Testimoni nella storia


---------------------------------------------------------------------------------

Severini e Maritain: dialoghi sull’arte

Intervista di Riccarda Turrina
a Piero Viotto
già docente di pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano e Membro del comitato scientifico dell’Institut International Jacques Maritain

Lo studioso Piero Viotto illustra il carteggio fra il pittore e il filosofo che sarà presentato all’inaugurazione della mostra al Mart.

In oltre 250 lettere scritte fra il 1923 e il 1966 emergono le dimensioni di una relazione intellettuale di straordinaria fecondità.
La ricerca di un equilibrio fra l’autonomia della creazione e la sua funzione civile superando sia l’estetica liberale sia l’approccio socialista.

In che modo il pensiero di Maritain ha influenzato l’arte di Severini e viceversa?
«Maritain conosceva le opere di Severini prima di incontrare di persona l’artista. Già nel suo primo libro di estetica Arte e scolastica cita, elogiandolo, il libro di Severini “Dal Cubismo al Classicismo”, un’opera del 1921. La loro corrispondenza permette di conoscere il nascere e lo svilupparsi di una reciproca influenza. Il filosofo riflette sul lavoro dell’artista, ne segue la gestazione delle opere, e questi trova negli scritti del filosofo le motivazioni teoretiche del suo lavorare. Riconoscono insieme, sia pure con approcci diversi, da una parte l’autonomia dell’arte, che ha per fine il bene dell’opera, e dall’altra la responsabilità morale dell’artista».

Si può dire che la familiarità di Severini con gli scritti di Maritain abbia inclinato l’artista verso il neoclassicismo, o comunque verso il realismo?
«Assolutamente no. L’estetica di Maritain non è l’estetica di un particolare movimento artistico, perché individua i principi generali che reggono la creazione artistica e guidano la critica estetica, rilevando la forma intelligibile della bellezza che è presente in ogni indirizzo, fosse pure quello dell’arte informale.
D’altra parte Severini, come bene documentano i due cataloghi delle mostre di Parigi e di Rovereto, curate da Gabriella Belli e Daniela Fonti, con una lunga sperimentazione ha attraversato i più diversi movimenti, dal futurismo al divisionismo, dal cubismo al neoclassicismo. Maritain l’ha accompagnato in questa evoluzione intellettuale e si deve constatare che tracce di queste diverse esperienze persistono anche nelle ultime opere; basti ricordare l’olio “Primavera del 1954”».

La fede e il credo religioso sono stati determinanti in questa amicizia per il lavoro dei due protagonisti?
«Certamente; non si dimentichi che Maritain e Severini sono dei convertiti. Il filosofo, educato nella fede protestante, riceve nel 1906 il battesimo cattolico insieme a sua moglie Raïssa, un’ebrea russa, dopo che entrambi, che si erano sposati civilmente a vent’anni, erano diventati atei. L’artista, che aveva sposato civilmente nel 1913 Jeanne, figlia del poeta Paul Fort, conosce Maritain grazie ad un giovane sacerdote Gabriel Sarraute, con cui aveva fatto amicizia al Louvre, torna alla pratica religiosa dopo avere celebrato il matrimonio cattolico.
Entrambi testimoniano la loro fede nella vita e nelle opere, come risulta da questa corrispondenza, ma questa fede cattolica, nella filosofia dell’uno e nell’arte dell’altro, non diventa mai apologia, perché non strumentalizzano la religione, in quanto riconoscono il valore della libertà di coscienza, da rispettare in ogni uomo, e l’autonomia della ricerca filosofica e della creazione artistica».

Qual è il posto di Gino Severini tra gli artisti che i Maritain hanno frequentato?
«Tre sono gli artisti che i Maritain hanno conosciuto di persona. A casa di Léon Bloy hanno fatto amicizia con Georges Rouault, da cui furono iniziati alla storia dell’arte e di cui Jacques ha scritto sulle sue acqueforti incise per la Bibbia.
Durante la guerra, in America, hanno avuto rapporti con Marc Chagall per il quale Raïssa ha scritto un saggio e composto alcune poesie, che l’artista ha illustrato con i suoi disegni.
Ma è soprattutto con Severini che si ha una relazione continua, non frammentaria e occasionale, che coinvolge le due famiglie. Maritain segue la gestazione delle opere più importati dell’artista e gli sviluppi della sua creatività, Severini legge quasi tutti i libri che il filosofo scrive, non solo quelli di estetica, ma anche quelli di politica, di filosofia e di teologia. Entrambi si professano discepoli di san Tommaso e considerano la bellezza lo splendore del vero. Le loro mogli, Raïssa e Jeanne, si informano, reciprocamente, sulle gioie e sui dolori delle vicende familiari».


---------------------------------------------------------------------------------

Il sapere serve solo per darlo

a quaranta anni da Lettera ad una professoressa


Il Movimento Studenti di Azione Cattolica di Rimini (MSAC) invita la cittadinanza alla:

Mostra fotografica-multimediale per ricordare don Lorenzo Milani e la Scuola di Barbiana

Inaugurazione venerdì 9 dicembre alle ore 17.00
Sala dell'Assessorato piano terra,
ingresso RM25 - Corso d'Augusto 241- Rimini

La Mostra si svolgerà nei seguenti giorni e orari:
Venerdì 9/12 ore 15.00-19.00
Sabato 10/12 ore 15.00-19.00
Domenica 11/12 ore 10.00-19.00

La cerimonia di inaugurazione, con un buffet e una breve illustrazione, è prevista per Venerdì 9 alle ore 17.00.

