domenica 18 aprile 2010

Discussioni intorno Amartya Sen

Per superare la crisi serve il rivale di Keynes 


Amartya Kumar Sen (Santiniketan, 3 novembre 1933) è un economista indiano Premio Nobel per l'economia nel 1998, Lamont University Professor presso la Harvard University

la Repubblica
06-04-2009

Il 2008 è stato un anno di crisi. La prima a manifestarsi è stata una crisi alimentare, che ha minacciato particolarmente i consumatori più poveri, specialmente in Africa. Insieme a questa crisi, si è verificato un eccezionale aumento del prezzo del petrolio, che ha minacciato tutte le nazioni legate all´importazione di questa fonte di energia. Infine, quasi all´improvviso, si è avuta, in autunno, una svolta al ribasso nell´economia globale, che ora sta continuando ad aumentare di velocità con un ritmo spaventoso. Sembra probabile che, nell´anno 2009, il ribasso presenti un deciso incremento e molti economisti prevedono una depressione generalizzata, forse dell´ampiezza di quella verificatasi negli anni Trenta del XX secolo. Sebbene rapide fasi di decrescita abbiano interessato anche i grandi capitali, le più colpite sono state le persone che già erano meno abbienti.
Per trovare una risposta alla crisi, in tempi recenti c´è stata una massiccia rivisitazione di John Maynard Keynes. Senza dubbio, l´accumularsi dei ribassi che proprio ora stiamo osservando e che ci avvicina sempre di più a una depressione, presenta connotati chiaramente keynesiani: la diminuzione delle entrate di un gruppo di persone ha portato a una diminuzione degli acquisti da parte di costoro, che ha, di conseguenza, prodotto un´ulteriore riduzione delle entrate di altre persone.
Va detto però che Keynes può salvarci soltanto in parte, anzi per una piccolissima parte: per comprendere la crisi attuale, è necessario guardare oltre i suoi insegnamenti.

