martedì 29 giugno 2010

Riflessioni 2010 - Uscita al Polo Lionello Bonfanti


Sabato 26 giugno, a conclusione della Rassegna, si terrà

"Uscita al Polo Lionello Bonfanti",
per la quale è necessario iscriversi per poter partecipare.

Programma giornata:

Ore 7:45 Partenza da Piazzale Boninsegni a Rimini

Ore 10:30 – 12:30 Seminario su Economia di Comunione e Polo Lionello
Prof. Luigino Bruni: Professore Associato di Etica ed Economia presso l’Università di Milano – Bicocca, Vicedirettore di Econometica, centro interuniversitario di ricerca sull’etica di impresa, si occupa di economia sociale, di storia del pensiero economico ed è stato tra gli ideatori dell’economia di comunione.
Dott. Paolo Maroncelli: Amministratore Delegato società E.diC.
Dott.ssa Eva Gullo: Presidente società E.diC.

Ore 13:00 Pranzo
Ore 14:30 Presentazione del Polo Lionello, tavola rotonda con imprenditori del Polo
Ore 15:40 Coffee-break
Ore 16:00 Visita guidata alle aziende del Polo
Ore 17:00 Conclusione
Ore 20:30 Arrivo a Rimini

Uscita per incontrare l’esperienza di innovazione economica/imprenditoriale e di coesione sociale territoriale del Polo Lionello Bonfanti, tra le espressioni tipiche dell’Economia di Comunione.
Sorge in località Burchio, Incisa in Val d’Arno (FI), nei pressi della cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, Loppiano, della quale è parte integrante. Ospita diverse aziende italiane di svariati settori: tessile, artigianale, impiantistico e alimentare, il poliambulatorio “Risana” in costante crescita, oltre che studi professionali di consulenza fiscale e amministrativa, servizi assicurativi, informatici, di formazione aziendale. E' punto di convergenza, luogo di scambio di idee e progetti, offerta di servizi per le oltre 200 aziende italiane.
Economia di Comunione è un progetto che coinvolge imprese dei cinque continenti. Gli imprenditori che liberamente aderiscono al progetto, decidono di mettere in comunione i profitti dell'azienda secondo tre scopi:
- Aiutare le persone in difficoltà, sovvenendo ai bisogni di prima necessità a partire da quanti condividono lo spirito che anima il progetto e creando nuovi posti di lavoro;
- Diffondere la “cultura del dare”, dell’amore, senza la quale non è possibile realizzare un’Economia di Comunione;
- Incrementare lo sviluppo dell’impresa.
L'EdC nasce da una spiritualità di comunione, vissuta nella quotidianità; punta sulla forza della cultura del dare per cambiare i comportamenti economici; coniuga efficienza e solidarietà.
Il progetto ha avuto una eco immediata non solo in America Latina dov’è stato lanciato, ma anche in tutti i continenti. Diversi imprenditori hanno reimpostato la gestione delle proprie aziende e soprattutto ne hanno costituito di nuove, improntate allo spirito di Economia di Comunione. A tutt'oggi partecipano al progetto 778 imprese di varie dimensioni: 230 in America Latina, 486 in Europa, 47 in Asia, 9 in Africa e 6 in Australia. Le imprese italiane EdC sono 255.
Scopo del Polo imprenditoriale Lionello Bonfanti è dare visibilità al progetto EdC, predisponendo aree necessarie all’installazione di imprese italiane aderenti al progetto nei pressi della cittadella di Loppiano, sostenendo la nascita e lo sviluppo di tali imprese e tutelandole nella fase di avviamento.
L’attività di sostegno alle aziende avviene anche attraverso: Corsi e convegni dedicati alla formazione imprenditoriale e allo sviluppo dell’aspetto culturale dei principi di EdC; Prestazioni di servizi contabili, amministrativi, organizzativi per le aziende del polo e per la loro clientela.

mercoledì 23 giugno 2010

Fiducia e partecipazione nelle aziende EdC

di Maria-Gabriella Baldarelli
Professore associato di Ragioneria e di Etica e Impresa - Università di Bologna – Istituto Univ. Sophia (Fi)

Riflessioni per "Uscita al Polo Lionello Bonfanti".

Essere imprenditori EdC significa diventare responsabili di un sogno: quello di sollevare situazioni di povertà vicine e lontane. Questo ha portato alla “riorganizzazione” di aziende già esistenti ma soprattutto alla costituzione di nuove aziende, animate da questa ultima finalità ed allo stesso tempo, con l’obiettivo di raggiungere anche il profitto.
Ciò ha ripercussioni notevoli all’interno della governance aziendale, in cui il ruolo del manager singolo lascia spazio, in queste aziende, ad una figura corale di manager, in cui ognuno ha il suo ruolo “attivo” ed è coinvolto nella gestione dell’azienda. Infatti il manager dell’azienda EdC è colui che coinvolge e incentiva le persone che gestisce attraverso l’ascolto e la condivisione delle esperienze umane ed aziendali. Ciò contribuisce a far scaturire al meglio la creatività e l’autocontrollo.
Inoltre l'azienda EdC, acquisisce la capacità di condividere, con coerenza e fiducia, la propria esperienza aziendale con altre aziende, interne o esterne al progetto, per riuscire a sopravvivere ed a svilupparsi. Infatti la governance di un'azienda, che ha alla base la comunione come valore portante, permette non solo di trasmettere la fiducia e quindi creare un capitale di relazioni all'interno dell'azienda a tutti i livelli, ma permette soprattutto di diffondere fiducia all'esterno, anche nel momento in cui si trova di fronte a scelte che orientano in maniera incontrovertibile il futuro dell’azienda.
Il processo decisionale riguardante le scelte più difficili e di più ampio respiro, inizialmente è complicato da una serie di incontri preliminari, che permettono di chiarire bene le diverse posizioni ma anche il grado di collaborazione che si è disposti a dare. Tale modalità di azione però non è effettuata per allungare volutamente le procedure decisionali del vertice strategico, quanto per sottolineare che le decisioni vengono prese insieme, nel rispetto di ciascuna persona: socio, dipendente o collaboratore.
Perciò i problemi decisionali inizialmente più complessi, tendono a diminuire di intensità nei successivi processi decisionali, con maggiori possibilità di delega più ampia nel pieno rispetto dei valori umani. Quindi l'irrazionalità inizialmente perpetrata, ritorna in seguito anche come convenienza economica, che si esprime attraverso lo snellimento delle procedure ed una più consapevole responsabilizzazione delle persone che lavorano in azienda.
Inoltre si può parlare di "etica relazionale", cioè di un'etica che si accresce attraverso la relazione, che, di per sé, non modifica significativamente l’organizzazione aziendale ma agisce sulle qualità decisionali attraversando trasversalmente a tutti i livelli organizzativi. Inoltre la fiducia, che si diffonde in azienda, espleta i suoi effetti anche all'esterno e questo comporta l'agevolazione delle relazioni con tutti gli attori del mercato.
Da ciò deriva che nelle relazioni inter-aziendali, nazionali ed internazionali, l'etica si diffonde anche alle reti di aziende e, se è presente una base etica comune, come nel caso dei Poli industriali EdC, la rete diventa portatrice essa stessa di valori dove la dignità e la centralità della persona ne sono considerati i capisaldi.
Infine la presenza attiva di persone che "dipendono" per la loro sopravvivenza e per il loro sviluppo, da quella terza parte di utili delle aziende del progetto, innesta un meccanismo di coesione, che coinvolge reciprocamente e in maniera multi direzionale tutti i soggetti interni all'azienda, cioè: i soci, gli amministratori, i dirigenti, i quadri, il personale, ecc.
Questo permette lo sviluppo e la diffusione di un controllo reciproco, non con l'ottica punitiva, ma sempre nell'intento di migliorare insieme le proprie prestazioni. Si è cioè più attenti all'operare dell'altro e quindi le situazioni di indigenza, che vengono sollevate, sviluppano un controllo, anche se "a distanza”.
Perciò si attiva un nuovo circuito virtuoso che funge da base per la creazione e la diffusione della conoscenza, che, combinato alla partecipazione attiva alla gestione, trasforma progressivamente dal "di dentro" le aziende e permette loro il raggiungimento di vantaggi economici e sociali notevoli.

