Valori e rischi relativi al Tricolore e alla Costituzione
di Luciano Corradini
professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre
Lo sventolio del Tricolore e del testo della Costituzione, che ha caratterizzato la manifestazione del 12 marzo in diverse piazze d’Italia, è stato salutato come un segno di maturità e di speranza per il nostro Paese, ma anche come un evento che contribuisce ad approfondire le sue divisioni culturali e politiche, con la “strumentalizzazione” di quei simboli. Tricolore e Costituzione simboleggiano i valori espressi, in estrema sintesi, dai due motti latini scolpiti sul Vittoriano, che è dedicato appunto all’unità della patria e alla libertà dei cittadini.
Non è certo scandaloso che, in nome di questi simboli universali, un certo numero di cittadini si mobiliti per difendere valori costituzionali che ritiene sacrificati più o meno gravemente e colpevolmente dal Governo e dalla Maggioranza. Questo rientra nelle regole del gioco, essendo la Costituzione da un lato un complesso di garanzie, dall’altro un impegno programmatico a realizzare sempre più e sempre meglio nella prassi i principi e i valori che tutti hanno il dovere di riconoscere e promuovere.
Il rischio è che, nel fervore della dialettica politica e nel complicato processo di comunicazione veicolato e talora distorto dai media, qualcuno ritenga che quei simboli siano stati “sequestrati” da una parte e non più utilizzabili dall’altra: ossia che si degradi e si riduca la loro autorevolezza simbolica super partes, come comune punto di riferimento.
Felice Italia, indipendente Italia
Biblioteca civica Gambalunga
15 marzo – 2 aprile 2011
lunedì-venerdì ore 8-19; sabato 8-13
Mostra di documenti dalle raccolte della Biblioteca civica Gambalunga
La Biblioteca Gambalunga festeggia i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, proponendo, attraverso una piccola esposizione di documenti allestita dal 15 marzo al 2 aprile nei suoi Spazi aperti, una testimonianza sulla partecipazione della città alle vicende risorgimentali. Per tutto l’arco del Risorgimento intere famiglie riminesi, per più di una generazione, parteciparono a cospirazioni e moti; molti giovani partirono volontari per le guerre d’indipendenza; numerosi patrioti pagarono con la vita e il carcere il loro ideale.
Da dieci dei documenti esposti, sono state tratte cartoline che riproducono i momenti salienti del percorso risorgimentale; fra cui i tre eventi in cui il nome di Rimini fu al centro delle vicende italiane: nel 1815, quando il 30 marzo Gioacchino Murat emise da Rimini un proclama che faceva appello al sentimento nazionale degli italiani, nel tentativo di formare un Regno italiano indipendente e costituzionale; il 25 marzo 1831, con la battaglia delle Celle, combattuta contro gli austriaci e narrata da Giuseppe Mazzini nel suo primo scritto politico; con la sommossa scoppiata in città il 23 settembre 1845, citata da Massimo D’Azeglio nel suo Degli ultimi casi di Romagna.
Le cartoline verranno distribuite in omaggio agli utenti che in questo mese prenderanno libri in prestito, e messe in vendita ai seguenti costi: 1 cartolina: 1.50 Euro; 10 cartoline: 10, 00 Euro; Il Proclama di Rimini: 5 Euro.
Novità editoriali, romanzi, biografie e saggi sul Risorgimento costituiscono inoltre proposte di letture del bollettino tematico del mese.
I 150 anni dell’Unità d’Italia
Sono partite mercoledì 5 maggio da Genova, con la presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’ Italia. Questo fatto mi induce ad alcune riflessioni che vorrei mettere per iscritto e socializzare con i lettori.
Il primo dato di fatto che vorrei mettere in evidenza, è la riscoperta del federalismo, che durante il periodo risorgimentale, era una posizione assolutamente minoritaria e ridotta a pura testimonianza, a cominciare dal suo esponente più noto Carlo Cattaneo, uno degli esponenti di spicco della rivolta dei milanesi contro gli austriaci che passò sotto il nome delle 5 giornate di Milano, che avvenne nell’anno 1848. Anche la proposta di una organizzazione più decentrata dello Stato fatta dal bolognese Marco Minghetti non fu presa in considerazione.
Adesso pare, sembra che il federalismo sia diventato la panacea di tutti i mali, la soluzione di tutti i problemi che affliggono il nostro caro paese. Un processo politico assolutamente marginale nel periodo del risorgimento, come era il federalismo, è diventato un elemento fondamentale della agenda politica di questo periodo.
Tutti lo vogliono, dalla Lega, che lo ha riscoperto per primo, anche se il limite fra federalismo e secessione non è mai stato ben definito, dal Pdl fino al Pd. Però bisogna vedere che federalismo verrà fuori e i decreti attuativi che lo sosteranno e se le regioni più deboli non saranno penalizzate a scapito delle regioni più forti economicamente. Seguiremo il dibattito.