Uno studioso di economia cui di solito è stata attribuita un´importanza nettamente inferiore è il rivale di Keynes, Arthur Cecil Pigou, che, come lui, ha studiato a Cambridge, nello stesso istituto, il King´s College, e nello stesso periodo. Pigou si interessava assai più di Keynes dei risvolti psicologici dell´economia e dei modi in cui questi potessero influire sui cicli dei mercati, ma anche acutizzare e rafforzare una recessione economica portandola fino a una depressione (come nella sequenza di eventi di cui oggi siamo testimoni). Le fluttuazioni dell´economia venivano in parte attribuite da Pigou a «cause psicologiche» da riconoscere in «variazioni del tono [cioè del livello di attività] mentale delle persone dalle cui azioni dipende la gestione delle industrie, che si manifestano come errori, quali un eccessivo ottimismo o un inopportuno pessimismo nelle previsioni relative alle loro attività economiche». Pigou concentrava particolarmente la sua attenzione sulla necessità di scongelare il mercato del credito quando l´economia è stretta nella morsa di un eccessivo pessimismo.
Nonostante le massicce iniezioni di liquidità nei sistemi economici europei e statunitense, effettuate in larga misura dai vari governi, le banche e gli istituti finanziari non hanno finora dimostrato di essere disponibili a scongelare il mercato creditizio. Quindi altre aziende continuano a fallire, in parte come conseguenza di una già avvenuta diminuzione della domanda (l´effetto keynesiano di "moltiplicazione" a catena), ma anche del timore di una diminuzione ancora più forte della domanda nel futuro, in un clima generale davvero deprimente (il processo descritto da Pigou come «pessimismo contagioso»).
Uno dei problemi di cui deve occuparsi l´amministrazione Obama è legato al fatto che la crisi reale, conseguenza della precedente cattiva gestione finanziaria e di altre scorrettezze e illegalità, si è notevolmente gonfiata per una sorta di diffuso collasso psicologico. Le misure che si stanno proprio ora discutendo, a Washington e altrove, per rivitalizzare il mercato creditizio comprendono salvataggi (con precisi requisiti che vengono in realtà forniti da istituti finanziari sovvenzionati), acquisto di titoli speculativi (i cosiddetti toxic assets) da parte del governo con un fondo speciale, assicurazioni contro i fallimenti per rifinanziare i prestiti, nazionalizzazione delle banche. L´ultima proposta terrorizza molti conservatori proprio come il controllo privato dei fondi pubblici affidato alle banche dà fastidio a chi si preoccupa delle connesse responsabilità. In base a quanto finora sembra indicare la fiacca risposta del mercato ai provvedimenti decisi dall´amministrazione, ognuno di questi piani dovrebbe essere valutato per il relativo impatto sulla psicologia di imprenditori e consumatori, soprattutto negli Usa.
La ripresa dei temi e dei testi di Keynes può certamente fornire notevoli contributi sia all´analisi economica, sia alla scelta delle procedure da seguire, ma la rete va gettata più lontano. Per quanto la figura di Keynes sia spesso vista, nell´economia contemporanea, come quella di una sorta di "ribelle", sta di fatto che gli è toccato di diventare invece qualcosa di assai prossimo al guru di un nuovo capitalismo, che si concentrava sul tentativo di stabilizzare le fluttuazioni dell´economia di mercato (ancora una volta prestando poca attenzione alle cause psicologiche delle fluttuazioni dei cicli economici).
Una crisi non rappresenta soltanto una sfida cui si deve far fronte. Essa offre anche l´opportunità di impegnarsi a risolvere problemi a lungo termine proprio quando la gente ha voglia di riprendere in esame e discutere convenzioni da tempo stabilite e accettate. Ecco perché la crisi attuale ci fa capire l´importanza di occuparsi di questioni trascurate come la conservazione dell´ambiente e il sistema sanitario nazionale, ma anche la necessità di sviluppare il trasporto pubblico, che negli ultimi decenni è stato malamente trascurato al punto da essere, fino a questo momento (mentre sto scrivendo l´articolo), considerato di secondaria importanza perfino nei progetti iniziali dell´amministrazione Obama. La scarsa disponibilità economica costituisce, evidentemente, un ostacolo, ma come dimostra l´esempio di quanto è accaduto nello stato indiano del Kerala, è possibile avere un servizio sanitario garantito dallo stato per ogni abitante a costi relativamente bassi. Esistono dunque opportunità di migliorare la qualità della vita anche nei paesi poveri.
Le sfide più grandi si presentano però negli Stati Uniti, dove la spesa pro capite per l´assistenza sanitaria è già la più alta tra quelle sostenute da tutti gli altri paesi del mondo, ma i risultati, su questo fronte, sono ancora relativamente scarsi e quaranta milioni di persone non hanno garanzie per la tutela della salute. Nelle discussioni sulla riforma sanitaria da realizzare negli Usa, si è prestata grande attenzione al sistema adottato in Canada, un sistema sanitario pubblico che rende estremamente difficile ottenere un trattamento medico privato, mentre nell´Europa occidentale i servizi sanitari nazionali forniscono assistenza a tutti, ma consentono di ricorrere, per integrare la copertura garantita dallo stato, anche a strutture sanitarie private e ad assicurazioni private operanti nel settore, per chi dispone di denaro e vuole spenderlo a questo scopo. Non è chiaro infatti perché ai ricchi che possono liberamente spendere denaro in yacht o altri beni di lusso non dovrebbe essere permesso di spenderlo invece per un esame diagnostico in risonanza magnetica o per una Tac. Le attuali crisi economiche non richiedono, me lo auguro, l´instaurarsi di un "nuovo capitalismo", ma esigono sul serio una nuova comprensione di idee più vecchie, come quelle espresse da Adam Smith oppure, in tempi più vicini a noi, da Arthur Cecil Pigou, molte delle quali sono state purtroppo dimenticate o trascurate. È inoltre necessaria una lucida percezione di come operino realmente le diverse istituzioni e di come una vasta gamma di organizzazioni (da quelle mercantili a quelle che sono istituite dagli stati) possano andar oltre le soluzioni a breve termine e contribuire così a formare un mondo economico più onesto e soddisfacente.

Traduzione di Giorgio P. Panini
Per gentile concessione di The New York Review of Books – La Rivista dei Libri. La versione integrale di questo articolo comparirà nel numero di maggio della Rivista dei Libri (www. larivistadeilibri. it)


John Maynard Keynes, primo Barone Keynes di Tilton (Cambridge, 5 giugno 1883 – Tilton, 21 aprile 1946), è stato un economista britannico, padre della macroeconomia e considerato uno dei più grandi economisti del XX secolo.