giovedì 10 giugno 2010

Riflessioni 2010 - Seminario IV - Responsabilità sociale e territorio



Mercoledì 9 giugno, alle 18 nelle Aule 13 e 14 del complesso Alberti, del Polo riminese dell’Università di Bologna (via Quintino Sella 13) si terrà il seminario dal titolo "Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?”.

Relatori
Prof. Giacomo Samek Lodovici: Docente di Storia delle dottrine morali presso l'Università Cattolica di Milano.
Prof. Leonardo Becchetti: Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”.

Intervento
Dott. Maurizio Temeroli: Segretario Generale Camera di Commercio di Rimini

La società e le imprese devono trovare una via di uscita dalla crisi, sapendo cogliere le dinamiche e le trasformazioni economico-sociali nella nostra epoca, per dare nuove risposte. In contrasto solo apparente con i processi di globalizzazione cresce infatti la rilevanza delle economie locali: vantaggi competitivi essenziali dipendono non solo dalle qualità dell'impresa, ma anche da quelle del territorio che la ospita, dalle Istituzioni e dalle competenze che lo distinguono.
L’obiettivo è quello di contestualizzare la riflessione economica a partire dai sistemi locali, favorendo la conoscenza e la promozione di quelle iniziative ed occasioni di crescita del territorio a partire dalla valorizzazione ed integrazione delle risorse localizzate unendo azione, pensiero e coesione sociale.
In particolare, questo seminario è organizzato in collaborazione con l’Associazione Figli del Mondo che annualmente organizza un incontro pubblico sulla responsabilità sociale approfondendone e confrontandosi sulle motivazioni della pratica. Il tema generale dello sviluppo locale in questo seminario si declina sul concetto di distretto economico responsabile. L'approccio che caratterizzerà l’incontro sarà incentrato sul tentativo di promuovere concretamente buone prassi e progetti che valorizzano forme collaborative con stretta aderenza alla "civiltà dei luoghi", per riprendere un concetto di Becattini. Ovvero: come le imprese locali, la comunità civile e la politica possono collaborare per costruire il futuro e uno sviluppo sostenibile.
Rivedere il modello di sviluppo significa collaborare tutti per l’innovazione e la crescita del territorio. Diventa quindi necessario riscoprire il ruolo e la necessità delle virtù nell'ambito pubblico (come fondamento della società), ma a partire da quello privato che, peraltro, ha sempre un risvolto comune.
L’impresa non è più la sola a dover essere responsabile. Alla tradizionale responsabilità sociale d’impresa si affianca un nuovo tipo di responsabilità sociale definita ″territoriale″, che riguarda non solo le imprese ma anche le istituzioni pubbliche e le altre organizzazioni della società (profit e non profit), e quindi ogni persona che vive in un determinato territorio. Ciò permette di qualificare la rete di imprese come contrassegnata da una buona dotazione di capitale sociale e di passare da una responsabilità singola e/o individuale a una responsabilità collettiva nell’obiettivo di intraprendere un percorso comune dove le giuste istanze economiche siano coniugate con le attenzioni sociali e ambientali nell'ottica di uno sviluppo sostenibile.

 

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mercoledì 9 giugno 2010

Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?

di Maurizio Temeroli
Segretario Generale della Camera di commercio di Rimini

Riflessioni per seminario "Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?”.

Porre il tema della responsabilità sociale alla base dello sviluppo di un territorio è un’opzione sostenibile sempre e costituisce per altro un’antidoto contro le crisi, come i fatti di questi ultimi due anni ci insegnano. Infatti, quella che stiamo attraversando, è una crisi di valori sul modo di fare impresa: una crisi generata dall’impresa basata sull’ingegneria finanziaria, che ha come obiettivo quello di fare soldi unicamente girando altri soldi. L’impresa vera, invece, è quella che produce beni e servizi generando ricchezza e benessere sociale.

Centrale quindi è il concetto del ruolo dell’impresa nella società. Un ruolo importante perché l’impresa non è un’isola ma una fonte di relazioni con diversi soggetti che ne determinano anche il profilo competitivo sul mercato. E questo è tanto più vero per il modello culturale italiano caratterizzato dall’ impresa diffusa sul territorio.
L’impresa socialmente responsabile è attenta al profitto (senza il quale non si genera sviluppo economico e benessere) ma è convinta che il profitto non sia il fine ultimo ma il mezzo attraverso il quale si raggiungono gli scopi veri di fare impresa:
dare continuità all’attività innovando e adeguandosi alle mutate esigenze del mercato; generare lavoro di qualità per i propri dipendenti;
partecipare alla crescita e allo sviluppo del territorio nel quale è collocata;
rispettare e valorizzare l’ambiente;
assicurare prodotti di elevata qualità ai propri clienti;
garantire ai fornitori un puntuale rispetto degli impegni; ecc.

Quindi responsabilità sociale d’impresa anche come risposta alla crisi.
Non credo infatti che la risposta alla crisi stia nella decrescita, come alcuni sostengono (partendo dal concetto che il mercato sia incapace di autoregolarsi). Sarebbe una rinuncia a realizzare il vero obiettivo che deve essere quello di uno sviluppo economico sostenibile, cioè capace di generare benessere per tutti i cittadini.
In altri termini la responsabilità sociale d’impresa deve essere vista come:
• non un ulteriore costo da sostenere ma un’opportunità di crescita;
• efficace contrasto agli effetti negativi della globalizzazione rappresentati dal disancoramento dell’impresa dal territorio e quindi dall’indebolimento del proprio ruolo etico e sociale;
• non semplice rispetto delle regole (non è solo “class action”) ma impegno attivo a produrre benessere diffuso.

Come Camera di commercio di Rimini, partendo da questi presupposti, a partire dal 2004, ci siamo mossi su tre livelli:
1. sviluppare la cultura della responsabilità sociale d’impresa (anche attraverso una contaminazione positiva tra mondo del profit e del non profit);
2. passare dal concetto di responsabilità sociale (individuale dell’imprenditore e della singola impresa) a quello di responsabilità sociale del territorio (collettiva) attraverso la creazione del “distretto economico responsabile”;
3. cominciare a pensare a prametri e indicatori che coniughino sviluppo economico e benessere dei cittadini.