I segretari MSAC Rimini
Michele Giovanardi
Davide Capelli

DESCRIZIONE MOSTRA

La strada per Barbiana è ancora oggi una specie di grossa mulattiera. La casa più vicina ad almeno mezzo chilometro, le altre sparse per i monti. Un paese che non è che una chiesa, una canonica e un cimitero.
Da qui, nel 1967, i ragazzi di una scuola speciale lanciarono un appello al Paese, riaffermando il ruolo primario dell'istituzione scolastica nella formazione del cittadino sovrano, rilanciando il diritto all'istruzione come presupposto per il diritto all'eguaglianza, denunciando una scuola che stava scadendo nella insipienza, o meglio, nella in-Sapienza.
E' la denuncia di Lettera a una professoressa, il manifesto del metodo educativo della Scuola di Barbiana, la scuola fondata dal giovane e renitente prete fiorentino don Lorenzo Milani, allontanato dalla Curia di Firenze in questo angolo sperduto del Mugello.
Una scuola per montanari, per i figli dei poveri, per i tanti ragazzi che la scuola di allora perdeva, smarrendosi nelle dinamiche del voto-registro, della promozione ai fini del diploma, del dovere degli insegnanti di affermare i meno capaci, i meno dotati, gli svogliati, in nome di un sapere che fosse privilegio dei più bravi, dei più intelligenti, dei meritevoli.
I ragazzi di Barbiana chiedevano una scuola che non preparasse al diploma, ma alla vita. Che non insegnasse saperi vuoti di senso, ma che attribuisse a tutto un fine grande. Il fine grande di Barbiana era il prossimo. E come vuol amare il prossimo se non con la scuola, la politica e il sindacato? Barbiana ci insegna che il Sapere non è prestigio ma serve solo per darlo.

E' per ricordare questa scuola, l'esempio del maestro che fu don Lorenzo, l'esperienza vissuta da questi ragazzi, che oggi, a quarant'anni di distanza, il Movimento Studenti di Azione Cattolica ripropone una riflessione sulla figura così controversa di questo prete fiorentino e sull'esempio educativo della scuola di Barbiana.
Il MSAC propone una mostra. Itinerante, tematica, attuale.
Itinerante, perché vogliamo che questa mostra, con le sue parole, le sue foto, la vita che racconta, possa arrivare a quanti più studenti è possibile, raggiungendoli nelle loro scuole, nelle loro province, sul loro territorio. Vogliamo sia patrimonio di tutti, che possa appassionare ogni studente ad una nuova idea di scuola e di studio.
Attuale, perché non si tratta di un amarcord celebrativo di un prete dalla vita un po' particolare, l'album fotografico di un'esperienza di scuola troppo speciale. Siamo convinti che Barbiana possa parlare ancora oggi e possa parlare agli studenti di questo tempo, ai loro sogni, alle loro domande di senso.
Tematica. La mostra proposta dal MSAC è divisa in tre sezioni: Barbiana e gli Ultimi, Barbiana e la Parola, Barbiana e la Costituzione. Sono tre temi di grandissima attualità, che possono contribuire al dibattito culturale in atto, qui e adesso. Mettono al centro le scelte educative di don Lorenzo, le rivendicazioni della Lettera: la scelta dei poveri, il dovere di un'eguaglianza da garantire, il ruolo primario del Sapere nella formazione della Persona, il servizio dell'impegno civile a cui è chiamato ciascun cittadino.

Barbiana era una scuola unica. Irripetibile, come diceva lo stesso don Milani. Sicuramente migliorabile.
Barbiana non è il modello di scuola ideale. E' una provocazione. Ma che ha la forza di parlarci ancora. E pretende di essere ascoltata.

---------------------------------------------------------------------------------

In memoria di Alcide De Gasperi a 57 anni dalla morte, e dei leader politici cattolici protagonisti dell'Unità d'Italia

Riceviamo e pubblichiamo da Luigi Bottazzi, Presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia

Omelia di Don Eleuterio Agostini

Ebbene in tutto questo discorso è opportuno anche ricordare questi amici, questi personaggi cominciando da Alcide de Gasperi, Aldo Moro e tanti altri nostri fratelli reggiani che poi nomineremo al momento della memoria dei defunti. Sono tutti dei laici che si sono impegnati nella vita quotidiana. Non abbiamo il tempo, non è neanche il momento più opportuno, però credo che una riflessione ce la possiamo concedere. È stato un grande passo avanti: il laicato ha ritrovato la sua dignità e la sua vocazione e anche una sua autonomia nell’ambito della vita della Chiesa. È questo l’aspetto particolare, distintivo degli uomini che oggi ricordiamo.

Anche se si sono trovati in qualche momento, non dico in contraddizione, ma in qualche modo in dissenso con la gerarchia della Chiesa. Ed è comprensibile: la gerarchia della Chiesa ha come fine la difesa della Chiesa, la diffusione della Chiesa, il progresso della Chiesa. È questa la sua ragione d’essere. Un uomo politico ha come scopo principale il bene del popolo che egli è chiamato a governare. Il fine e la ragione d’essere dei vari De Gasperi, Moro, eccetera, non era quello di difendere la Chiesa, di aumentare l’influenza della Chiesa, ma di fare il bene dell’Italia, pur affidandosi ad un’ispirazione cristiana. Sono due configurazioni profondamente diverse e distinte che segnalano, determinano l’autonomia del laicato in quanto soggetto di vita sociale, di vita politica ed economica nel senso più ampio del termine e della parola. L’ispirazione è colta nel vangelo di Gesù Cristo ma le circostanze storiche sono diversissime e comunque il fine lo scopo dell’azione della gerarchia non è precisamente quello dei laici impegnati in politica. Sono due sistemi diversi. È giusto che il laicato abbia in questa prospettiva una sua autonomia, una sua responsabilità precisa e quindi consideri e debba considerare delle ragioni, delle motivazioni che sono diverse da quelle che ispirano, preoccupano la gerarchia della Chiesa. Ed è comprensibile, ed è anche intelligente, rendersene conto che possono nascere dei dissidi in queste due diverse prospettive, anche se animate dallo stesso Vangelo di Cristo. È questa la lezione che ha dato Sturzo, non soltanto alla comunità cristiana italiana, e che poi si è andata via via affermando e approfondendo.