Arthur Cecil Pigou (18 novembre 1877 – 7 marzo 1959) è stato un economista inglese, conosciuto per il suo impegno in molti campi ed in particolar modo nell'economia del benessere.






Il Nobel per l’economia «Guardare più a Bismarck che a Keynes»
Sen: eccesso di pessimismo. E ora più servizi sociali

Corriere della Sera
2009‐01‐28

Amartya Kumar Sen, 75 anni, indiano, premio Nobel nel 1998, è insieme economista e filosofo. Per lui il progresso non è solo crescita del Pil, ma della libertà personale di scelta. È tornato in Italia nei giorni scorsi per tenere una lezione al convegno della Legacoop sull’economia cooperativa.

Professor Sen, con Obama presidente Usa, la globalizzazione diminuirà?
«Sul piano politico, ci possiamo aspettare un' espansione della globalizzazione, perché il presidente Obama, giustamente, promette un metodo multilaterale nel prendere le decisioni invece dell'unilateralismo delle precedenti amministrazioni. Sul piano economico, invece molto dipenderà da che cosa si deciderà in concreto, a partire dagli Usa».
Al suo esordio Tim Geithner accusa la Cina di manipolare il renmimbi…
«Il segretario al Tesoro americano esprime l'opinione, condivisa da Obama, che i cinesi abbiano tenuto artificialmente basso il cambio per rendere più difficile la competizione agli altri paesi. I cinesi dovranno fare attenzione a che cosa pensa Washington. Ma è più probabile che decidano in base al loro interesse nazionale tenendo conto anche degli equilibri politici generali e non solo bilaterali ».
In effetti, si è ormai rotto l'equilibrio tra i paesi esportatori con un surplus di risparmio e gli importatori con debito crescente.
«La dipendenza degli Usa e degli altri paesi con una forte e irresponsabile tendenza a spendere più di quel che guadagnavano per acquistare beni di consumo è stata incoraggiata dalla tendenza cinese a risparmiare molto.
Ma credo che la soluzione non stia nella riduzione delle relazioni economiche tra Usa e Cina. A fare la differenza potrebbe essere l'ulteriore estensione sia dell'import dalla Cina che dell'export verso la Cina da parte degli Usa come dell' Europa e altre regioni».
In Europa si teme che possa infine emergere un asse cino-americano che metta fuori gioco il resto del mondo.
«Questa è paranoia. Non c'è ragione per pensare che Cina e Usa possano ballare il tango da soli, mentre tutto il mondo sta a guardare. L'economia americana è in difficoltà perché le persone non sanno risparmiare. Certo, durante una recessione, la follia consumistica potrebbe portare un vantaggio: c'è bisogno di gente che spende. Ma nel lungo termine il problema va risolto».
I governi intervengono nell'economia finanziandosi con nuovo debito pubblico. Si combatte il debito con il debito. Non è paradossale?
«Non mi pare. Il debito diventa insostenibile se è mal fondato, come nel caso dei subprime. Il debito cattivo e la cattiva gestione finanziaria sono una causa della crisi, ma c'è pure la gestione sbagliata della crisi. Dare soldi alle banche senza incentivi per far loro fare quello che i governi volevano è stato uno spreco: o crei incentivi forti tenendo il sistema bancario privato oppure nazionalizzi le banche, affinché le banche possano ritrovare la fiducia reciproca, prestarsi il denaro e sbloccare il credito all'economia».
Il debito delle famiglie deriva anche dalla stagnazione delle retribuzioni reali, mentre i ricchi diventavano sempre più ricchi.
«La riduzione delle disuguaglianze in America è buona di per sé, ed è anche meglio per la stabilità dell'economia: può aiutare molto ad avviare la ripresa. Certi osceni guadagni hanno contribuito solo a minare la fiducia».
Le banche centrali aumentano la base monetaria. Rischiamo l'iperinflazione?
«E' un rischio molto piccolo. Quando molti paesi stanno collassando, credo sia più importante espandere la domanda. I rischi più gravi sono la disoccupazione e la sfiducia».
Tornare a Keynes, dunque?
«Non solo. A Keynes non a interessavano la riduzione della disuguaglianza e i servizi sociali. Se ne è occupato di più Bismark. E sarebbe importante tornarci oggi. La recessione sta colpendo i più svantaggiati. Gli Usa devono concentrarsi sull'assicurazione sulla disoccupazione e sul servizio sanitario nazionale e sull' accesso universale al servizio».
Più welfare dunque?
«Welfare ha una connotazione negativa assistenzialista...».
Più socialismo, allora?
« Nemmeno. E' un termine senza più un gran significato. Più servizi sociali, direi. Più beni pubblici: la tua salute influenza anche la mia; se la tua produttività si abbassa, anche questo ha un effetto su di me. Servizi sanitari, sicurezza sociale e istruzione sono servizi di cui dovrebbe occuparsi lo Stato. Se questo è socialismo, chiamiamolo pure socialismo».
Ma la fiducia?
«L'espansione dell'economia ha bisogno di quelli che Keynes chiamava gli animal spirits. Ma Keynes non ha dato abbastanza importanza al ruolo della psicologia. E invece, come ci ha insegnato Pigou, la recessione e l'espansione derivano dagli eccessi di pessimismo e di ottimismo. Adesso ci troviamo a metà di una fase di eccesso di pessimismo e Obama dovrà gestire questa situazione. E potrà ricavare utili lezioni pure da Beveridge, Adam Smith e Karl Marx».

