venerdì 29 aprile 2011

Chi educa chi?
Ovvero giovani specchio della nostra società

a cura di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Questa è la domanda che affligge ognuno di noi a partire da se stessi. Si può far finta di niente invece di conoscersi per educare. Ma l’occhio vuol vedere e non solo guardare, l’orecchio vuole ascoltare e non solo sentire, il piede vuole camminare e la mano prendere e non solo muoversi. Anche il cuore vuole amare e credere e lo spirito pensare, anche a costo che l’oggetto sia il nulla, di dare la parvenza di far niente, di rendere normale l’ordinario che è invece straordinario. Educare è divenuto un verbo accantonato dall’invenzione dei miti proposti dalla società. Sta diventando normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta, come se non ci fosse nessuna implicita domanda da educare. Ma se non sappiamo da dove veniamo, non sappiamo dove andiamo e il senso di quello che facciamo.

Ci alziamo la mattina, ma già quell’atto ha un suo scopo. La vita che comincia, ogni vita, ha il suo scopo, giorno dopo giorno, e si protende allo scopo ultimo. L’io, il nostro io è il crocevia tra l’essere e il nulla. Non scegliere è già una scelta, non aiutare a scegliere è anch’essa già una scelta che ha sempre le sue ripercussioni a partire da se stessi. Io sono educato ed educo, tu educhi e sei educato, egli educa, la famiglia educa e si educa, la scuola istruisce ma educa, il lavoro e la chiesa educano, il sindacato contratta ma educa, le imprese e le associazioni educano, la politica e la società si dovrebbero educare ed educano, Dio educa il suo popolo di persone. E invece è stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere. Se mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, con la conseguenza che la libertà è messa a rischio fino a scomparire. L’istruzione e la formazione permanente sono un diritto, ma l’educazione è un dovere. Infatti non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di  una generazione di adulti di educare i propri figli e di educarsi. E’ necessario ricomprendere il significato e la portata di questa vera e propria sfida. Perderla significa decostruire la propria identità, assolutizzare se stessi e cosificare gli altri. Questo vale sia per i giovani che per gli adulti, perché è la persona in quanto tale, nelle sue relazioni, che diviene generatrice di popolo, e quindi di storia. Questa emergenza non si affronta limitandosi a scaricare le colpe degli insuccessi vicendevolmente fra coloro che hanno responsabilità educative, né tanto meno avendo un atteggiamento rinunciatario. E’ necessaria invece la feconda prospettiva di un “patto educativo” non astratto né spontaneistico, che rispetti nelle differenze la missione affidata per una responsabilità che si condivide insieme, mettendo al centro di tutto l’unicità della persona verso cui tutti  gli attori e tutte le relazioni devono essere “sussidiarie”. Dice un proverbio africano: “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, ma anche per “far crescere” se stessi e per chi vuole “far crescere”. Formare le coscienze quindi non è impresa di poco conto, perché essa è il centro e il futuro della vita individuale e sociale. Consapevoli o no, nel bene  o nel male, comunque tutti quanti educhiamo attraverso le scelte che facciamo o come ci poniamo di fronte alle situazioni. 

Se famiglia, scuola e società non sono portatrici di valori sostenibili, formare le coscienze non rischia di essere una violazione delle stesse? L’adolescente, prima, il giovane e l’adulto poi, non hanno diritto a essere aiutati a costruire una propria coscienza critica? La nostra società a quale modello di uomo sta educando?

Lo spiega bene l’ottavo Rapporto Nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza del 2007, che ha per titolo “I figli padroni”. Questo Rapporto è curato da Eurispes e Telefono Azzurro all'interno del mondo scolastico coinvolgendo 52 istituti di ogni ordine e grado, in cui i bambini e i ragazzi hanno risposto a un questionario.


1 commento:

  1. Caro Carlo, con quell'articolo "Chi educa chi ?" Ovvero giovani specchio della nostra società, credo tu abbia colipito nel segno. L'argomento è stato tenuto (e viene ancora tenuto) ai margini del discorso sociale perchè tanta è la diffusa paura di analizzarlo a fondo e trarne valutazioni e conseguenze. Vero è che da troppo tempo e per troppo tempo (è una autocritica), abbiamo, noi "operatori sociali" predicato e orientato ai diritti, ma abbiamo lasciato in ombra i doveri. Anche quando sapevamo bene che il connubbio diritti-doveri è la base della convivenza civile e della stessa democrazia. Forse è giunto il momento di rimboccarci, tutti, le maniche e non fermarci a raccogliere solo i cocci .
    Complimenti! Una coscienza critica è quello che ci vuole in tempi come questi!
    Cordialmente.

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