1. Sviluppo della cultura della RSI
Dal 2004 attraverso la collaborazione con l’associazione “Figli del mondo” abbiamo creato decine di occasioni di incontro con numerose imprese del territorio: in 5 anni, dal 2004 al 2009, oltre 800 partecipanti, 110 imprese coinvolte.
Abbiamo creato un tavolo di confronto con le associazioni di categoria; prodotto materiale informativo; organizzato seminari tematici (gestione risorse umane, rapporto con l’ambiente, rapporto con il non profit, ecc.); partecipato al premio “Sodalitas”(la provincia di Rimini dopo quella di Milano è quella con il maggior numero di premi).

2. Creare il “distretto economico responsabile”
E’ l’obiettivo del progetto “percoRSI” cominciato nel 2008 e giunto quest’anno al suo terzo anno di attività.
L’idea si basa sul coinvolgimento non solo delle imprese, che rimangono comunque interlocutori fondamentali, ma anche di altri soggetti che operano sul territorio e che si impegnano, seguendo l’esempio di testimonials dello stesso ambito, a seguire delle buone prassi che, complessivamente, cominciano a delineare un atteggiamento diffuso di attenzione e applicazione attiva ai temi della responsabilità sociale.
Abbiamo coinvolto: imprese, associazioni di categoria, associazioni del non profit, ordini professionali, università, scuole, banca etica, istituzioni locali.

Con le scuole secondarie di 1° e 2° grado, in particolare, stimo portando avanti, in collaborazione con le associazioni di categoria più rappresentative a livello provinciale, un progetto dal titolo “la città dei mestieri: un ponte tra scuola e impresa” che in questo anno scolastico appena terminato ha coinvolto 14 scuole, 3800 studenti e 165 moduli didattici.
Con l’utilizzo di diverse tipologie di intervento (visite aziendali, stages, lavori di classe, ecc) il mondo dell’impresa e quello della scuola vengono a contatto attraverso la mediazione di imprenditori che volontariamente parlano del loro lavoro e della loro esperienza umana e professionale.

La motivazione che sta alla base di questo impegno della Camera di commercio è la convinzione che la competizione si misura sempre più a livello dei territori e che il modello italiano di coesione sociale, basato sulla piccola e media impresa e su un forte radicamento territoriale, possa essere vincente tanto più si ispira a comportamenti diffusi eticamente responsabili.

+ RESPONSABILITA’ SOCIALE= + COMPETITIVITA’= +PROFITTO=+BENESSERE PER I CITTADINI

Si tratta di far convergere soggetti e interessi che non sono affatto contrastanti, come spesso può apparire, per accrescere il capitale sociale, oltre che economico, della nostra comunità:

pubblico/privato
impresa/lavoro
profitto/consumo
ricerca/applicazione
sviluppo/ambiente.

Da sottolineare che nel territorio riminese, che ha fatto dell’ospitalità la propria principale vocazione, tali temi assumono un significato ancora più rilevante.
La vision del Piano Strategico di Rimini e del suo territorio, appena approvato, è “Rimini, terra di incontri”

Il progetto della Camera di commercio “percoRSI 2010”, affidato alla realizzazione dell’associazione “Figli del mondo”, è l’evoluzione del progetto dei primi 2 anni e prevede la realizzazione di laboratori (vedi locandina).

3. Sviluppo economico e benessere dei cittadini
Un atteggiamento di responsabilità sociale è anche quello di promuovere uno sviluppo economico che si trasformi in benessere per tutti i cittadini e non solo per pochi.
In una situazione di crisi economica come quella che stiamo vivendo (il PIL dell’Italia del 2009 e tornato a livello di quello del 2000 e quello della provincia di Rimini al livello del 2005/2006) è ancora più importante affiancare agli indicatori economici classici altri parametri che identifichino meglio il benessere dei cittadini (quello che si definisce tra serio e faceto il BIL, benessere interno lordo).
I dati economici ci dicono che lo sviluppo economico (inteso come incremento della ricchezza prodotta) non si trasforma tutto in benessere dei cittadini: dati abbastanza recenti rivelano che in Italia l’aumento del benessere è stato pari al 23% della crescita complessiva, al 28% in Emilia Romagna e al 30% a Rimini. E’ come se avessimo una macchina con due velocità.
E’ necessario quindi spingere anche su altri fattori che, nel loro insieme, definiscono quello che viene chiamato capitale territoriale, composto dal capitale naturale: territorio/ambiente/patrimonioculturale-artistico/popolazione;
capitale tecnico: rappresentato dai risultati ottenuti in termini di innovazione, internazionalizzazione, turismo, organizzazione d’impresa, ecc.
capitale umano: conoscenze della forza lavoro
capitale sociale: sicurezza, assistenza sanitaria, cooperazione, non profit, associazionismo, volontariato,ecc.
Per ciascuna forma di capitale i territori delle province italiane sono stati classificati e, alla fine, riassunti in un indice di sintesi che è appunto il capitale territoriale: 5 gruppi di province che dividono l’Italia in aree più sviluppate (maggior coerenza tra sviluppo economico e benessere dei cittadini) e aree in difficoltà.

martedì 8 giugno 2010

La Responsabilità Sociale d'Impresa: verso un Distretto Economico Responsabile nella Provincia di Rimini

A cura dell’Ufficio Studi di Camera di Commercio di Rimini
Dal Rapporto sull’Economia della provincia di Rimini 2009-2010

Riflessioni per seminario "Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?”.

Fin dal 2004 la Camera di Commercio di Rimini si è dedicata ad alcuni progetti tesi a diffondere la cultura della Responsabilità Sociale d’Impresa, nella convinzione di poter contribuire a uno sviluppo “di valore” del territorio della provincia di Rimini. Alla base di questo impegno c’è l’idea che lavorare in rete con le associazioni di categoria, le imprese, gli ordini professionali e tutti gli altri soggetti interessati al tema, pubblici e privati, ponga basi solide per la costruzione comune di un DISTRETTO ECONOMICO RESPONSABILE che unisca crescita economica, coesione sociale e tutela ambientale.
La Camera di Commercio di Rimini ritiene che il miglioramento e l’implementazione dei comportamenti responsabili possa, nel tempo, produrre importanti risultati in termini di innovazione, competitività e sviluppo del territorio e per questo considera importante continuare il lavoro intrapreso negli ultimi anni anche in futuro.
Lo sviluppo territoriale, infatti, non può prescindere dal concetto di rete e il coinvolgimento di soggetti diversi è fondamentale per la riuscita di qualunque percorso di sviluppo economico e sociale. Ciò presuppone che organizzazioni diverse stabiliscano parametri comuni e perseguano obiettivi condivisi per il miglioramento del territorio. La Camera di Commercio di Rimini sta lavorando per costruire una piattaforma di valori diffusi, per appoggiare comportamenti cooperativi e per promuovere pratiche e azioni compartecipate rivolte alla nascita del Distretto Economico Responsabile.

