Facoltà di Economia, Università di Bologna - sede di Rimini
collaboratore Associazione Centro Studi Nuove Generazione
Il pieno godimento dei diritti riconosciuti dalla Costituzione prevede che i cittadini siano messi in grado di svolgere la propria attività lavorativa in presenza di un’adeguata tutela della salute e della sicurezza. Inoltre, limitandosi a un punto di vista freddamente economico, i costi legati agli infortuni e alle malattie professionali possono essere molto alti per l’intera società. Oltre ai costi che devono sostenere i lavoratori e le loro famiglie, non si devono dimenticare i costi sopportati dalle imprese e dallo Stato. È quindi rilevante, nell’interesse comune di tutte le parti in gioco, l’individuazione delle reali cause degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
I dati prodotti dall’ILO (International Labour Organization, 2010) ci dicono che annualmente si verificano 337 milioni di incidenti non mortali sul lavoro; le morti per incidenti e malattie legate al lavoro sono invece 2,3 milioni. In Europa sono stati fatti, negli ultimi anni, numerosi sforzi legislativi per migliorare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, facendo registrare un incoraggiante miglioramento. Nonostante questi sforzi la probabilità di infortunarsi non si è però ridotta in modo omogeneo fra le varie categorie di lavoratori, imprese e settori produttivi. Difatti, i tipi di rischio cui sono esposti i lavoratori evolvono in relazione all’innovazione tecnologica, alla conseguente riorganizzazione del processo produttivo, e ai cambiamenti del mercato del lavoro.
Una delle posizioni spesso riscontrate nelle notizie che ascoltiamo tutti i giorni è che il contratto lavorativo, in aggiunta al tipo di lavoratore, potrebbe influenzare il rischio di subire incidenti/malattie. Il precariato di alcuni lavoratori, determinando un minore potere contrattuale, potrebbe essere associato a cattive condizioni di lavoro che accrescono l’insicurezza.
Un recente articolo (http://www.econ-pol.unisi.it/quaderni/608.pdf) approfondisce il tema della sicurezza sul lavoro analizzando gli incidenti e le malattie professionali non mortali. I dati presenti nella Rilevazione sulle Forze di Lavoro che contengono un modulo “ad hoc” sulla Salute e sicurezza sul lavoro, hanno consentito di osservare la situazione lavorativa e infortunistica di oltre 45.000 lavoratori dipendenti con contratti a tempo determinato e indeterminato. Più precisamente, sono state considerate le caratteristiche personali dei lavoratori, le imprese in cui erano impiegati, le tipologie di lavoro (tempo pieno, straordinario, turni, professione svolta), le condizioni di lavoro (carichi di lavoro eccessivi, esposizione a pericoli dovuti a polveri, gas, esalazioni, fumi, sostanze chimiche, ambiente con rumori eccessivi o vibrazioni, etc.) e gli eventuali incidenti e malattie subiti.
I risultati dello studio mostrano che la sicurezza dipende principalmente dalle condizioni effettive nelle quali si presta il lavoro e, in seconda battuta, dalle caratteristiche personali dei lavoratori (maggiore possibilità di infortunio/malattia associata a: non essere al primo impiego, non essere soddisfatti dal lavoro attuale, il genere del lavoratore, avere una predisposizione latente misurata dagli incidenti nel tragitto casa-lavoro). La tipologia contrattuale (determinato/indeterminato) non sembra avere un effetto significativo sulla probabilità di incorrere in infortuni o malattie riconducibili al lavoro, una volta considerate le altre variabili.
L’intervento pubblico in materia di sicurezza sul lavoro dovrebbe essere indirizzato da risultati scientifici piuttosto che da posizioni strettamente politiche e ideologiche. Lo studio sopra riportato sembra suggerirci come sia fondamentale stimolare l’innovazione tecnologica, la formazione e l’informazione dei lavoratori, mirando ad agire sulle cause tecniche e umane che possono determinare l’infortunio (malattia). Inoltre bisogna fare in modo che le norme emanate siano correttamente osservate. Le ispezioni e le sanzioni, pur essendo importanti, non sono sufficienti. È importante intervenire anche su un insieme di fattori organizzativi, culturali e comportamentali radicati negli ambienti di lavoro.
I dati prodotti dall’ILO (International Labour Organization, 2010) ci dicono che annualmente si verificano 337 milioni di incidenti non mortali sul lavoro; le morti per incidenti e malattie legate al lavoro sono invece 2,3 milioni. In Europa sono stati fatti, negli ultimi anni, numerosi sforzi legislativi per migliorare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, facendo registrare un incoraggiante miglioramento. Nonostante questi sforzi la probabilità di infortunarsi non si è però ridotta in modo omogeneo fra le varie categorie di lavoratori, imprese e settori produttivi. Difatti, i tipi di rischio cui sono esposti i lavoratori evolvono in relazione all’innovazione tecnologica, alla conseguente riorganizzazione del processo produttivo, e ai cambiamenti del mercato del lavoro.
Una delle posizioni spesso riscontrate nelle notizie che ascoltiamo tutti i giorni è che il contratto lavorativo, in aggiunta al tipo di lavoratore, potrebbe influenzare il rischio di subire incidenti/malattie. Il precariato di alcuni lavoratori, determinando un minore potere contrattuale, potrebbe essere associato a cattive condizioni di lavoro che accrescono l’insicurezza.
Un recente articolo (http://www.econ-pol.unisi.it/quaderni/608.pdf) approfondisce il tema della sicurezza sul lavoro analizzando gli incidenti e le malattie professionali non mortali. I dati presenti nella Rilevazione sulle Forze di Lavoro che contengono un modulo “ad hoc” sulla Salute e sicurezza sul lavoro, hanno consentito di osservare la situazione lavorativa e infortunistica di oltre 45.000 lavoratori dipendenti con contratti a tempo determinato e indeterminato. Più precisamente, sono state considerate le caratteristiche personali dei lavoratori, le imprese in cui erano impiegati, le tipologie di lavoro (tempo pieno, straordinario, turni, professione svolta), le condizioni di lavoro (carichi di lavoro eccessivi, esposizione a pericoli dovuti a polveri, gas, esalazioni, fumi, sostanze chimiche, ambiente con rumori eccessivi o vibrazioni, etc.) e gli eventuali incidenti e malattie subiti.
I risultati dello studio mostrano che la sicurezza dipende principalmente dalle condizioni effettive nelle quali si presta il lavoro e, in seconda battuta, dalle caratteristiche personali dei lavoratori (maggiore possibilità di infortunio/malattia associata a: non essere al primo impiego, non essere soddisfatti dal lavoro attuale, il genere del lavoratore, avere una predisposizione latente misurata dagli incidenti nel tragitto casa-lavoro). La tipologia contrattuale (determinato/indeterminato) non sembra avere un effetto significativo sulla probabilità di incorrere in infortuni o malattie riconducibili al lavoro, una volta considerate le altre variabili.
L’intervento pubblico in materia di sicurezza sul lavoro dovrebbe essere indirizzato da risultati scientifici piuttosto che da posizioni strettamente politiche e ideologiche. Lo studio sopra riportato sembra suggerirci come sia fondamentale stimolare l’innovazione tecnologica, la formazione e l’informazione dei lavoratori, mirando ad agire sulle cause tecniche e umane che possono determinare l’infortunio (malattia). Inoltre bisogna fare in modo che le norme emanate siano correttamente osservate. Le ispezioni e le sanzioni, pur essendo importanti, non sono sufficienti. È importante intervenire anche su un insieme di fattori organizzativi, culturali e comportamentali radicati negli ambienti di lavoro.
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