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Ci confrontiamo su questi 2 articoli del Nobel Amartya Sen scritti a distanza di qualche mese e che vi trovate in allegato. Il primo del mese scorso è apparso su repubblica, l’altro che già avevamo discusso a gennaio sul corriere della sera.
La crisi finanziaria ed economica che ci sta investendo chiede un di più dei soli rimedi prossimi che un governo può fare. Anzitutto richiede visione e Sen ci invita ad andare oltre all’economia Keynesiana che è il prodotto della crisi degli anni trenta. Sen guarda a Pigou e ad una nuova comprensione di idee più vecchie, come quelle espresse da Adam Smith ma anche di Marx, molte delle quali sono state purtroppo dimenticate, trascurate o tradotte ideologicamente per parte presa.
Non vuol dire sposarli totalmente ma, almeno dal mio punto di vista, Sen non fa altro che aprire come suo classico la riflessione tra mercato e stato a considerare il soggetto società civile e aspetti
relazionali invitando a più servizi sociali, più beni pubblici, di certo di welfare community, che siano altro da una riproposizione del capitalismo di prima corretto: “la tua salute influenza anche la mia; se la tua produttività si abbassa, anche questo ha un effetto su di me. Servizi sanitari, sicurezza sociale e istruzione sono servizi di cui dovrebbe occuparsi lo Stato. Se questo è socialismo, chiamiamolo pure socialismo”.
Invita inoltre alla necessaria e lucida percezione di come operino realmente le diverse istituzioni e di come una vasta gamma di organizzazioni (da quelle mercantili a quelle che sono istituite dagli stati) possano andar oltre le soluzioni a breve termine e contribuire così a formare un mondo economico più onesto e soddisfacente.

Credo che sia un articolo che offra diversi spunti su cui aprire un confronto per l'economia del futuro.
Via allego alcuni spunti che come nuove generazioni avevamo tratto dal primo articolo e che così continuiamo.

Se vorrete, attendo vostre risposte ed eventuali quesiti che si apriranno, affinché poi li gireremo agli amici interessati o altri che vorranno riflettere con noi per ampliare il confronto.

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Obama o non Obama la globalizzazione tenderà ad aumentare, anche se nel breve alcune pratiche protezionistiche messe in atto per fronteggiare la crisi potrebbero limitarla, ma sarebbero solo cerotti su un colabrodo.
La Cina manipola il renmimbi, questo è sicuro. Ha anche provato a chiedere di sostituire il dollaro con un'altra valuta per gli scambi internazionali, ma per il momento non li sono stati a sentire (sottolineo per il momento...).
I cinesi prima o poi inizieranno a consumare un po' più alla maniera degli occidentali, e probabilmente sarà un bene per tutti. E' auspicabile che la cosa sia accompagnata da una maggiore consapevolezza dei loro diritti (non vorrei che prendessero dall'occidente tutti i vizi e nessuna virtù...).
Più che asse cino-americano, io mi preoccuperei della forza che avranno Cina, India e Brasile fra qualche anno. Il mondo ha cambiato tante volte la testa, ma noi che siamo vissuti nel mito dell'America forse faremo in tempo a vedere la più rumorosa "caduta degli dei" di sempre.