IL PROGETTO “PERCORSI DI RESPONSABILITA’ SOCIALE 2009”
Il fulcro dell’impegno in tema di RSI di Camera della Commercio di Rimini è PercoRSI, un progetto pluriennale nato da una convenzione con l’associazione di promozione sociale Figli del Mondo che come mission ha proprio l’obiettivo della sensibilizzazione del mondo economico locale ai temi della responsabilità sociale. PercoRSI vuole creare una rete di soggetti che si interrogano su nuovi modelli di gestione sostenibile, per poi supportarli e accompagnarli nella sperimentazione e diffusione di azioni responsabili. La costruzione di un Distretto Economico Responsabile è un processo in evoluzione e per questo PercoRSI ha affrontato negli anni il tema della responsabilità sociale in modo graduale: da una fase informativa a una formativa e di approfondimento, fino a un approccio più operativo e pratico. Dalla prima edizione sono aumentati anche i soggetti coinvolti e il progetto è attualmente sostenuto dalle principali Associazioni di Categoria attive nel territorio riminese (Confindustria, CNA, Confartigianato, API, Legacoop, Confcooperative, Associazione Italiana Albergatori Rimini, Confagricoltura), da due consorzi (Consorzio Sociale Romagnolo e Consorzio Piccoli Alberghi), dall’Ordine dei commercialisti e dei revisori contabili, dall’Università di Bologna–Polo di Rimini, dall’Ucid (Unione Cristiana Imprenditori e dirigenti), oltre che da tante imprese che hanno partecipato alle varie iniziative proposte.

LE ATTIVITA’ IN DETTAGLIO
PercoRSI 2009 ha previsto alcuni incontri tematici rivolti alle imprese sui temi specifici della Responsabilità Sociale. Il primo incontro, intitolato Creare alleanze sul territorio per il sostegno allo sviluppo socio-lavorativo in progetti non profit si è focalizzato sul tema della creazione di relazioni tra mondo profit e mondo non profit e sull’impegno sociale dell’impresa nei confronti della comunità locale e internazionale. Lo scopo era quello di cercare di creare alleanze per lo sviluppo socio-lavorativo in cooperazione internazionale e per l’esternalizzazione delle commesse lavorative nei confronti di cooperative sociali di tipo B. Nel secondo appuntamento, Governare responsabilmente le imprese in tempo di crisi, si è riflettuto su modelli di gestione aziendale che integrano al proprio interno il tema della responsabilità sociale e su come tali modelli possano risultare vincenti o, perlomeno, possano offrire soluzioni per affrontare anche periodi di crisi. Infine, il terzo incontro è stato dedicato a Il risparmio energetico nei comportamenti quotidiani dell’Eco-Ufficio, per riflettere sul tema della tutela ambientale e sulle politiche di risparmio energetico ed economico, e sottolineare come sia importante, nella gestione quotidiana degli uffici, compiere scelte responsabili e sostenibili relativamente ai rifiuti, alla salute e all’energia.
Parallelamente agli incontri tematici per le imprese, all’interno di PercoRSI 2009, si sono svolte anche sessioni che hanno coinvolto interlocutori diversi. Ad esempio, La Città dei mestieri: un ponte tra scuola e impresa è un progetto specifico, sempre promosso dalla Camera di Commercio di Rimini e realizzato con la collaborazione di alcune associazioni di categoria, per agevolare il raccordo tra il mondo della scuola e quello del lavoro, per favorire il processo di orientamento dei ragazzi durante la scuola dell’obbligo e contribuire ad allargare le possibilità di lavoro per i ragazzi, aiutandoli anche ad allontanarsi dagli stereotipi spesso legati ad alcune professioni e concorrendo così a colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro. Un’altra attività è stata realizzata dall’Ordine dei commercialisti e dei revisori contabili con la partecipazione della Facoltà di Economia dell’Università di Bologna – Polo di Rimini, e ha previsto un tavolo per l’elaborazione di un Bilancio Sociale Semplificato da proporre alle Piccole e Medie Imprese. Il bilancio sociale, in quanto strumento di rendicontazione etico-sociale, può ridurre l’asimmetria informativa esistente tra l’impresa e i suoi stakeholder e può migliorare la qualità delle relazioni con questi ultimi e, di conseguenza, la performance aziendale. Tuttavia, le tecniche e gli standard individuati fino ad ora per la sua stesura sono caratterizzati da una grande complessità e da indicatori e parametri pensati per imprese di grandi dimensioni che risultano inadeguati per la rendicontazione sociale delle piccole e medie imprese.
Il gruppo Commercialisti/Università ha dunque lavorato per progettare uno strumento più semplice e fruibile utilizzabile per esprimere l’impegno e le azioni di responsabilità sociale attuate dalle PMI. Un’ultima attività ha visto come protagonisti alcuni avvocati riminesi, riuniti in una riflessione e nella sperimentazione sul tema dell’avvocatura responsabile. Nel corso dell’anno, contestualmente a questa attività, si è costituita l’Associazione Avvocati Solidali, che si propone di assicurare assistenza legale gratuita a soggetti con disagio sociale, anche in assenza dei requisiti per il patrocinio a spese dello Stato.
Al fine di proseguire nel comune percorso di costruzione del Distretto Economico Responsabile, al termine delle attività 2009, si è svolto anche un evento conclusivo. In questa occasione, coordinata da Camera di Commercio di Rimini e da Figli del Mondo, si sono riuniti tutti i rappresentanti del Tavolo di Confronto Istituzionale, i partecipanti agli incontri, le imprese, ma anche gruppi, enti, organizzazioni e associazioni del territorio che hanno dichiarato di condividere una visione comune sul Distretto Economico Responsabile.
La realizzazione di PercoRSI 2009 e la costruzione del network che ne è derivato, ha richiesto anche specifiche azioni di comunicazione, svolte sempre con la collaborazione dell’Associazione Figli del Mondo: spedizione di inviti ad aziende e soggetti sensibili (banche dati di Camera di Commercio, Associazioni di Categoria, Figli del Mondo), utilizzo di informazioni su siti web, redazionali stampa e televisioni locali, relazioni costanti con i partecipanti al progetto, presenza al Salone Dal Dire al Fare di Milano.

I RISULTATI
I risultati del lavoro svolto negli ultimi anni sono stati giudicati da tutti i componenti del Tavolo di confronto istituzionale estremamente positivi, tanto che sono sempre di più i soggetti che chiedono di unirsi al lavoro comune raccordato dalla Camera di Commercio di Rimini. Ed è anche grazie al lavoro di questi anni che Rimini sta diventando una delle realtà italiane più significative per l’attivazione di iniziative di responsabilità sociale. Ricordiamo in particolare la rilevante presenza di progetti candidati al Sodalitas Social Award, il premio nazionale organizzato dalla Fondazione Sodalitas di Milano: dai 19 progetti del 2008 (considerati già un ottimo risultato), si è passati nel 2009 a 41 proposte presentate da 33 realtà, confermando che l’imprenditoria riminese attenta alla responsabilità sociale è al secondo posto della classifica nazionale (dopo Milano).
Il progetto PercoRSI ha inoltre permesso la valorizzazione delle relazioni con le principali associazioni di categoria del territorio e con alcuni ordini professionali, la conoscenza approfondita delle imprese riminesi che hanno partecipato alle varie edizioni, il consolidamento del rapporto con organizzazioni del terzo settore, il confronto con l’Università.
Nel mondo economico riminese si sta iniziando a consolidare la visione di un nuovo tipo di impresa nella convinzione che la Responsabilità Sociale possa produrre benefici alle aziende, alle piccole come alle più grandi, e che l’adottare governance responsabili possa addirittura essere una soluzione per uscire dalla rilevante crisi economica in cui siamo immersi. Si è rilevato che particolarmente diffuse sono le azioni rivolte alla qualità della vita dei propri collaboratori, alla tutela dell’ambiente, allo sviluppo di relazioni con la comunità locale. Si sta delineando la funzione aggregativa di PercoRSI che sviluppa interessanti sinergie e permette di integrare le diverse opportunità presenti nel riminese, creando nuovo capitale sociale (fiducia, credibilità, reputazione, affidabilità) e rafforzando il senso di appartenenza e l’identità territoriale. Il territorio, identificato come Distretto Responsabile, diviene un fattore di valorizzazione e competitività, si caratterizza per una migliore qualità della vita, è più accogliente e attrattivo, garantendo anche maggiore inclusione e integrazione sociale.

