martedì 26 aprile 2011

Attivare la cittadinanza perché tutti possiamo avere futuro

di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro-Culturale
“La Bilancia dell’Orefice”

I nuovi diritti si caratterizzano per essere concordati fra le generazioni, e non sono definitivamente esclusivi da un lato da mobilitazioni di tipo rivendicativo, né dall’altro per l’elargizione di prestazioni dovute. Ma si traducono piuttosto in una corresponsabilizzazione orientata a diritti comuni che abbiano sempre più come centralità la persona umana nella prossimità in cui è.
Persona che non è solo un individuo-consumatore oggetto delle sollecitazioni sociali, né il fossile guscio di una coscienza chiusa a riccio in un mondo che cambia.
Persona è invece il volume totale dell’uomo in tutte le sue dimensioni che si struttura esercitando la propria responsabilità nella sua indipendenza, nella sua totalità e apertura.
Nel secolo passato l’uomo ha preso coscienza di essere titolare di fondamentali esigenze che l’ordinamento giuridico è tenuto a riconoscere e a garantire. Oggi di fronte ai pericoli del pianeta e di un reale svuotamento della cittadinanza effettiva dell’uomo, appare essenziale che ognuno, cosciente della propria dignità di com-partecipe della vita sociale, attivi tutte le sue potenzialità e costruisca con gli altri una migliore casa comune. Abitare il futuro vuol dire creare quei legami o patti sanciti prima di tutto non da decreti, bensì da una coscienza operante e respirante nelle scelte quotidiane per il bene di tutta la persona e di tutte le persone.
In una società democratica la cittadinanza precede l’organizzazione politica, così come il corpo politico precede lo stato. Non è lo stato a conferire la qualità di cittadini, ma sono i cittadini a dar vita allo stato. La Costituzione Italiana riconosce all’articolo 2 i diritti dell’uomo in tutta la loro dimensione prospettica, ma dall’articolo 3 scompare l’uomo e appare come attore sociale e politico il cittadino. Ciò significa che la cittadinanza è il modo in cui viene tutelata e rispettata la dignità umana nella vita sociale e politica.
Ora nonostante l’organizzazione delle classi subalterne, la partecipazione civile favorisce in larga misura i ceti abbienti e privilegiati, la cosiddetta maggioranza elettorale appagata, tra cui si trovano i cittadini più attivi, a discapito delle classi subalterne e svantaggiate, formate in maggioranza da cittadini che, mancando di risorse, individuali e collettive, sono poco o per nulla attivi.
Qui si spiega perché spesso le politiche tendono a favorire gruppi particolari di cittadini attivi e non l’interesse pubblico più generale.
La partecipazione è un diritto che avvantaggia coloro i quali la praticano, chiunque essi siano, nel bene e nel male. Costoro sono i “soddisfatti” e le politiche propugnate sono quelle che Galbraith ha definito la “cultura dell’appagamento”.

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