Ed è bello pensare, ad esempio che don Sturzo, che ha avuto le sue difficoltà con la gerarchia del tempo, e anche De Gasperi, sono due cristiani di cui si sta celebrando il processo di beatificazione. Hanno saputo vivere la loro vocazione, la loro responsabilità con assoluta rettitudine e impegno. Questo era loro richiesto e a questo hanno corrisposto. Così anche gli altri personaggi, anche se di livello minore, che intendiamo ricordare questa sera affidandoli alla bontà e alla misericordia di Dio.




Su Alcide De Gasperi
di Luigi Copertino Dottore in giurisprudenza, con tesi in Filosofia del Diritto, opera nel settore enti locali ed è giornalista pubblicista. Si è specializzato in “Studi dei valori giuridici e monetari” presso la cattedra di Teoria Generale del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo

Il tempo tiranno non mi consente maggior attenzione. Vorrei però, con riferimento all'articolo su De Gasperi, ricordare una vicenda. Pio XII, preoccupato che i comunisti conquistassero il comune di Roma nelle elezioni del 1950 o suppergiù, si adirò con De Gasperi perché quest'ultimo non voleva che la Dc romana si alleasse con la destra missina e monarchica. Questo costò a De Gasperi freddezza da parte del Papa che non volle riceverlo in udienza. De Gasperi accettò con umiltà questo "schiaffo paterno", pur protestando non per la sua persona quanto per il ruolo che in quel momento rappresentava di capo del governo. Eppure lo stesso Pio XII, quando lo statista trentino morì, fece giungere alla famiglia il suo personale atto di cordoglio e, in privato, affermò che De Gasperi era morto come era vissuto ossia da santo. Solo, forse, una cosa non aveva compreso De Gasperi, ma è comprensibile vista la persecuzione che egli subì dal fascismo. Non comprese, cioé, che la destra con la quale Pio XII avrebbe voluto che egli si alleasse non era affatto il "fascismo" che invece nacque e morì a sinistra (benché visse in compromesso con la destra). Un appunto, questo, che naturalmente vuole solo far notare che la storia si comprende meglio alla distanza e non quando si è troppo vicino agli avvenimenti. Del resto lo stesso De Gasperi ebbe modo, quando era rifugiato politico in Vaticano, di apprezzare la politica modernizzatrice del regime di Mussolini e quest'ultimo, negli ultimi mesi della sua vita, ebbe a dire - nonostante che i due si fossero politicamente combattuti prima del primo conflitto mondiale quando il futuro duce era esule a Trento a dirigere il giornale socialista di Cesare Battisti - che solo un uomo avrebbe potuto succedergli per fare il bene dell'Italia e che quell'uomo era Alcide De Gasperi. La storia, con la sua complessità ed imprevedibilità, ci coglie sempre di sopresa. O forse sarebbe meglio dire piuttosto che "storia" la Provvidenza.

---------------------------------------------------------------------------------

Collaboratore a diverse testate giornalistiche, è componente dell’Ufficio Stampa della FID, dell’”Osservatorio regionale sull’associazionismo di promozione sociale” della Regione Emilia – Romagna e della “Lega Pensionati Cisl San Vitale – Bologna”

Il 19 gennaio ricorreva il novantesimo anniversario dell’Appello ai “Liberi ed ai forti” di don Luigi Sturzo; una tappa fondamentale verso la formazione di un “partito politico di cattolici” nel nostro paese. I tempi sono profondamente cambiati, ma i valori di fondo dai quali “muoveva” il sacerdote siciliano e che si radicavano nella “Rerum novarum” sono un patrimonio da cui non può prescindere chiunque voglia intraprendere l’esperienza politica e la presenza nelle istituzioni. Ebbene l’intestazione ad Evaristo Guizzardi della strada dove ha vissuto con la famiglia a San Nicolò di Villola nel Quartiere san Donato di Bologna, prima di trasferirsi a San Donnino, è il riconoscimento non solo al ruolo di una persona che ha operato per il bene comune, che fu prima militante “popolare” e dopo aver partecipato alla Resistenza, fondatore della “Sezione DC Don Giovanni Minzoni” di San Donato e fra i fondatori della Polisportiva San Donnino, ma anche dell’azione positiva svolta dai cattolici democratici per il bene della nostra città.

Durante il periodo di attività clandestina Evaristo Guizzardi “collaborò con Angelo Salizzoni e Achille Ardigò, specialmente sui problemi concreti del lavoro e del sindacato”. Il distintivo dell’Azione Cattolica Italiana sempre presente al bavero della giacca e le tessere sindacali conservate dalla famiglia sono alcuni “segni” della vita del Cav. Evaristo Guizzardi in cui pensiero ed azione sociale erano vissuti alla luce della Dottrina sociale della Chiesa.

Biografia del Cav. EVARISTO GUIZZARDI (28 gennaio 1902 – 26 marzo 1975)

Per il lavoro sociale e politico svolto al totale servizio degli altri e della comunità venne insignito da Giovanni Gronchi del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana, onorificenza istituita con la Legge 3 marzo 1951, n. 178 destinata a “ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari.”


---------------------------------------------------------------------------------

Genesi, sviluppi e crisi
del marxismo secondo Maritain

di Piero Viotto
già docente di pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano e Membro del comitato scientifico dell’Institut International Jacques Maritain

Carissimi, non è precisamente esatto dire che viviamo in una età post’ideologica, perché le ideologie, che sono il veicolo del pensiero, quando questo si oggettivizza nella storia, persistono. anche se mascherate e male assimilate dai gruppi politici. Le ideologie liberali, personaliste, socialiste sono le radici profonde dei movimenti politici, anche se talune non sono più dominanti, Vi offro questa mia riflessione sulla “Nascita, sviluppo e crisi del marxismo” che ho scritto per l’Annuario 2011 del Liceo frequentato dai miei nipoti, lieto di avere le vostre osservazioni. Cordialità e amicizia.