I PROGRAMMI FUTURI
In considerazione dei risultati ottenuti, la Camera di Commercio di Rimini e Figli del Mondo hanno intenzione di proseguire il percorso intrapreso. Nel 2010 PercoRSI farà un altro passo in avanti verso la costruzione del Distretto Economico Responsabile, a partire da un ulteriore allargamento del progetto a nuovi soggetti del territorio.
L’obiettivo specifico dell’anno sarà quello di fare in modo che il progetto sia caratterizzato da un approccio ancor più operativo e concreto rispetto agli anni scorsi. Ad ogni categoria di soggetti che parteciperanno si richiederà di attuare un buona prassi di responsabilità sociale, perché le azioni vengano sempre più evidenziate e diffuse sul territorio, fungendo da “buon esempio” e favorendo l’emulazione.
Sarà riconfermato il Tavolo di confronto istituzionale quale luogo per identificare i temi, scegliere le attività che costituiranno il lavoro dell’anno, confrontare esperienze e buone pratiche, coinvolgere nel progetto e mettere in rete imprese ed altri soggetti del territorio.
Sono stati identificati tre livelli di lavoro.
Il primo livello riguarda le attività con le imprese che consisteranno in laboratori di buone pratiche. In ogni laboratorio si analizzerà un’azione di responsabilità sociale d’impresa attivata da un’azienda del territorio che verrà condivisa con altre imprese interessate a replicarla.
Il secondo livello sarà dedicato alle Associazioni di Categoria che saranno chiamate ad individuare e programmare azioni di responsabilità sociale da realizzare durante l’anno. Ricordiamo infatti che il loro contributo al processo di creazione del Distretto Economico Responsabile è fondamentale e deve concretizzarsi con l’applicazione dei principi della RSI al loro interno e con la loro promozione presso gli associati.
Nel terzo livello saranno compresi altri soggetti del territorio che, pur non avendo un diretto legame con l’attività economica o avendolo solo in parte, hanno intrapreso un percorso di RSI e che, nello specifico ambito di appartenenza, attueranno un progetto in questa direzione.
Al termine del lavoro, tutti i soggetti che in questi anni si sono interessati al progetto PercoRSi saranno invitati a partecipare a un momento assembleare conclusivo in cui saranno illustrati i progetti realizzati, verranno condivisi i risultati e diffusi i documenti prodotti.

La Responsabilità Sociale di Impresa: alcuni spunti

di Leonardo Becchetti
Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”

Riflessioni per seminario "Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?”.

La responsabilità sociale d’impresa, intesa come sforzo dell’impresa di soddisfare una più vasta platea di stakeholders che non comprendono solo gli azionisti andando oltre il rispetto delle leggi, comporta costi certi e una serie di benefici potenziali molto importanti.
Le imprese all’avanguardia nella responsabilità sociale minimizzano i rischi e i costi di conflitti con i portatori d’interesse, soddisfano le motivazioni intrinseche dei lavoratori (fondamentali assieme a quelle monetarie per stimolare la loro produttività), incontrano il favore dei consumatori responsabili (quelli disposti a pagare per i valori sociali ed ambientali contenuti nei prodotti), segnalano ai consumatori la qualità dei loro prodotti in un contesto di asimmetria informativa nei quali i consumatori sono tendenzialmente diffidenti e possono conquistare la leadership in alcuni ambiti innovativi come quelli dell’efficienza nell’uso delle fonti energetiche.
La RSI è eminentemente “glocale” ovvero ha una dimensione locale ed una globale. Il lavoro da sviluppare sui territori da istituzioni, associazioni di imprese, organizzazioni della società civile è quello di stimolare il “voto nel portafoglio” dei cittadini per indurli a premiare quelle società all’avanguardia nella tutela sociale ed ambientale aiutandoli a comprendere che si tratta di un gesto di “autointeresse lungimirante” soltanto se essi sapranno usare il loro portafoglio per premiare quelle società all’avanguardia nella tutela del lavoro e dell’ambiente consentiranno a tali società di mettere di atto politiche di RSI restando competitive.
Esistono oggi inoltre alcune sinergie interessanti tra responsabilità d’impresa, attivismo della società civile e sviluppo locale. L’attenzione alla sostenibilità ambientale nella produzione e nel commercio, il gusto per la varietà e il desiderio dei consumatori di essere vicini al luogo di produzione sta dando forte sviluppo ai prodotti a chilometro zero e a i gruppi di acquisto solidale che lavorano soprattutto con le imprese del territorio. Inoltre la diffusione di imprese sociali e di attivismo della società civile possono contribuire a rinforzare reti di relazioni e capitale sociale che sono ingredienti fondamentali per lo sviluppo locale. Possiamo ricomprendere all’interno della responsabilità sociale anche tutte quelle iniziative legate alla riscoperta della qualità (si ricordi che una delle direttrici della RSI è l’attenzione ai consumatori attraverso la qualità del prodotto) e ai tentativi di creare valore nei prodotti attraverso la ricchezza storica e culturale delle diverse realtà locali del nostro paese.
Infine non sono da trascurare le ricadute sistemiche sul locale del voto nel portafoglio giocato su scala globale. Premiando le imprese all’avanguardia nella responsabilità verso l’ambiente e il lavoro si riducono di fatto i vantaggi competitivi di una delocalizzazione fondata solo su una gara al ribasso sui costi del lavoro e sulla tutela dell’ambiente con conseguenze negative anche sui territori in cui si delocalizza.

Le virtù come fondamento essenziale della buona società: alcuni spunti

di Giacomo Samek Lodovici
Docente di Storia delle dottrine morali e Ricercatore in Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Riflessioni per seminario "Responsabilità sociale e territorio - Un'opzione sostenibile oltre la crisi?”.

Mi è stato chiesto di mostrare il ruolo, anzi la necessità, delle virtù sia nell'ambito privato sia in quello pubblico, come fondamento della società. Ciò può sembrare strano perché, non di rado, si pensa che per una buona società siano necessarie e sufficienti delle buone regole ed un sistema di controllo efficace; invece le cose stanno diversamente.

