal canto suo non smentì tale concezione dell’educazione, ma piuttosto la confermò e l’arricchì, sottolineando la dimensione globale dell’azione educativa che è volta a costruire un’umanità piena.



Alcuni spunti sul perché parlare di educazione
di Erica Mastrociani
Pedagogista e Presidente Provinciale ACLI Trieste

Perché oggi parlare di educazione rappresenta una priorità? Perché si parla di crisi/emergenza educativa? Parlare di educazione significa in estrema sintesi parlare della vita. Non ci può essere educazione se non nella vita: che poi molto semplicemente significa nella quotidianità, nella concretezza del cambiare del tempo con le sue modificazioni continue. Significa quindi collocare le nostre azioni dentro un tempo, una società, una cultura, con le altre persone con ruoli, modi e strumenti che sono sempre pertinenti e specifici del tempo in cui si vive. Ogni epoca ha elaborato modi e strumenti per educare, formare e trasmettere.
Nei contesti di lingua anglosassone oramai da molti anni è stato coniato il termine Andragogia (altra faccia della medaglia della Pedagogia): inteso come la scienza e l’arte dell’educazione degli adulti con proprie modalità di intervento, metodologie, ambiti di riflessione scientifica e teorica. Così come la Pedagogia è intesa la scienza e l’arte dell’educazione dell’infanzia. Da noi questa parola non ha ancora trovato una sua divulgazione massiccia rimanendo patrimonio solo del mondo accademico e per lo più si continua ad usare il termine (forse improprio? Io ritengo di no!) di Educazione degli adulti.

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Una traccia di riflessione
di Edoardo Patriarca
Segretario del Comitato scientifico delle Settimane sociali, Consigliere del Cnel e dell'Agenzia per le Onlus

Riceviamo e pubblichiamo questo intervento che riprende due temi trattati nel documento preparatorio della Settimana Sociale: il profilo dell’autorità e l’esercizio di essa nell’avventura educativa; e la figura dell’educatore, che sia genitore, docente o volontario delle nostre associazioni. Non solo indaga alcuni snodi sui quali si giochi oggi l’agibilità di una proposta, ma anche le “esche” su cui agire, e la formazione degli educatori, soprattutto sul versante della formazione all’impegno sociale e politico.

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Educare alla vita buona del Vangelo


“Cresce lungo il cammino il suo vigore…” (Sal 82)
La parola di questo salmo ha ispirato biblicamente il cammino preparatorio al Convegno.
Fin dalle battute iniziali si è ritenuto opportuno non partire a freddo, ma aiutare le nostre comunità a prepararsi al momento della grande convocazione. In questa prospettiva sono stati pensati i due seminari preparatori: il primo si è svolto il 12 febbraio ed aveva come destinatari le comunità ecclesiali; il secondo, che si è svolto il 24 febbraio, è stato pensato come un momento di confronto e coinvolgimento di diverse realtà istituzionali che operano sul territorio con una chiara ed evidente intenzionalità educativa.
Poiché per diverse ragioni non tutti coloro che parteciperanno al Convegno hanno potuto partecipare ai seminari preparatori, è sembrato bene mettere a disposizione in forma scritta gli interventi che sono stati proposti. Si tratta di un materiale ricco che forse può essere interessante visionare nella prospettiva di arrivare al Convegno preparati.
La segreteria preparatoria del Convegno

Clicca qui sotto per scaricare i documenti preparatori e quelli del Convegno in PDF:
Introduzione:
12 Febbraio “Verso il convegno diocesano”:
Alcune testimonianze proposte durante il Seminario:
24 Febbraio “Educare in un mondo che cambia”:
Documenti del Convegno:
Conclusioni:


Confrontiamoci: Il fine e il compito dell’educazione
di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Don Milani ancora oggi ci interroga: “Cercasi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande”.
Diceva John Wilmot conte di Rochester: “prima di sposarmi avevo sei teorie sul modo di educare i bambini. Oggi ho sei bambini e nessuna teoria”. Infatti se c’è qualcosa che si desidera cambiare negli altri, si deve prima esaminare bene e vedere se non è qualcosa che bisogna cambiare in noi stessi. Lasciarsi educare ed educare se stessi è la spinta iniziale della formazione di se stessi. E’ soprattutto compito personale che non si può demandare per formare persone solide, capaci di comunicare collaborando con gli altri per il vero bene e per dare un senso alla propria vita.
A partire da questi spunti è stato lanciato dall'Area Famiglia e Educazione dell'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni un ricco dibattito su Il fine e il compito dell’educazione. Molti di noi sono riminesi ma tanti sono gli amici e i soci in Italia, i quali che ci hanno spedito dei loro contributi alla riflessione.
E' possibile accedervi andando sul sito internet dell'associazione nella particolare Area all'indirizzo: www.associazionenuovegenerazioni.blogspot.com/search/label/Famiglia e Educazione
Vi si trovano diversi e importanti contributi come quello su Educazione: emergenze e risposte, dei singoli, degli enti e del sistema educativo, riflessione di Luciano Corradini Professore emerito nell’Università di Roma Tre e Presidente emerito dell’UCIIM, ma anche Sul metodo e la spiritualità dello studio di Luca Arcangeli FUCI Rimini, che prende spunto da Bernard Lonergan o il Commento alle riflessioni di Luciano Corradini di Gabriele Paganelli, Responsabile Area Famiglia e Educazione Associazione Centro Studi Nuove Generazioni.
Presto saranno pubblicati: Una traccia di riflessione di Edoardo Patriarca, Segretario del Comitato scientifico delle Settimane sociali, Consigliere del Cnel e dell'Agenzia per le Onlus che riprende due temi trattati nel documento preparatorio della Settimana Sociale: il profilo dell’autorità e l’esercizio di essa nell’avventura educativa; e la figura dell’educatore, che sia genitore, docente o volontario delle nostre associazioni. Non solo indaga alcuni snodi sui quali si gioca oggi l’agibilità di una proposta, ma anche le “esche” su cui agire, e la formazione degli educatori, soprattutto sul versante della formazione all’impegno sociale e politico. Successivamente Educazione alla virtù: alcuni spunti di Giacomo Samek Lodovici, Docente di Storia delle dottrine morali e ricercatore in Filosofia morale presso l'Università Cattolica di Milano.
A partire dall'ispirazione cristiana si troverà anche Per una «paideia» rivolta alla persona nella sua completezza di Maurizio Schoepflin, insegnante di Filosofia nei Licei, presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare di Roma e la Pontificia Università Urbaniana, oltre al denso contributo neo-tomista Maritain filosofo dell’educazione: verità e libertà, a cura di Piero Viotto, già docente di pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano e Membro del comitato scientifico dell’Institut International Jacques Maritain. Viotto ci indica come anche dentro al tema educativo Maritain analizza i rapporti tra persona e società e afferma che l’uomo non si esaurisce nel sociale, anche se è portato ad una comunione sociale: la società è per le persone e non le persone per la società. L’educazione va riconosciuta come relazione interpersonale e il bene comune non consiste allora solo in una redistribuzione del benessere materiale, ma soprattutto nell’edificazione di una società che favorisca la promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Per Maritain lo scopo ultimo dell’educazione non può quindi essere la preparazione professionale e nemmeno l’educazione sociale, ma proprio la formazione dell’uomo.

Questi sono solo alcuni dei contributi, aspettiamo anche quelli di tanti altri che vorranno aggiungersi mandandoceli, anche se solo come brevi spunti o considerazioni. L'indirizzo mail è nuovegenerazioni@gmail.com

L'articolo è stato pubblicato dal settimanale ilPonte del 3 aprile 2011


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Famiglie in... forma
a cura delle ACLI Provinciali di Rimini
con la collaborazione del Circolo ACLI Società Libraria


Rimandiamo al sito del Circolo ACLI Società Libraria per tutti i dettagli della bella iniziativa "Famiglie in... forma" che si è tenuta fra marzo ed aprile 2001 sui temi della Famiglia e della Educazione:








Educazione alla virtù: alcuni spunti
di Giacomo Samek Lodovici
Docente di Storia delle dottrine morali presso l'Università Cattolica di Milano

Che cosa possono fare i genitori per educare i propri figli alle virtù umane e cristiane? Proviamo a vedere qualche suggerimento, senza alcuna pretesa di esaustività, e avvertendo che su ciascuno ci si potrebbe soffermare a lungo.
Le norme sono secondarie, tanto è vero che un antropologo non impara a comportarsi appropriatamente in una comunità diversa meramente chiedendo quali sono le regole del comportamento, bensì osservando ciò che le persone fanno, specialmente, osservando che cosa fanno coloro che sono stimati come modelli in quella cultura. Del resto, i casi di Budda, Confucio e Cristo ci mostrano che l’esortazione morale, in diverse tradizioni, avviene proprio additando degli uomini esemplari da imitare. E la virtù della saggezza-prudenza (che non è la mera cautela-circospezione) è appunto la capacità di discernere il bene in una situazione concreta specifica.
Ancora, si fa leva sul desiderio di libertà, ma la vera libertà non consiste nella trasgressione, bensì nello scegliere il bene. Infatti, la scelta del male è un atto libero all’inizio, però diminuisce la libertà: diventa, gradualmente, un atto sempre meno libero, fino a diventare, alla fine, in certi casi, un atto non più libero. Ciò dipende dal fatto che la ripetizione di atti malvagi ingenera nell’uomo dei vizi, cioè delle disposizioni, delle propensioni a compiere determinati atti malvagi, e queste disposizioni indeboliscono la nostra libertà. Per esempio, compiendo atti di viltà diventiamo sempre meno capaci di essere coraggiosi, agendo da avari diventiamo sempre meno capaci di essere generosi, se ripetiamo atti di pigrizia o di lussuria diventiamo sempre meno capaci di essere laboriosi e temperanti, ecc. Chi asseconda tutti i suoi istinti ed i suoi impulsi finisce in loro balia, diventa loro schiavo (cfr. già Socrate, Platone e Aristotele).

Clicca qui per scaricare il contributo del professor Lodovici

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Su questo tema vedi anche, sul nostro sito, l'articolo "Chi educa chi? Ovvero giovani specchio della nostra società ".

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