Indebitare gli Stati per regalare soldi alle banche è puro masochismo, e forse qualcuno se ne sta accorgendo. Le banche vanno salvate per permettere all'economia di continuare a funzionare, ma i cittadini devono avere qualche vantaggio dal permetterlo (se tramite la nazionalizzazione o con partecipazioni statali lasciando l'amministrazione ai privati, è un discorso complesso).

Abbiamo ascoltato di recente come in America i dipendenti preferissero non vedersi aumentare lo stipendio per far guadagnare di più la propria azienda e di conseguenza vedere salire il valore delle proprio stock options... direi che ritornare ad una giusta retribuzione per il lavoro svolto sarebbe più sano per tutti.

La disoccupazione è un classico misuratore delle crisi e anche questa volta sta fotografando bene la situazione (e i prossimi dati dovrebbero essere ancora peggiori, almeno per l'Europa che sta percorrendo il cammino degli USA con qualche mese di ritardo), la sfiducia è alla base di questa particolare crisi che è partita dal credito (e quindi proprio dalla fiducia) anche se qualcosa è stato fatto (ad esempio il tasso Euribor è velocemente sceso come era drammaticamente salito). Quello su cui non sono d'accordo è il basso rischio di iperinflazione: la soluzione di pronto intervento di una crisi da eccesso di debito dovuto ad un lungo periodo di tassi bassi, è stata quella di azzerare i tassi... è come voler guarire una persona a cui hanno sparato, sparandogli una seconda volta; nel breve era una delle poche misure praticabili, ma nel medio la pagheremo passando da un rischio deflazione ad un rischio inflazione (che poi dei due scenari sia il meno peggio, è un altro discorso, ma inflazione accompagnata da bassa crescita sarebbe un disastro).

Sul fatto di approfittare della crisi per migliorare il mondo ("Più servizi sociali","Servizi sanitari, sicurezza sociale e istruzione sono servizi di cui dovrebbe occuparsi lo Stato") sono d'accordissimo.
Peccato che siano tutte cose che hanno bisogno di soldi. Io sto ancora aspettando qualcuno che trovi questi soldi in un modo diverso dallo stamparli la notte (ormai quelle rotative non ne potranno più...).

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Come ci ha insegnato Pigou, la recessione e l'espansione derivano dagli eccessi di pessimismo e di ottimismo. Adesso ci troviamo a metà di una fase di eccesso di pessimismo". L'articolo è del 28/1/2009, se quel giorno ci trovavamo a metà dell'eccesso di pessimismo, potremmo vedere davvero i 320 punti di SP500 nel 2011 come dicono i più pessimisti analisti ciclici (nel 2007 era 1.500 adesso, come a fine gennaio, è a 850 dopo un minimo a marzo di 666). Se questo scenario si avvera, le lacrime di questi mesi ci sembreranno sorrisi in confronto a quello che ci aspetta.

Sulla responsabilità sociale di impresa... bel tema anche se aiuterebbe già tanto che: le imprese facciano bene il loro lavoro pagando le tasse, stando dentro i parametri ambientali, non uscendo quindi dalle leggi, ma parlo di una situazione sostanziale, non di una mera e ipocrita facciata. Se si realizza ciò, con le tasse raccolte (e come sappiamo bene ne mancano tante) si devono realizzare quegli ammortizzatori sociali che permettano a chi è fuori di poter ritrovare un lavoro. Se l'impresa non ha domanda non può sostituirsi allo stato in quanto previdenza sociale e pagare i dipendenti per non far niente!
Questa è una prima approssimazione del mio pensiero un poco provocatoria. Magari ve la espongo a voce in maniera più esaustiva....purtroppo qui ci si scontra con i limiti di una soluzione locale a fronte delle forti responsabilità di tutto quello che manca da parte dell'amministrazione nazionale.