Infatti, per agire moralmente bene non basta essere solo provvisti di norme-regole, bisogna essere provvisti anche e soprattutto di virtù, perché i principi morali e le regole non funzionano come un pilota automatico. Rispetto a buona parte degli autori moderni, dobbiamo cioè notare che le virtù non soltanto facilitano il compimento dell’azione buona, ma altresì la rendono possibile. Infatti, le regole non possono costituire da sole una guida sufficiente per l’azione: per sapere come agire non ci basta conoscere una regola. Piuttosto, è necessario compiere una serie di attività: bisogna, talora, dirimere i conflitti che si producono proprio tra le stesse regole; per applicare le stesse regole abbiamo bisogno di percepire i particolari salienti di una situazione; per applicare le regole è necessaria la capacità di individuare quali atti ricadano sotto di esse (cioè bisogna saper descrivere le azioni); in una situazione pratica dobbiamo capire se una norma ci riguarda; dobbiamo comprendere quando una norma ci riguarda vada applicata; dobbiamo capire in che modo dobbiamo compiere un atto che una regola ci prescrive. Ora, tutte queste attività richiedono le virtù, specialmente la virtù della saggezza pratica o phronesis.

Ora, tali attività delle virtù sono necessarie sia nell’ambito dell’agire individuale, sia in quello dell’agire sociopolitici: né il singolo, né il politico possono far affidamento unicamente sulle regole.

Inoltre, va sottolineato che, anche qualora le regole fossero sufficienti per sapere come agire bene, resterebbe il problema del rispetto delle regole stesse. Per quanto riguarda l’ambito sociopolitico, il contrattualismo ha intrapreso il compito di reperire le norme della collaborazione interpersonale in vista della pace sociale. Ma è nota la tesi di Ernst-Wolfang Böckenförde, secondo cui «lo Stato liberale, secolarizzato, vive di presupposti di cui questo Stato non può dare le garanzie». In effetti, le istituzioni possono veramente garantire una pace ed una società giuste, che non siano il risultato del prevalere del più forte, solo se sono virtuose almeno alcune delle persone che compongono la società e quanto più sono numerose tali persone virtuose che la compongono. I soggetti (che siano solo dei cittadini oppure dei politici) non virtuosi, e tanto meno i «soggetti utilitari» (cfr. G. Abbà) o malvagi, non sono affidabili come partner della collaborazione: violeranno le norme se la violazione corrisponde ai loro interessi e, quando possono violarle senza essere puniti, cercheranno tra le maglie dei controlli quegli interstizi dove possono maggiormente conseguire i propri interessi.
Infatti, nessun sistema, pur pervasivo (e dunque molto costoso), di controllo può essere perfetto (panottico, come lo auspicava Bentham); anzi, alla lunga, può (come ha evidenziato Bruno Frey) produrre persino l’aumento delle trasgressioni: quando il comportamento individuale è rigidamente controllato e le punizioni sono elevate, le persone tendono spesso ad osservare la legge solo perché temono le conseguenze delle trasgressioni, e cercano perciò di esplorare tutte le opportunità di violarle impunemente anche per reazione e per desiderio di trasgressione. Così, questo eccesso di sanzioni incrementa le trasgressioni dei free riders, la proliferazione di norme è controproducente, aumenta la frequenza proprio di quei comportamenti dannosi che si volevano evitare con i vincoli e le sanzioni.
Così, il rispetto delle leggi richiede anche un atteggiamenti e comportamenti virtuosi, quelli di chi è disposto a rinunciare ai propri interessi anche quando li potrebbe conseguire impunemente e prende piuttosto a cuore il bene comune.
Ed anche un sistema poliziesco ha bisogno che i cittadini collaborino con le forze dell’ordine anche quando è pericoloso farlo, cosa che richiede la virtù del coraggio.

Anche se fosse possibile individuare le azioni giuste solo grazie alle norme e senza mai aver bisogno delle virtù, resterebbe comunque vero che chi si conforma ad una moralità per dovere, chi agisce a colpi di senso del dovere, è sempre esposto alla tentazione di compiere il male, mentre il virtuoso, che ha consolidato delle virtù, riesce più facilmente ad evitarlo: grazie alle virtù, l’atto virtuoso diviene (progressivamente) per il soggetto che lo esplica (sempre più) connaturale ed amabile come se lo esplicasse per natura. Questo è chiaro anche ad alcuni deontologi e consequenzialisti, che assegnano alla virtù il compito di facilitare il rispetto delle norme-regole (un compito che, però, non esaurisce la loro funzione)

Inoltre, il virtuoso considera la norma in modo diverso dal non virtuoso: per il non virtuoso essa (eccetto i casi dei soggetti che seguono le etiche dell’autolegislazione della ragione) è qualcosa di eteronomo che gli si impone, perciò il dovere è da lui sentito come restrittivo della libertà ed egli si limiterà probabilmente a fare il minimo indispensabile per non disattenderelo; per il virtuoso, invece, la norma è in sinergia con i suoi interessi virtuosi, è in sintonia col suo desiderio di essere virtuoso, è la via per conseguire il bene che ama. Infatti, per lui, il dovere si deduce dal bene e riceve il suo senso dal bene che esso è chiamato a tutelare, ovvero è il correlato di un valore che ne costituisce il fine e lo scopo.

Talvolta, un’azione diventa talmente connaturale per il virtuoso che egli finisce per percepire come normali alcuni atti che, in se stessi, sono invece supererogatori o comunque eccellenti.

Non solo, ma il virtuoso riconosce per sé l’esistenza di doveri che non ritiene tali per gli altri.
Come dice Aristotele, dove ci sono le (vere) virtù c’è anche il rispetto delle giuste regole (purché sia un rispetto sensato e non contro lo spirito e lo scopo della legge stessa, come è capace di stabilire la virtù dell’epicheia illuminata dalla phronesis).

Inoltre, l’agire giusto talvolta non ricade sotto alcuna norma, bensì solo nella sfera della virtù, cioè l’ambito dell’etica è più ampio di quello delle azioni prescritte dalle norme. Infatti, esistono atti moralmente buoni che tuttavia non sono doverosi. Per esempio, non è moralmente obbligatorio essere affabili o aiutare qualcuno quando c’è già un alto numero di persone che lo sta facendo.
Tra gli atti moralmente buoni ma non doverosi, rientrano poi anche quelli eroici, cioè supererogatori (come dare la vita per gli altri). Robert Adams dice giustamente che neanche la santità richiede di agire indefessamente come Sisifo sotto la continua pressione di pesanti doveri: anche i santi «dedicano del tempo a cose che non hanno il dovere di fare […] e non devono generalmente fare ogni azione nel miglior modo possibile», cosicché «la santità non è perfezionismo».

Del resto, è vero che l’agire virtuoso del politico non è immediata emanazione delle sue virtù individuali ed egli deve seguire anche alcune regole e procedure, ma «L’etica pubblica è […] prima di tutto etica delle persone giuste o non giuste; in secondo luogo è anche etica delle procedure e delle istituzioni giuste o non giuste» (A. Da Re).

D’altra parte, già si comprende il ruolo pubblico delle virtù del singolo se si considera che l’azione umana ha un risvolto pubblico quando influisce sugli altri: anzi ogni azione umana (in forza della dimensione intransitiva dell’agire umano) può avere un minimo o cospicuo effetto pubblico.