E pensare che la destra storica che governò l’Italia, subito dopo l’unità, fece una scelta controcorrente per quel che riguarda l’organizzazione dello Stato, facendo in un certo senso violenza rispetto al loro modo di pensare, che era più propenso a un modello federalista. Esso fu scelto come sostiene il prof. Zuffoletti, uno che ha studiato per anni la materia, un modello francese di stampo napoleonico imperniato sulla figura del prefetto, cosa che dura tuttora, per una serie di ragioni non ultima, quella di non consegnare intere fette, interi territori del nostro paese, nelle mani della criminalità organizzata delle regioni del Sud, problema che purtroppo si ripropone ancora oggi. Alcuni studiosi come il prof. Aprile, autore de libro “Terroni”, che quest’estate è stato presentato anche a Riccione, sostiene che la camorra cominciò a prosperare subito dopo la costituzione dello stato unitario e che i piemontesi ingaggiarono la camorra locale per mantenere l’ordine pubblico subito dopo la caduta della dinastia dei Borboni.
Io non voglio fare il revisionista a tutti costi, ma sono sempre stato contrario all’enfasi e al trionfalismo con il quale è stato descritto il nostro risorgimento, specialmente sui nostri testi scolastici, sono sempre stato propenso ad ascoltare anche le ragioni dei vinti, non solo quelle dei vincitori, e sono anche convinto che il brigantaggio non fu soltanto una questione di ordine pubblico, ma un rivolta da parte della popolazione del sud, che aveva anche l’appoggio del clero e della Casa Reale Borbonica, contro le truppe di occupazione savoiarde.
Un problema di rivolta sociale, a causa della mancate promesse fatte dai Savoia, come la riforma agraria fu considerato esclusivamente come una questione di ordine pubblico, il brigantaggio per me non fu altro che il braccio armato dello scontento sociale meridionale.
Ho letto recentemente che è stato scoperto un documento in cui si dice che il primo ministro Menabrea nel 1868, chiese a varie potenze europee che avevano possedimenti in Africa e in America, questa cosa fu chiesta anche alla Tunisia, di costruire un carcere per i meridionali, come una specie di Guantanamo, allo scopo di recidere i legami del brigantaggio col suo humus sociale, cosa che doveva avvenire trasferendo i meridionali in un centro penitenziario in un altra parte del pianeta.
Furono interpellate l’Inghilterra, l’Olanda e la Tunisia, ma tutte risposero picche alla richiesta dei Savoia. La notizia è stata pubblicata sulla Gazzetta del Mezzogiorno, che si è basata su documenti diplomatici conservati nell’archivio storico della Farnesina.
Mi piace approfondire le cose, per questo ho citato questo fatto.
Ritengo anche che fu distrutto uno Stato come il Regno delle Due Sicilie, con i raggiri diplomatici attuati da Cavour, di cui era un vero esperto, senza che mai gli fosse stata presentata la dichiarazione di guerra, come si usa in queste circostanze. Dopo l’attentato all’Arciduca austriaco di cui al momento mi sfugge il nome, Franz Ferdinand avvenuta a Sarajevo per mano di Gavrilo Princip, l’Austria Ungheria presentò l’ultimatum alla Serbia, e poi la dichiarazione di guerra. In politica e in diplomazia il rispetto delle regole formali equivalgono alla sostanza delle questioni. È solo per fare un esempio.
La spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi che partì dallo scoglio di Quarto a Genova, fece parte di questo disegno ordito da Cavour con l’appoggio delle diplomazie internazionali, in particolare l’Inghilterra, che voleva espandere la sua influenza commerciale nel Mediterraneo, e della massoneria che volevano far fuori il Regno delle Due Sicilie.
Detto questo, io mi sento italiano, non mi sento padano, tiferò per la nazionale italiana, nonostante le sirene contrarie che giungono dalla Lega Nord, stando le dichiarazioni della trota Renzo Bossi, che a quanto pare sono inascoltate anche dai lombardi D.O.C. come Gigi Riva, il noto ex calciatore che è nativo di Varese anche se vive a Cagliari, che ha duramente stigmatizzato le cose dette dal figlio di Bossi, che rappresenta in modo di pensare tipico di un certo elettorato che vota Lega Nord.
Il Papa al Presidente Napolitano per i 150 anni dell'Unità d'Italia
Alleghiamo qui sotto il testo del Messaggio che Papa Benedetto XVI ha inviato al Presidente della Repubblica Italiana, l'On. Giorgio Napolitano, in occasione dei 150 anni dell’Unità politica d’Italia. Il Messaggio è stato consegnato al Presidente dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, nel corso di una visita al Quirinale il 17 marzo 2011.