Joseph Proudhon
Jacques Maritain (1882-1973) in gioventù è stato anarchico e socialista, da studente ha conosciuto Raïssa Oumançoff mentre faceva volantinaggio a favore dei socialisti russi perseguitati dallo Zar. Alla boutique dei “Cahiers de la Quinzaine” di Charles Pèguy (1873-1914) un poeta, che si muove tra cristianesimo e socialismo, di cui diventa un collaboratore, fa amicizia con Georges Sorel (1847-1922).
Frequenta l’“Ècole socialiste”, tiene conversazioni nelle “università popolari” scrive articoli su Jean-Pierre, un periodico per ragazzi di ispirazione socialista, fondato da Marcel Debré e da sua sorella Jeanne Maritain. L’incontro con il filosofo ebreo Henri Bergson (1859-1941), la conversione al cattolicesimo e la scoperta di san Tommaso mettono in crisi le convinzioni socialiste, gli fanno superare un ateismo radicale e l’anticlericalisno dei primi anni, ma non modificano le sue convinzioni circa le gravi ingiustizie sociali prodotte del capitalismo, di cui è responsabile la classe borghese. Un suo alunno Yves Simon (1903-1961) all’Institut Catholique di Parigi, poi suo collaboratore in Francia e in America, studia il pensiero di Joseph Proudhon, e trova qualche correlazione tra il pensiero del filosofo francese e san Tommaso a proposito del valore del lavoro e il senso sociale della proprietà. Insieme a Maritain firma il manifesto Per il bene comune (1934), con un doppio no, al fascismo e al comunismo. Maritain collabora con Emmanuel Mounier (1905-1950) alla fondazione della rivista Esprit, ma poi si allontana dal gruppo, perché il gruppo finisce per diventare un movimento politico, che si muove verso il socialismo.
Karl Marx e Friedrich Engels
Maritain in diverse opere studia il marxismo nella sua genesi, nella sua evoluzione nei diversi continenti attraverso i movimenti e i partiti che ad esso si ispirano, e titola Marx e la sua scuola un capitolo della sua Storia della filosofia morale. La sua analisi rileva come la filosofia di Marx dipenda da quella di Feuerbach per il suo ateismo e da quella di Engels per il suo materialismo dialettico, sottolinea come questa filosofia porti al primato della prassi, perché compito primario della conoscenza è la trasformazione della società. Maritain rileva l’incompatibilità tra la filosofia cristiana e la filosofia marxista, anche se vede nel comunismo, per il suo messianismo umanitario, l’ultima eresia cristiana. Queste analisi documentano come sia completamente falsa l’accusa rivolta a Maritain di essere un “marxista cristiano”.
La sua proposta di un Umanesimo integrale (1936) va oltre il liberalismo e il socialismo, perché pone al centro delle relazioni sociali la persona, non l’individuo o la società.

INDICE DEI PARAGRAFI
- Dal socialismo utopistico al socialismo scientifico
- Pierre Joseph Proudhon
- Ludvig Feuerbach e Friederich Engels
- Karl Marx e il materialismo
- Il primato della prassi
- Il rovesciamento dell’hegelismo e la riabilitazione della causalità materiale
- La società capitalistica, il plus valore e la lotta di classe
- L’antropologia dell’uomo collettivo
- La morale comunista
- Gli sviluppi del marxismo
- L’ultima eresia cristiana

Maritain al termine del Concilio Vaticano II in Il contadino della Garonna scrive: “in verità tutte le vestigia del santo impero sono oggi liquidate: siamo definitivamente usciti dall’età sacrale e da quella barocca; dopo sedici secoli, che sarebbe vergognoso calunniare o pretendere di ripudiare, ma che certamente hanno finito di morire e i cui gravi difetti non erano contestabili, una nuova era comincia in cui la Chiesa ci invita a comprendere meglio la bontà e l’umanità di Dio… ecco compiuto il grande rovesciamento in virtù del quale non sono più le cose umane che s’incaricano di difendere le cose divine, bensì queste che si offrono a difendere le cose umane (se queste non rifiutano l’aiuto offerto)” (XII, 671). la Caritas in veritate di Benedetto XVimo si muove in questa direzione, non chiede per la Chiesa l’aiuto della società civile per evangelizzare il mondo, ma offre alla società civile, nazionale e internazionale, il suo aiuto per rendere il mondo più umano. Questa attenzione significa che l’uomo non è in questo mondo solo per prepararsi alla vita eterna, per salvarsi l’anima, ma è al mondo per coltivarlo, per popolarlo; e si salva l’anima solo se si impegna a far crescere nella pace la società terrestre, se serve il suo prossimo, se promuove il progresso. non dobbiamo dimenticare che Gesù istituì l’eucarestia dopo la lavanda dei piedi e che nella storia dell’arte, fino a Leonardo, l’ultima cena era sempre affiancata alla lavanda dei piedi.


Sintesi: Nascita, crescita e crisi del marxismo secondo Jacques Maritain


---------------------------------------------------------------------------------

Alcide De Gasperi: cristiano, democratico, europeo

Venerdì 11 novembre - ore 18,00
Sala Convegni Parrocchia S. Cecilia - Poggio Tre Galli - Potenza

Relazione
Maria Romana De Gasperi
Saluti
Vito Santarsiero - Sindaco della Città di Potenza
Felicita Covino - Presidente diocesana di Ac
Introduce
Michele Barbella - Presidente Ac Parrocchia di S. Cecilia
Conclusioni
mons. Agostino Superbo - Arcivescovo di Potenza-Muro L.-Marsiconuovo

Sabato 12 novembre alle ore 8,30 presso l’Istituto Alcide De Gasperi, in viale Dante a Potenza, sarà deposta a cura dell’Amm.ne comunale, una corona d’alloro ai piedi del busto bronzeo dello statista.