Detto questo, però, come affermano giustamente anche alcuni autori della Virtue Ethics, negare il primato delle norme non vuol dire rifiutare la loro utilità. Piuttosto è auspicabile realizzare un’integrazione tra virtù e regole: l’agire virtuoso richiede appunto virtù, uomini virtuosi da imitare-consultare ed obbedienza a regole.

È poi ovvio che le virtù sono necessarie sotto istituzioni e regimi ingiusti, quando le regole sono inique, in particolare sotto i totalitarismi.
In primo luogo, come risorsa per resistere: per fare solo un esempio, Solzenicyn e gli altri dissidenti fecero del «vivere senza menzogna» la loro bandiera, per non cadere nella perversa logica del totalitarismo comunista.
In secondo luogo, perché in tali situazioni anche pochi atti di solidarietà possono avere un effetto cumulativo ed innescare grandi cambiamenti. Le virtù, insomma, rientrano nella categoria del «potere dei senza potere», per dirla con Vaclav Havel.

Ha poi ragione Onora O’Neill quando dice che le persone che compongono il tessuto sociale, che è ciò su cui le istituzioni si innestano, devono essere protette non solo dai danni diretti (a ciò provvedono le istituzioni stesse con le leggi), ma anche dall’indifferenza: il tessuto sociale deve essere sempre rigenerato ed irrorato dalle virtù, le quali promuovono la fiducia, la collaborazione, la lealtà, il coinvolgimento, la tolleranza, ecc.

Oltre a ciò, anche se le istituzioni non avessero bisogno di questo sostegno da parte delle virtù, resterebbe pur sempre vero che le istituzioni non possono venir incontro a tutte le forme della vulnerabilità e della finitezza dell’uomo, che solo le virtù della sollecitudine sono in grado di mitigare. «L’amore […] sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. […] ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale» (Benedetto XVI, Deus Charitas est, § 28).

Infine, con buona pace di Mandeville, le virtù favoriscono anche l’economia: «Gli sviluppi recenti della teoria economica convalidati da esperimenti di laboratorio e le vicende della crisi finanziaria globale ci dicono che la situazione è cambiata: è indubitabile che l’autointeresse resti sempre una molla fondamentale per il progresso economico ma i vizi possono distruggere l’intera economia mentre alcuni valori fondamentali (fiducia interpersonale e nelle istituzioni) sono in realtà l’architrave del sistema di mercato e altre virtù (gratuità, dono, qualità delle relazioni) sono input fondamentali della fertilità economica» (Becchetti).
Di sicuro, i vizi danneggiano l’economia (almeno alcune volte): sono state anche la disonestà e l’avidità a determinare i tracolli di aziende (come Parmalat, Enron, Lehman Brothers, ecc.), che hanno in certi casi innescato crolli delle borse, con conseguenze, a volte, di portata mondiale. La crisi finanziaria mondiale, come molti hanno riconosciuto, è stata determinata anche da un grave deficit morale dei protagonisti dell’economia.

(Le seguenti riflessioni sono tratta da G. Samek Lodovici, L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, in corso di pubblicazione. A questo testo si rinvia per chiarimenti ed approfondimenti)