L'articolo di Sen... è molto blando, le cose sono complesse e l'articolo per forza di cose è divulgativo e semplificante. Riguardo a Keynes dice che fra le giuste politiche economiche che suggeriva (stimolo della domanda aggregata attraverso l'aumento della spesa pubblica) manca la parte, riconosciuta per esempio a Bismarck, che mira alla redistribuzione ed ai programmi più sociali. L'idea sottostante è che effettuando una sperequazione della ricchezza (prendere qualcosa ai ricchi per dare ai poveri) si rilanci l'economia anche attraverso un indiretto stimolo ai consumi. Il punto mi sembra quindi che più che far spendere al settore pubblico le politiche sociali vogliono far tenere alti i consumi della maggior parte dei cittadini... per intenderci l'apporto fondamentale che diede Keynes alla teoria economica fu appunto questo: non si può solo guardare al lato della produzione, se la domanda crolla il vortice negativo si attiva e risucchia dietro la parte dell'economia che prima funzionava anche molto bene. Risulta quindi fondamentale sostenere la domanda aggregata, composta da spese dei privati e spese pubbliche. La provocazione molto famosa che fece era: paghiamo disoccupati per scavare e riempire le buche, solo facendo questo l'economia si riattiverà! E la storia, in un certo qual modo gli diede ragione.
Comunque Keynes portava l'attenzione su un aumento della spesa pubblica nei periodi di crisi; Sen accenna l'importanza di non far soffrire i più deboli durante le crisi e anche dargli dei soldi per far riaumentare la spesa privata.
Quando tira in ballo Pigou vuole solo far notare che per battere gli eccessi di pessimismo durante le crisi (come gli eccessi di ottimismo durante i periodi di forte espansione) è importante il ruolo della psicologia, considerazioni ancora non presenti in Keynes che vanno ad integrare il suo pensiero, non a contraddirlo.

Credo che il Nobel Sen stia sottovalutando il pericolo inflazione, che sebbene non sia vicinissimo potrebbe colpirci già nella seconda metà del 2010.
La teoria quantitativa della moneta credo chiederà un tributo di sangue a fronte dell'espansione della massa monetaria.
Da crisi come quella attuale si esce certamente con una riflessione sul reale benessere delle persone, con conseguenti azioni sui servizi sociali; ma sono necessarie anche riflessioni sulla direzione e soprattutto sul senso del lavoro e della crescita economica.
Sicuramente dovrà essere rivisto il meccanismo con cui si valuta l'aumento del PIL e ci si dovrà avviare verso quell'indice di benessere sociale più volte richiamato da Zamagni ma anche alla proposta di Latouche.
Per quanto riguarda il detonatore della crisi i c.d. mutui subprime credo che il problema vada spostato sul problema del lavoro, o meglio della creazione di nuovi posti di lavoro e soprattutto nella fine del precariato.
Al proposito vorrei ricordare che lo sviluppo italiano degli anni 60 e anche 70 (parzialmente) è dovuto alla disponibilità di lavoro fisso e a tempo indeterminato.
Solo ritornando a quel modello si potrà vedere la ripresa duratura altrimenti passeremo da una crisi all'altra con periodi più o meno lunghi di stabilità e modesta crescita.
Il problema Cina non riguarda solo la Cina ma tutta l'area asiatica.
Credo che se la CINDIA non aumenti considerevolmente il proprio consumo interno saremo presto al punto di partenza. Parimenti credo che se i nostri grandi imprenditori non smettono di delocalizzare le proprie attività quello che rimarrà dell'occidente sarà veramente poco.
I mutui subprime non sono che il detonatore di una crisi cominciata molto tempo prima e che solo alcuni sono riusciti a vedere (Benettazzo).
Se non si riparte dal lavoro e dalla creazione di nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato non si uscirà dalla crisi se non solo provvisoriamente.
Ancora. Se non c'è lavoro presto non ci sarà neanche più Stato e ancor prima i sussidi e lo stato sociale non saranno che un ricordo. A meno di una guerra all'orizzonte ............. (d'altronde la guerra non è una prosecuzione dell'economia con altri mezzi????)

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