L'eredità ancora incompiuta di Alcide De Gasperi
Maria Romana De Gasperi a Potenza per un Convegno di Azione Cattolica

L’incontro sul tema Alcide De Gasperi: cristiano, democratico, europeo promosso dall’Azione Cattolica di Potenza nell’ambito del ciclo “I nostri maestri” previsto per venerdì 11 novembre 2011, alle 18.00, presso la sala-convegni della parrocchia di S. Cecilia nel quartiere Poggio Tre Galli, non vuole essere una commemorazione, o un nostalgico omaggio a colui che è stato il protagonista universalmente riconosciuto del secondo rinascimento della nazione italiana.
Vi è un obiettivo assai più importante e più urgente: quello di comprendere, e possibilmente riprendere, il filo interrotto del degasperismo, per condurre in porto quella transizione della democrazia italiana che, a ben vedere, si prolunga non da quando è iniziata la cosiddetta "seconda Repubblica", ma da quando Alcide De Gasperi ci ha lasciato, lasciando incompiuta la prima.
De Gasperi fu certamente il costruttore di un partito laico, un partito di cattolici, ma non cattolico, in grado di effettuare le scelte fondamentali che caratterizzarono la vita della nascente Repubblica italiana (dalla opzione per un’economia equilibrata di mercato, a quella della stabilità ed efficienza delle istituzioni; dal Patto Atlantico, insieme all’impegno per l'Europa unita; fino alla scelta di non avvalersi nei suoi Governi del Fronte socialista e comunista, senza tuttavia escludere queste forze dalla dialettica politica).
Eppure, nonostante queste scelte vincenti, è rimasta incompresa la sua visione dell'architettura costituzionale, che vedeva il Governo prevalere sul Parlamento, e il Parlamento sui partiti, i quali avrebbero dovuto assicurare unicamente la funzione di organismi di mediazione tra la società civile e le istituzioni.



Convegno su
Alcide De Gasperi
Maestro di Libertà: l’Uomo, lo Statista Padre dell’Europa


sabato 26 novembre 2011, ore 9.00 - Teatro Titano
P.zza Sant’Agata - San Marino - Repubblica di San Marino

PROGRAMMA
ore 9.00 - Saluti delle Autorità
Romeo Morri Segretario di Stato per l’Istruzione e la Cultura.
Giorgio Marini Ambasciatore d’Italia a San Marino
Capitani di Castello di Città e di Domagnano 
ore 9.45 - Apertura dei Lavori
Laura Rossi Direttore della Biblioteca di Stato 
ore10.00 - Relazioni:
Maria Romana De Gasperi Vice Presidente Fondazione A. De Gasperi, Roma
Mio padre Alcide De Gasperi
Pier Luigi Ballini Università di Firenze
De Gasperi: L’idea di libertà di “un Europeo venuto dal futuro”
Renato D. Di Nubila Università di Padova
De Gasperi e San Marino: le relazioni amichevoli in un periodo difficile per l’Italia ed il Titano
ore 12.15 - Marino Manuzzi Direttore AASFN 
Presentazione del “dittico” filatelico per A.De Gasperi
ore12.30 - Dibattito - Conduce i lavori della mattinata
Sergio Barducci, di SMtv San Marino 
ore 13.15 - Pausa pranzo - Buffet
ore 14.30 - Ripresa dei lavori
Maurizio Ridolfi Centro Studi Storici Sammarinesi e Università della Tuscia,Viterbo
Togliatti e Nenni di fronte a De Gasperi e al centrismo
Dibattito
ore 16.00 - Pasquale Valentini Segretario di Stato per le Finanze 
ore 16,30 - Tavola rotonda condotta da 
Carmen Lasorella Direttore di SMtv San Marino 
sul tema
L’eredità di De Gasperi oggi, in tempi e situazioni diverse
Interventi di: 
Emanuele Macaluso Direttore de il Riformista 
Roberto Napoletano Direttore de Il Sole 24 Ore 
Marcello Sorgi Editorialista de La Stampa 
ore 17.30 - Franco Panizza Assessore alla Cultura della Provincia di Trento 
A. De Gasperi: Un uomo del Trentino
a seguire: presentazione del “Coro del Noce - Val di Sole**”
con “Omaggio ad un grande Trentino"
**che si esibirà alle ore 21.00 al Teatro Titano
Saluto di chiusura 
Antonella Mularoni Segretario per gli Affari Esteri


---------------------------------------------------------------------------------

Speciale Giuseppe Fanin 2009

a cura di Floriano Roncarati
Collaboratore a diverse testate giornalistiche, è componente dell’Ufficio Stampa della FID, dell’”Osservatorio regionale sull’associazionismo di promozione sociale” della Regione Emilia – Romagna e della “Lega Pensionati Cisl San Vitale – Bologna”

VIII Festa della Storia Mercoledì 19 ottobre 2011 ore 16/19 – Cappella Farnese (Palazzo d’Accursio – Bologna)
Uomini Liberi nella coscienza nazionale

Il caso Fanin e i conflitti del dopoguerra nelle campagne bolognesi
All’interno dell’VIII° Festa della Storia, il Liceo Scientifico “E.Fermi” organizza il convegno “Il caso Fanin e i conflitti del dopoguerra nelle campagne bolognesi” mercoledì 19 ottobre alle ore 16 presso la Cappella Farnese. Il Convegno intende approfondire il tema del 3° Concorso Nazionale “Uomini Liberi nella coscienza nazionale. Dalla guerra alla Repubblica (1940/1948)”, rivolto alle scuole secondarie superiori. Il Concorso invita le scuole a raccogliere, nella pluralità delle memorie di questi anni caratterizzati da un forte impegno della società civile, la testimonianza degli Uomini Liberi, le cui azioni hanno reso possibile la ricostruzione del tessuto sociale lacerato dalla guerra e dai conflitti del dopoguerra. Gli avvenimenti del 1948 nella provincia di Bologna hanno avuto un’importanza nazionale e Giuseppe Fanin ne è uno dei protagonisti.
Al Convegno sono stati invitati a parlare studiosi, quali Alessandro Albertazzi e Marco Poli, e soprattutto importanti testimoni, ossia Giovanni Bersani e Giorgio Stupazzoni.
(continua...)