L’Unità d’Italia
di Patrizio Placuzzi
Il 17 marzo sarà il giorno deputato alle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Credo che una riflessione si imponga da parte di tutti, per valutare e misurare se se siamo davvero una nazione, o a 150 anni dall’Unità d’Italia ognuno va per conto suo e si ostina a cercare rifugio nelle proprie identità regionali. Questo fatto è anche il frutto della globalizzazione, che ha spiazzato un po’ tutti, in mancanza di punti certi di riferimento, la globalizzazione ha “costretto” tutti a mettersi in gioco, ognuno si rifugia nel proprio cantuccio caratterizzato dalle identità regionali, dall’esaltazione delle piccole patrie. È un processo inconscio che non ha niente di razionale, dettato dalla paura del nuovo, che porta tanta gente ad assumere una posizione difensiva che potremmo sintetizzare con la paura del diverso. Invece di misurarsi e di confrontarsi con le nuove sfide che la globalizzazione impone, si preferisce rinchiudersi e arroccarsi nella propria casamatta.
Questo a mio parere è lo scenario in cui è collocato il contesto per le celebrazioni dell’Unità d’Italia, e di questo fatto penso se ne debba tenere conto.
Giorgio Gaber scrisse tempo fa un canzone dal titolo: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono!”. Penso che il titolo della canzone di Gaber sia molto attuale e che serva come momento di riflessione sulla nostra italianità. Che per me è una cosa bella, ma è anche un peso da portare.
Faccio questa constatazione, rispetto al 150° anno dell’Unità d’Italia. Il concetto di federalismo, che durante il periodo del Risorgimento era un movimento di minoranza e che ha avuto in Carlo Cattaneo uno dei suoi maggiori esponenti, è diventato l’elemento principale dell’attuale dibattito politico nel nostro paese, la Lega minaccia di fare cadere il governo se non passerà il federalismo, che è sempre stato un suo cavallo di battaglia della sua proposta politica.
In base a questo fatto, cioè al ritorno del concetto di federalismo come risoluzione di problemi che attanagliano il paese, non solo per risolvere i problemi legati all’economia e al funzionamento dello Stato, ma anche quelli spiccioli di convivenza civile, c’è da chiedersi se l’Unità d’Italia sia stata fatta per davvero, nel senso se è stato davvero creato col tempo un concetto di appartenenza di un popolo, di avere costruito una casa comune in cui gli italiani si possano riconoscere.
Insomma c’è da domandarsi se l’Unità d’Italia sia stato un processo voluto solo da una borghesia in ascesa sul piano sociale o sia stato un invece un processo che ha coinvolto tutto il popolo italiano.
Penso al fenomeno del brigantaggio nel Sud, che per me non è stato solo un fenomeno di ordine pubblico, ma si è trattato di lotta di popolo contro uno stato invasore come il Piemonte che ricordiamolo, ha fatto scomparire dalla faccia della terra un regno come quello delle due Sicilie senza avergli dichiarato guerra, ma solo grazie agli intrighi internazionali organizzati da Cavour e dal suo sodale Costantino Nigra, all’azione compiuta da Giuseppe Garibaldi, che se per ipotesi non fosse riuscita, sarebbe stata immediatamente sconfessata da Cavour, che come prima ipotesi puntava a un Italia divisa in tre parti, il regno del nord sotto i Savoia, un stato centrale con lo stato Pontificio, e uno regno del Sud con la dinastia dei Borbone, che regnava sul regno delle Due Sicilie. Cavour faceva del cinismo politico la sua maggiore virtù, è stato spacciato per grande statista, come ci hanno sempre insegnato i testi scolastici in uso nelle nostre scuole pubbliche.
Sono riflessioni che butto lì, per stimolare un dibattito, se interessa a qualcuno, perché prima di tutto mi sento italiano e poi perché mi piace trattare questo argomento, mi ha sempre interessato.
Un’ultima cosa a margine della lettera, che ha a che fare indirettamente con l’immagine del nostro paese all’estero. Il mio amore sta in Africa, tempo fa mi telefonò dicendo che la tv del suo paese, che è il Camerun, parlò delle ultime vicende che hanno interessato il presidente Berlusconi. Rideva. Il bunga bunga è arrivato anche in Africa, nei villaggi tribali più sperduti, la tv là non arriva, solo nelle città, ma la gente gira, perché ha i parenti nei villaggi e parla, spargendo la voce e facendo anche i suoi commenti.
Non faccio commenti a questo proposito, prendo solamente atto dei fatti.
Dal Tricolore della rivoluzione al Tricolore della Costituzione
di Alberto Melloni
Ordinario di storia del cristianesimo nell'Università di Modena-Reggio Emilia
Riceviamo e pubblichiamo da Luigi Bottazzi presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia, la relazione fatta da Alberto Melloni a Reggio Emilia sul tricolore.