domenica 13 novembre 2011

Sulla conoscenza

di Gianluca Pascucci

PRIMA RIFLESSIONE

Esperienza: provare qualcosa e giudicarla a partire dalle esigenze ed evidenze di buono, di bello, di vero e di giusto inscritte nel cuore nostro come il Creatore ce le ha messe, quindi indelebili.

La sottolineatura va quindi sulla capacità nostra di giudicare quel che ci accade: sono capace di valutare quel che mi sta accadendo in modo soddisfacente?
Giudizio, conclusione positiva, soddisfazione, piacere sono la stessa cosa. Il sostegno del nostro buon giudizio dipende direttamente dalla cura di parole che riceviamo giornalmente perché il pensiero è già in essere e può essere salvaguardato o attaccato. Vogliamo stare bene, vivere bene, mangiare bene: starci bene nel bene e non bene nel male, sicuramente.

Invece ci troviamo spesso a non vivere bene quel che ci accade e la lamentela in qua e là ne è la sentinella. Allora mi chiedo che ci sta davvero sotto affinché io possa capire bene per fare un lavoro di riappropriamento del mio pensiero? Chi è il nemico intanto del mio pensiero?

Il Bene Presupposto, teorico ed esautorante la nostra competenza individuale. Che cosa è, che cosa ci fa il BENE PRESUPPOSTO? E' un imperativo senza fondamenti ragionevoli che ci blocca, ci esautora dal sapere e dal dire, ci obbliga ad eseguire un comando rispetto alla libera iniziativa, ci costringe ad amare una persona inventata nella testa più perfetta di quella reale. E' il nemico della vita che attacca le nostre esigenze di buono, bello, vero e giusto riducendole a pure astrazioni e quindi di fatto non consentendoci di fare esperienza di VITA.



Conoscenza e coscienza
di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Sin da piccolo ho pensato che la conoscenza non potesse essere la sola descrizione della somma delle parti di un ente. Per la persona tutto ciò è fondamentale altrimenti si perderebbe la sua dignità e la sua stessa costituzione che è essere in relazione. Poi incontrai Agostino d'Ippona che mi insegno che si conosce solo ciò che si ama come la sua stessa vita ci insegna, ricollegando tutto il pensiero precedente a lui. Ma ancora non mi bastava, perché era tutto come intrappolato in un soggettivismo, di certo aperto alla realtà ma senza andarne al cuore. Solo Tommaso d'Aquino mi ha introdotto al personalismo partendo da quella pur ovvia considerazione, ma che presuppone umiltà: «Veritas est adaequatio rei et intellectus», ovvero la «La verità è la corrispondenza tra la cosa e l'intelletto».

Quindi non ci può e non ci deve esser un solo termine: l'io che vorrebbe conoscere. C'è tutto un mondo, ma anche e sopratutto quello dell'incontro che diviene esperienza con la realtà stessa di cui l'io fa parte.
Qui si capisce perché il bene presupposto si riferisce a un io ideale e non a quello reale.
Per Aristotele il vero e il falso non sono nelle cose ma nel pensiero. Questo lo rende grande ma anche pericoloso per tutte le implicazioni che ne conseguono nelle azioni.
Da personalista quello che mi preme sottolineare è che la conoscenza è rapporto, corrispondenza, non solo istantanea ma in un processo continuo.

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