---------------------------------------------------------------------------------


Vi invio, per l'area Testimoni, un articolo su Franz Jägerstätter, un giovane contadino austriaco, recentemente beatificato, che si rifiutò di entrare nell'esercito tedesco.

Pochissime persone in Germania e in Austria si rifiutarono, durante la seconda guerra mondiale, di arruolarsi nell’esercito nazista. Fra queste emerge la figura di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco che venne giustiziato appunto perché rifiutò di prestare servizio militare nell’esercito di Hitler.
Nel corso del 1993, nel cinquantesimo anniversario della morte, sono state avviate dalla diocesi di Linz le procedure per chiedere l’apertura del processo di beatificazione per Franz Jägerstätter. Questo fatto ha significato un riconoscimento ai massimi livelli della figura e del martirio di Franz Jägerstätter.
Certamente, però, per molto tempo la persona e le azioni di questo contadino austriaco sono state valutate diversamente e non hanno ottenuto quel riconoscimento che certamente meritano.

- L’ambiente di vita
- Il giovane Franz Jägerstätter
- Un momento fondamentale nella vita di Franz Jägerstätter:
   il matrimonio con Franziska Schwaninger
- I primi periodi in divisa militare
- Un vescovo e molti suoi sacerdoti contrari al nazismo
- Un tradimento del messaggio evangelico
- Una scelta maturata nella solitudine
- Nove importanti commentari
- La nuova chiamata alle armi e la carcerazione a Linz
- Il trasferimento a Berlino e il processo
- La morte a Brandeburgo
- Il riconoscimento della grandezza di Franz Jägerstätter
- La storia di un martire

Thomas Merton ha così concluso le pagine che ha dedicato a Franz Jägerstätter nel suo libro Fede e violenza: “La storia del contadino austriaco è in modo evidente quella di un martire, di un cristiano che seguì la propria coscienza e la volontà di Dio con una dedizione che non può trovare piena giustificazione soltanto in un movente umano. In altri termini sembra che già in questa biografia si possa trovare una prova persuasiva di ciò che la Chiesa cattolica considera santità. Il vero problema sollevato dalla vicenda di Jägerstätter non è unicamente quello del diritto individuale del cattolico all’obiezione di coscienza (ammesso in pratica anche da quelli che dissentivano completamente da Jägerstätter), ma è il problema della missione propria della Chiesa: di protesta e di profezia nella più grave crisi spirituale che l’uomo abbia mai conosciuto".


---------------------------------------------------------------------------------

Conosciamo Francesco d'Assisi

di Carlo Pantaleo
Presidente dell'Associazione Centro-Culturale
"La Bilancia dell’Orefice"

Oltre alle Fonti Francescane, non possiamo fare a meno tra i biografi di S. Francesco, di quel ritratto integrale fatto da Giotto nel dipinto che presenta il Santo attento a Dio, attento agli uomini, ma anche attento a tutto il creato. Perfino il sole, la luna, le stelle, il fuoco, l'acqua e il vento sono di casa, perché Francesco osa chiamarli “fratelli” e “sorelle”. Nato nel 1181 ad Assisi, eppure altro indicherebbe la sua biografia in quanto si era arruolato nelle truppe del Comune nel 1200 e fu imprigionato nel 1202. Ma prima di esser combattente fu mercante con il padre Pietro di Bernardone, per poi ritrovarcelo invece nel 1206 che rinuncia all'eredità paterna e ai vestiti che indossa.

“Felix mercator” lo definisce Tommaso da Celano nella sua “Vita beati Francisci”, perché avendo venduto tutto quello che aveva con sé compreso il cavallo, si interroga e sceglie qual è la priorità sull'uso del denaro guadagnato ma che non vuole più possedere. Il sovrappiù non più contraddizione tra la dimensione spirituale e quella materiale, ma quest'ultima è necessaria all'altra perché occasione di inclusione degli ultimi e possibilità di lavoro per la dignità della persona. Famosa è la durezza di Francesco verso i “frati mosca” e “fuchi”.



---------------------------------------------------------------------------------

Giorgio Ambrosoli: in difesa dello Stato e al servizio del paese

di Giuseppe Amari
Fondazione Di Vittorio

Intervento al convegno: "Legal Ethics: l’etica delle professioni legali, l’esempio di Giorgio Ambrosoli. – Roma Tre, Facoltà di Giurisprudenza - Roma, 11 maggio 2011".
Ricordiamo l'importante studio di Giuseppe Amari, "In difesa dello Stato, al servizio del Paese", Ediesse, Roma 2010.


