domenica 18 aprile 2010

Intervista a Pierluigi Ciocca - Il declino economico visto da Carlo Maria Cipolla

a cura di Carlo Pantaleo
Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Appunti del seminario “Carlo Cipolla. Il declino economico, fra storia e teoria”
tenuto da Pierluigi Ciocca, Università la Sapienza.

L'undicesima edizione delle “Meditazioni riminesi” organizzata dalla Biblioteca Gambalunga del Comune di Rimini è dedicato alla riflessione sull’economia, alla “filosofia delle ricchezza” come ben sintetizzato dal titolo. Quest'iniziativa presenta alcuni caratteri di novità: innanzitutto per la sua genesi, grazie alle sollecitazioni dell'Associazione e Centro Studi “Nuove Generazioni”, all'apporto scientifico della Facoltà di Economia del Polo riminese dell'Università di Bologna, al contributo della Società Italiana degli Economisti, nonché per i modi in cui si realizza. Oltre alle conferenze domenicali destinate al più vasto pubblico , infra-settimanalmente vi sono dei seminari di approfondimento dal titolo “Governare la crisi, il contributo del pensiero economico italiano”. Nel corso di questi che si tengono presso l'Aula Alberti dell'Università, vi stanno prendendo parte alcuni autorevoli economisti che parlano di grandi interpreti italiani delle crisi passate.
Il seminario del 18 febbraio ha per tema “Carlo Cipolla. Il declino economico, fra storia e teoria” ed è stato tenuto da Pierluigi Ciocca economista nella Banca d'Italia. Insegna Storia economica all'Università La Sapienza di Roma, direttore della “Rivista di Storia Economica” fondata da Luigi Einaudi e consigliere di amministrazione dell'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, ha pubblicato: “Banca, Finanza, Mercato”, “Le vie della storia nell'economia”, “Ricchi per sempre? Una storia economica d'Italia 1796-2005”, ha curato con I. Musu Economia per il diritto. Saggi introduttivi.
Carlo Maria Cipolla (1922-2000), storico di fama mondiale si è occupato sia di temi di lunga durata, quali la storia dei prezzi e delle monete, della tecnologia, dell'istruzione, della popolazione, sia di episodi cruciali della storia italiana, europea, mondiale. Ha indagato il declino economico dell'Italia sofferto nel Seicento, sia in senso assoluto che rispetto ad altri paesi europei, che aggraverà lo storico ritardo con cui l'Italia unita dovrà fare a lungo i conti. Cipolla nella sua analisi fonde le due diverse anime della storia economica, quella prettamente storica e quella matematica, arrivando a concludere che il predominio mondiale acquisito dall'Europa dei secoli XVIII e XIX non è un fenomeno casuale e improvviso, ma l'inevitabile conseguenza sopratutto dell'intraprendenza e degli sviluppi culturali, tecnologici ed economici che si verificarono del corso del Medioevo e del Rinascimento. Alcuni testi fondamentali di Carlo Maria Cipolla sono: “La storia economica”; “Introduzione alla storia economica”, “Storia economica dell'Europa pre-industriale”, “Le avventure della lira” e “Allegro ma non troppo”. Abbiamo rivolto al Prof. Ciocca le seguenti domande in merito al tema trattato.

Perché nell'indagine dello storico Carlo Maria Cipolla viene individuata la fragilità italiana proprio nel debito pubblico?

Il debito pubblico resta uno degli ostacoli principali al ritorno alla crescita dell'economia italiana. Cipolla l'ha studiato per periodi lunghi notando questo nesso fra debito pubblico e crescita economica. Un nesso perverso che sperimentiamo ormai da alcuni decenni. Ci sono stati dei progressi nella riduzione del rapporto debito-prodotto interno lordo, ma esso continua a frenare la crescita dell'economia italiana per più vie: costringe a una pressione fiscale elevata, genera incertezza, esercita pressione sui tassi di interesse, limita le risorse disponibili per investimenti e infrastrutture.


La spaccatura tra Settentrione e Mezzogiorno è una costante nella storia d'Italia. Cosa fare per superarla, anche alla luce delle ricerche di Cipolla?

Cipolla è stato molto netto su questo problema riandando alle radici alto medievali del divario fra il Mezzogiorno e il resto del Paese, in particolare riguardo al nord. C'è un articolo famoso del 1996 su “Il sole 24 ore” dal titolo sferzante: “Il caso Mezzogiorno? Colpa dei Normanni”. Questa è l'impostazione che ha dato Carlo Maria Cipolla nel senso che da allora prevale, aldilà dei Normanni, attraverso diverse vie, una tendenza secolare del Mezzogiorno all'attività agricola, al latifondo, a una popolazione contadina numerosa, sparsa e frammentata, a un vuoto di classe media e di borghesia. La conclusione di Cipolla è che quello del divario nord sud è un problema in senso lato culturale, affondando le radici nella storia. Non è pensabile che sia risolvibile in tempi brevi, ma va affrontato in primo luogo sul lato istituzionale e culturale.

In questo autore quale contributo al pensiero economico italiano si riconosce nella sua azione e riflessione?