sabato 5 giugno 2010

Recensione del "Trattato delle Virtù e dei Premi" di Giacinto Dragonetti


a cura di Michele Giovannetti
SOCIETA’ LIBRARIA
www.societalibraria.blogspot.com

Giacinto Dragonetti, marchese aquilano, è l'autore del seguente trattato, pubblicato per la prima volta a Napoli, nella seconda metà del '700, e ricevuto con un applauso di poco inferiore a quello che ha reso famoso Beccaria. Due edizioni italiane erano state rapidamente vendute quando M. Pingeron, un ufficiale Francese al servizio della Polonia, decise di ripubblicare l'opera con la sua traduzione a Parigi.
Il Dragonetti svolge l'opera intorno ad un tema cruciale, quello della Virtù. In questo intento il Trattato si prefigura come un completamento del pensiero esposto da Beccaria nel trattato “Dei Delitti e delle Pene”; l'autore vuole qui rimarcare il concetto che così come sia giusto punire i crimini, sia altrettanto giusto premiare le virtù, in misura maggiore in rapporto al loro valore di pubblicità, che stima essere non solo cosa accessoria al buon governo, ma parte integrante del processo di riconoscimento dei fondamentali diritti dell'uomo. Il “premio” è una ricompensa che va oltre i contratti e le leggi, è uno stimolo e tensione al bene comune, oltre ad essere premessa di un più vero e sostenibile sviluppo economico. Senza che la società lo riconosca commette un’ingiustizia. Proprio per questa necessità che l’autore avverte, di premiare la Virtù per riconoscere i diritti dell’uomo, egli supera il punto di vista del Beccaria, che spesso nella sua opera riconduce l’utilizzo della legge a mero strumento di governo. E’ significativo notare come l’aquilano evidenzia l’apporto delle leggi come strumento limitato per la formazione e lo sviluppo dell’uomo, uscendo comunque dalla logica educativa di carattere esperienziale dell’illuminista e sensista milanese, che vede nelle pene conseguenti l’infrazione di una legge, solamente un mezzo per evitare il delinquere. Infatti così come è vero che inizialmente le leggi divengono la necessaria circonferenza entro cui contenere la libertà dell’uomo ai fini delle sua stessa conservazione, è altrettanto importante evidenziare come conseguentemente, la vita in comunità e il successivo fiorire delle relazioni fra gli uomini (la reciproca amorevolezza venuta a mancare in origine, per via di un “disordinato amore di sé stessi”) fanno nascere una serie di bisogni che superano questa circonferenza. A questi bisogni, si riesce a sopperire solamente attraverso l’abnegazione di sé stessi per la ricerca dell’utilità pubblica. Non si può qualificare come virtuosa, un’azione svolta in ossequio a leggi di natura umana, divina o civile alle quali ci si è liberamente soggettati: in questo senso, persino il merito non è considerato necessariamente una virtù. La Virtù non è solamente palliativo per una società fondata sulla conservazione dai mali, ma vero e proprio “collante” relazionale, che stimola i rapporti fra le persone e ne promuove la crescita e il progresso in tutti gli aspetti della vita, rispettando le specifiche identità del singolo.
Al di là di questo, il Dragonetti non si sofferma molto sul tema della Virtù in quanto tale, perché non ha intenzione in questa opera di trattare di filosofia o teologia: ma, in una concezione più ampia, di società civile. A questo punto, sono dunque da farsi due considerazioni.
La prima, riguarda il fatto che il non volere trattare in termini filosofici, ma “politici ed economici” della Virtù, non significa che consideri questa secondo un concetto “laicista”, “deista”, del tempo in cui viveva; come già spiegato in relazione all’opera del Beccaria, non vuole fare di essa una divinità da inserire nell'Olimpo Illuminista insieme alla Dea Ragione, in una nuova religione che sia “instrumentum regni”. Per l'autore la Virtù è qualcosa che dipende dal bene, riconoscibile dal cuore, sentimento connaturale all'uomo. Si è ampliata la sua conoscenza solo tramite i “divini insegnamenti”, ma non è qualcosa di riadattabile al sentire di un determinato momento, perché essa è tale sin dall'inizio dei tempi, così come è libero l'uomo di sceglierla.
La seconda premessa, è che il Dragonetti, considerato uno dei padri dell'”Economia Civile”, non parla in questo libro di concetti economici, come verrebbero intesi oggi; non è a tratti più liberista, o più socialista, o più mercantilista. Per parlare di economia civile, l'autore deve necessariamente parlare di società civile. Questo perché il concetto di economia civile, comprende la condizione di benessere di tutta la società, dal principe al suddito, dal contadino all'operaio, dall'artigiano al mercante, dal mendicante al ricco. La società è il corpo composto dagli uomini che vi prendono volontariamente e necessariamente parte e insieme, delle relazioni che si instaurano tra essi. L'economia è l'abito con cui la società tutta si deve vestire dal freddo e deve acquisire prestigio. Lo Stato è il sussidio necessario, non il sussidiante o il sussidiato dell'economia o dall'economia; la società lo usa, attraverso il suo governante, per essere rappresentata nella sua pienezza e poter crescere nel benessere comune.
Dragonetti ha una visione comunitaria dello Stato, concezione fortemente influenzata dalla teoria contrattualistica di Locke, in quanto vede nella società un insieme di persone che per perseguire il proprio bene sono disposte a rinunciare ad una parte della propria libertà, sottoscrivendo un contratto sociale. Da questa visione, forse limitata, proprio per il fatto che non è approfondita, se ne deduce che lo Stato è, come già detto, lo strumento attraverso il quale, tramite premi oltre che punizioni, si deve indirizzare verso il bene gli stessi uomini, che da esso sono rappresentati. Ma non solo lo Stato ha questi compiti: lo hanno anche i più abbienti e coloro che occupano ruoli istituzionali. Lui stesso ora prende la parte dei poveri contadini contro i possidenti o i Comuni che lasciano incolti alcuni terreni, ora quella dei mercanti sottoposti all'usura dei banchieri o di creditori strozzini, ora la parte dei disoccupati che non lo sono per volontà propria. Ben lungi da Marx, da Keynes, o da un travisato Adam Smith, Dragonetti testimonia il ruolo dello Stato e della sua classe politica e benestante nel perseguimento del benessere sociale, come “obbligo di giustizia” verso l'uomo giusto che ne fa parte, e verso l'umanità tutta che deve farne esempio di virtù.
Se volessimo suggerire una analisi teologica dell'opera di Dragonetti, essa è una esortazione a tutti a comportarsi come il padrone nella parabola dei vignaioli. Qui, Il padrone ingaggia all'alba dei lavoratori pattuendo un denaro al giorno. Un denaro dava quel che occorreva alla famiglia di un lavoratore per viverci: era una mercede giusta, degna. In varie ore del giorno il padrone scova in piazza dei lavoratori disoccupati e li manda a lavorare nella sua vigna. Alla sera s'aveva che alcuni braccianti avevano lavorato dodici ore, alcuni nove, alcuni sei...e qualcuno un'ora sola. Il padrone paga un denaro a tutti, sia a quelli che avevano sudato dodici ore, sia a quelli che avevano sudato un'ora. Il padrone dà “quanto è giusto”, quanto è necessario per vivere, lungi da una meritocrazia liberale o socialista, che avrebbe pagato in proporzione al rendimento, in maniera non sufficiente a vivere per chi aveva lavorato un'ora o poco più. Il padrone infatti considera che i disoccupati lo erano senza loro colpa e guarda non solo al lavoro, ma anche al lavoratore, alla persona. Non dà un lavoro inutile da fare; dà un lavoro utile ed è responsabile della persona, oltre a responsabilizzarla.
Questo devono fare lo Stato, e i “particolari”: essere virtuosi, creare le condizioni perché tutti si possano esprimere tramite il proprio lavoro, ispirare virtù e premiare la virtù degli uomini. E questo anche di coloro che pur senza speciali imprese, sacrificano una parte di sé stessi e della loro indipendenza per vivere in comunità, in comunione, che deve risultare una più piena forma di libertà.
Dragonetti non suggerisce “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato”; Dragonetti non sostiene “Tutti proletari”; Dragonetti non pretende che lo Stato lavi la Mano Invisibile del Mercato. Dragonetti dice: tutti, ad ogni livello, formano lo Stato; tutti, sono proprietari e partecipi della propria ed altrui esistenza, in questa società, nella quale l'economia riacquista la sua accezione originale: manutenzione della casa.

martedì 1 giugno 2010

Riflessioni 2010 - Seminario III - Dragonetti e il premio


Giovedì 3 Giugno, alle ore 18:00
presso le Aule 13 e 14 del complesso Alberti, del Polo riminese dell’Università di Bologna (via Quintino Sella 13) si terrà il seminario dal titolo “Dragonetti/Beccaria – Il premio declinato nella politica economica locale

Relatori:
Prof. Stefano Zamagni: Docente di Istituzioni di Economia all’Università di Bologna e Storia del pensiero economico nell’Università Bocconi di Milano.
Maria Grazia Fasoli: Docente di letteratura italiana e storia, responsabile della Funzione Studi e Ricerche della Presidenza Nazionale delle ACLI
Michele Giovannetti: Presidente Circolo Società Libraria, curatore libro “Delle Virtù e dei Premi” di Giacinto Dragonetti.

Per la società di oggi e per il suo habitus economico, è importante recuperare gli atteggiamenti virtuosi, i comportamenti votati al benessere comune, sacrificando non la libertà, bensì la liceità dell'agire senza particolari riferimenti a valori fondanti e fondativi. E' necessario tornare a comprendere la Virtù non solo come palliativo per una società che si è fondata sull'egoismo e l'avidità, ma come vero e proprio “collante” relazionale, che stimola i rapporti fra le persone e ne promuove la crescita e il progresso in tutti gli aspetti della vita, rispettando le specifiche identità del singolo.
Come indicatoci nella conferenza “Sull’avarizia” delle Meditazioni Riminesi dell’anno scorso dal Prof. Stefano Zamagni, è necessario riscoprire Dragonetti che, in un certo senso, continua il discorso sul diritto riprendendolo là dove l’aveva lasciato Beccaria. Il “premio” è una ricompensa che va oltre i contratti e le leggi. Senza che la società lo riconosca commette un’ingiustizia. Questa rigenerazione, che interessa anche l'economia, non può avvenire in una dimensione di reciprocità che coinvolga la sola società civile. Si avverte non solo la necessità di una politica che torni a circondare la sfera economica, o di istituzioni che siano chiamate a rispondere con una semplice (anche se ardua) regolamentazione dei mercati. Bensì, bisogna tornare ad evidenziare il ruolo che Stato e istituzioni hanno, insieme all'apporto di tutta la società che rappresentano, nello stimolare le attività e la libera iniziativa economica. In questo senso è importante rigenerare quindi anche le politiche economiche messe in campo, non limitandosi a punire gli atteggiamenti scorretti, ma tornando a premiare i comportamenti virtuosi come stimolo e tensione al bene comune e come premessa per un più vero e sostenibile sviluppo economico.


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