Parlare di Giorgio Ambrosoli, significa parlare di una delle figure più nobili e limpide del Novecento, non solo italiano, per l’alto contributo intellettuale e morale dato in vicende di dimensione internazionale.
Nato a Milano, il 17 ottobre del 1933, avvocato, esperto in liquidazioni bancarie, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, la banca di Sindona, fu assassinato, sempre a Milano, nella notte dell’11 luglio del 1979, ad appena 46 anni.
L’assassinio fu compiuto da un mafioso ingaggiato dal banchiere siciliano, partito da New York e quindi con la consapevolezza e l’assenso della mafia. L’omicida, reo confesso e condannato all’ergastolo, fu poi ucciso nel corso di un tentativo di evasione. Un morte classica per testimoni scomodi.
L’assassinio, fu preceduto da un crescendo di avvertimenti e minacce sempre più esplicite, nell’isolamento e nell’omertà diffusa. Ambrosoli non godeva di alcuna protezione, gliela forniva il maresciallo, collaboratore e amico, Silvio Novembre, sul piano volontario. E, quando fu ucciso, Novembre non era a Milano.
Giorgio Ambrosoli, indagò sulle attività del banchiere siciliano, comprovandone le malefatte finanziare e gli intrecci con la mafia siciliana e americana, la finanza vaticana, la massoneria, servizi segreti e quelli perversi con la politica. Tra l’ostilità, l’incomprensione e l’indifferenza generale del mondo politico e delle istituzioni, sino al massimo livello. Salvo pochissime eccezioni alcune delle quali saranno ricordate più avanti.
Soprattutto respinse, con estrema fermezza, insieme alla Banca d’Italia, inconsistenti progetti di salvataggio di Sindona e dei suoi sodali a spese della collettività. Nonostante le fortissime pressioni di “mezza Italia”, come denunciò l’allora ministro del Tesoro, Ugo La Malfa; comprese quelle del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e del Banco di Roma inquinato, come si seppe dopo, dalla Loggia P2.
Questo rifiuto di un salvataggio a danno della collettività, indagando a fondo nel labirinto sindoniano per recuperare all’attivo della liquidazione risorse altrimenti sommerse e nel rifiutare indebiti inserimenti nel passivo per crediti di cui non si aveva titolo come quelli avanzati dall’Istituto per le Opere della Religione (IOR), la banca vaticana, rappresenta il grande merito professionale di Giorgio Ambrosoli, ed anche la sua condanna. Ma dimostrò che si può fare, nonostante tutto. Per questo abbiamo tutti un grande debito nei suoi confronti, e chiunque voglia seguire la sua professione ha un altissimo esempio a cui ispirarsi.
Al suo funerale, partecipò solo un esponente delle istituzioni, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, anche lui soggetto all’attacco dei medesimi ambienti che avevano isolato e poi eliminato Ambrosoli. Ma non la sua lezione che anzi cresce nel tempo.
La Sua vicenda, si intreccia con quella umana e professionale di altre eccezionali figure che hanno operato in difesa dello Stato e al servizio del Paese. Mi riferisco al suo più stretto collaboratore il maresciallo Silvio Novembre, a Paolo Baffi e al responsabile della Vigilanza Mario Sarcinelli con i quali la Banca d’Italia raggiunse, occorre dirlo, un vertice di autorevolezza e indipendenza rimasto un “unicum” nella storia della Banca d’Italia. E poi a Tina Anselmi, l’intrepida Presidentessa della Commissione parlamentare sulla Loggia P2 di Licio Gelli.


---------------------------------------------------------------------------------

Mariano Rumor, lo statista del dialogo

di Federico Vidic
Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Cinque volte presidente del Consiglio, otto volte ministro (Esteri, Interni, Agricoltura), costituente, deputato per sette legislature, senatore per tre, parlamentare europeo, segretario del più grande partito italiano per cinque anni. Basterebbero questi pochi dati perché un volenteroso studente di storia, che come me non abbia vissuto in prima persona la Prima Repubblica, si slanci e, in un empito di generosità, esclami: è Andreotti! Ma invece si tratta di Mariano Rumor, vicentino, scomparso giusto vent’anni fa. A dire il vero, più che ad Andreotti alcuni hanno paragonato Rumor ad Aldo Moro, altro infaticabile tessitore di mediazioni, “convergenze” e “solidarietà”. Rumor il “moderato”, Rumor il “felpato”, Rumor il “pio”: qual è la vera storia di questo figlio del Veneto “bianco”, divenuto ministro da “illustre sconosciuto” e scomparso nel 1990, alla vigilia di quel terremoto politico e giudiziario che avrebbe sepolto per sempre il mondo di cui resta, ancora oggi, uno degli interpreti più emblematici?


---------------------------------------------------------------------------------

Il mio ricordo di Carlo Forlani, uno dei fondatori del MCL

di Floriano Roncarati
Collaboratore a diverse testate giornalistiche, è componente dell’Ufficio Stampa della FID, dell’”Osservatorio regionale sull’associazionismo di promozione sociale” della Regione Emilia – Romagna e della “Lega Pensionati Cisl San Vitale – Bologna”

Ricordiamo Carlo Forlani. Era stato Presidente del “Coprob - Zuccherificio di Minerbio”, lo stabilimento cooperativo diventato un colosso dell’industria saccarifera italiana e Presidente di CREDIBO, la banca di Credito Cooperativo confluita in “Emilbanca”. Aveva collaborato col Sen. Giovanni Bersani nella gestione del “CICA - Consorzio Interprovinciale Cooperative Agricole” e fu fra i fondatori del Movimento Cristiano Lavoratori.
(continua...

---------------------------------------------------------------------------------

Nel Cuore della Realtà
Giovanni Paolo II e le nuove generazioni


Anche quest’anno si è celebrata l’8 Maggio la Giornata dell’Università Cattolica in tutta Italia. Ciononostante, in molte Diocesi la celebrazione è stata posticipata di alcuni giorni. Nel caso di Rimini, abbiamo deciso di fare coincidere tale giornata dal titolo “Nel cuore della realtà” - incentrata sulle giovani generazioni - con la rassegna “Giovani & Testimoni” ideata dal Centro Studi Nuove Generazioni.