Carlo Cipolla (1922-2000) ha dato innumerevoli, preziosi contributi alla storiografia del mondo, dell’Europa, dell’Italia nell’arco di oltre mezzo secolo della sua vita di studioso, a cominciare dagli studi sulla moneta, tra i quali si segnalano “Moneta e civiltà mediterranea” e “Le avventure della lira”. Si è occupato di storia economica della popolazione mondiale: “The economic history of world population”, del 1962, ha avuto molteplici edizioni in quindici lingue. Ha curato la “Fontana Economic History of Europe”, in nove volumi, dedicando alla storia economica europea una monografia di grande successo (“Storia economica dell’Europa pre-industriale”). Fondamentali sono i suoi studi sul problema sanitario nell’Italia rinascimentale, come pure la sua analisi sulla decadenza economica della Penisola italiana nel Seicento. L’equilibrio di potere fra l’Europa e l’Oriente è trattato in modo originale in “Guns and Sails in the Early Phase of European Expansion 1400-1700”. Sul piano del metodo Cipolla ha affidato al volume “Tra due culture. Introduzione alla storia economica”, del 1988, la lezione secondo la quale dallo storico dell’economia si pretendono l’erudizione, la sensibilità, l’attenzione ai casi specifici proprie dello storico e la padronanza degli strumenti teorici, matematici e statistici propri dell’economista. Non si possono infine non citare le sue “Tre storie extra vaganti”, “Il linguaggio degli occhi” e infine il best seller “Allegro ma non troppo”, con le fondamentali leggi cipolliane sulla stupidità umana: all’apparenza un giocoso divertimento, in realtà un insieme di riflessioni profonde sull’animo umano.


Per rilanciare l'economia mondiale quale insegnamento si trae dalla storia economica?

Noi viviamo una congiunzione di instabilità finanziaria da un lato e di attività economica flettente, in particolare nei paesi industriali, nell'area dell'OCSE. La situazione è diversa nelle economie emergenti, in particolare asiatiche. Questa congiunzione è grave e negativa, andrebbe attaccata agendo contemporaneamente su entrambi i fronti. Da un lato occorre restituire un funzionamento normale ai mercati finanziari in senso lato e agli assetti creditizi. Dall'altro lato va sostenuta la domanda globale, non soltanto con spesa pubblica e detassazione, ma anche governando le aspettative, orientandole in una direzione più positiva. Questo è quanto di cerca di fare, almeno in alcuni Paesi.

In tempo di crisi economica diventa ancor più importante lo sviluppo locale. Quali leve muovere per innescare lo sviluppo autonomo di aree produttive territoriali fortemente specializzate, come lo sono quella riminese riguardo turismo e manifatturiero?

Molto dipenderà dal contesto generale, in particolare europeo. Se si tarderà nel superamento di questa fase recessiva le ricadute negative potranno essere particolarmente serie per un sistema produttivo, pur avanzatissimo e attivissimo, quale quello romagnolo, in particolare per quanto riguarda il settore del turismo. C'è un problema di costi, c'è un problema di prezzi, non direi di qualità dei servizi, perché essa è tradizionalmente assicurata, in specie a Rimini!

I Comuni, le Provincie, storicamente sono state il riferimento dell'Italia, il tessuto sul quale si è creato quel municipalismo naturale che ha costruito l'Italia. Quali sono i punti di forza e le azioni che dal livello locale è possibile attivare per fronteggiare la crisi -che è di tipo internazionale e finanziaria- e vincere così la sfida?

Uno degli ostacoli alla crescita della produttività italiana è ravvisabile nel contesto, in senso lato, infrastrutturale. Mi riferisco non soltanto alle infrastrutture materiali e fisiche, ma anche a quelle immateriali che vanno dall'ordinamento giuridico agli assetti amministrativi. Questa carenza che l'economia italiana accusa da 15-20 anni è in notevole misura dovuta alle condizioni difficili della finanza pubblica: mancano le risorse, ma vi si può supplire, partendo da quell'autonomia e quella vivacità notevoli di città del centro nord, delle quali Carlo Cipolla ricorda quanto fosse forte anche nel passato. Si tratta di supplire in parte, in sede locale, a carenze di risorse del bilancio pubblico della pubblica amministrazione centrale. Non è soltanto un problema di denari ma anche un problema di qualità e di corrispondenza con la struttura dell'economia. La caduta della produttività in tutta l'economia italiana, e particolarmente nell'industria manifatturiera -in cui è particolarmente grave-, è riconducibile in notevolissima misura a un appannamento della spinta a innovare, a introdurre novità di processo e di prodotto. L'appannamento è dovuto a molteplici fattori che io riduco a quattro: la condizione della finanza pubblica, la condizione delle infrastrutture di cui abbiamo parlato, il calo del grado medio di concorrenza nell'intera economia italiana (e quindi nelle sollecitazioni che stimoli concorrenziali possono imprimere ai produttori), e infine, la dimensione medio piccola dell'impresa italiana. Quest'ultima è una caratteristica antica del nostro sistema economico ed è anche un punto di forza, ma deve unirsi -e questo non è avvenuto negli ultimi 15 anni- almeno in alcuni casi, a una dinamica che spinga alla crescita sia dimensionale che qualitativa di alcune imprese che da piccole diventerebbero medie, e da medie diventerebbero grandi. In questo modo esse farebbero da traino, da esempio e da “rompighiaccio”.

Nessun commento:

Posta un commento

Prima di lasciare un commento, controllare le istruzioni nella pagina: "Nuove Generazioni: fine e metodo"