Proprio l’espressione di padre Gemelli, Nel cuore della realtà, scelta come tema della Giornata dell'Università Cattolica, indica chiaramente la volontà di fare grata memoria delle figure e delle vicende più rilevanti per il nostro passato e, nel contempo, di affrontare con rinnovato coraggio le prossime sfide nel campo dell’educazione e della ricerca scientifica, a cui risponderemo con sempre maggior determinazione in forza della vicinanza nella preghiera e dei gesti di concreta amicizia che i fedeli delle diocesi italiane anche quest’anno non ci faranno mancare.
Ai giovani, soprattutto, vogliamo dedicare il nostro impegno e la nostra attenzione: è sulle generazioni di domani, infatti, che occorre scommettere senza esitazioni, aiutandone la formazione integrale sia professionale sia umana in vista di un modello di sviluppo realmente a favore della persona e della vita. Come ricorda Benedetto XVI – che il 21 maggio riceverà in udienza la nostra famiglia universitaria nel momento culminante delle celebrazioni del 90° – «la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura».
L'educazione ha bisogno e passa attraverso testimoni: Giovanni Paolo II, Vescovo del Mondo e Papa dell'incontro, lo è stato per tanti: per i giovani, per i lavoratori, per famiglie, l'apostolato dei laici, gli scienziati e gli artisti, le altre religioni, ecc
L'evento a Rimini sarà realizzato in collaborazione dal Centro Studi Nuove Generazioni, dal Centro Culturale Paolo VI, dal Circolo ACLI Società Libraria e dal Centro Culturale Cattolico Bilancia dell'Orefice.
L'incontro si svolgerà in data 22 Maggio dalle ore 16:00 alle 18:30 nella Sala del Giudizio presso i Musei Comunali, via Tonini 1, Rimini, ed il sottotitolo sarà “Giovanni Paolo II e le nuove generazioni”, dove presenteremo la figura del Beato Papa Woijtila attraverso gli interventi di padre Dario di Giosia che tratterà a partire dal suo libro sulla Pastorale Giovanile gli aspetti di antropologia della gioventù, formazione etica ed impegno socio-caritativo e del prof. Alessandro Ghisalberti che, partendo dalla propria esperienza di conoscenza personale di Karol Woijtila e da alcuni interventi tenuti dallo stesso Papa durante le udienze private ai giovani della Università Cattolica, si occuperà di trattare i temi relativi al progetto educativo, la carità intellettuale e l'impegno civile che ne scaturisce. Infine è previsto un intervento in videoconferenza dall'Eremo di Sant'Alberico, del frate francescano ora eremita Fratel Michele Falzone, che racconterà dell'aspetto vocazionale che egli stesso ha dovuto in gioventù alla figura di Giovanni Paolo II.
La giornata sarà organizzata in questo modo:
• Ore 16:00 a 16:15 - Saluto del Vescovo
• Ore 16:15 a 16:30 - Lettura del messaggio della Giornata ed introduzione alla figura di GP II
• Ore 16:30 a 16:45 - Proiezione scene su GP II e commento a più voci
• Ore 16:45 a 17:15 - Intervento padre Dario di Giosia
• Ore 17:15 a 17:45 - Intervento prof. Alessandro Ghisalberti
• Ore 17:45 a 18:15 - Intervento in videoconferenza Fratel Michele Falzone
• Ore 18:15 a 18:30 - Domande

Centro Studi Nuove Generazioni
Centro Culturale Paolo VI
Amici dell’Università Cattolica
Circolo ACLI – Società Libraria
Centro Culturale Bilancia dell’Orefice








Il Beato Karol Wojtyla, grande anticonformista, singolare comunicatore di una diversa Modernità

di Luciano Nicastro - Filosofo e sociologo
Professore di Filosofia della Religione - Facoltà Teologica di Sicilia a Palermo

(continua...) 

---------------------------------------------------------------------------------

Memoria di Dom Helder Camara
Profeta per i nostri giorni

Venerdì 20 Maggio 2011 ore 20,45
Sala Riunioni “Biblioteca Zucchini” Via Castellani 25, Faenza

incontro con Marcelo Barros
Teologo e biblista brasiliano

---------------------------------------------------------------------------------

Giovanni dalle Fabbriche

Giovanni dalle Fabbriche è stato uno dei padri della cooperazione faentina e Presidente della Cassa Rurale ed Artigiana di Faenza (ora BCC ravennate e imolese), per quasi trent'anni.
A lui devono molto, insieme ai tanti altri che alla cooperazione hanno dedicato in passato o dedicano tutt'ora le loro energie, le imprese cooperative che oggi sono tra le più importanti d'Italia e ai massimi livelli in Europa: per citarne solo alcune, Agrintesa e CAVIRO, oltre alla BCC.
(continua...)

---------------------------------------------------------------------------------

Don Giovanni Minzoni - Benigno Zaccagnini


Don Giovanni Minzoni

Il 23 agosto 1923 la violenza fascista colpiva a morte don Giovanni Minzoni, prete della Chiesa di Ravenna, medaglia d'argento al valore militare, Parroco di Argenta (Ferrara).
Le ACLI dell'Emilia-Romagna ne fanno memoria e ricordano come don Minzoni, in un contesto politico e sociale di estrema difficoltà affrontò con coerenza le sfide del suo tempo.
La testimonianza di don Giovanni Minzoni resta quanto mai attuale per i laici cattolici impegnati nell'azione sociale e politica e che hanno il dovere di operare per il bene comune sui valori morali indicati nella testimonianza di don Giovanni Minzoni.
Giovanni Paolo II, pregando ad Argenta sulla sua tomba, lo indicò come modello ai sacerdoti ed ai laici, ne santificò la memoria, sottolineò come Egli attinse, nella sua vita, alle radici della libertà, cioè a quella dignità umana restituita ed elevata dalla redenzione di Cristo e quindi potè scrivere con sicurezza: "La religione non ammette servilismo, ma il martirio".
Davanti alle grandi sfide del nostro tempo ripensiamo a don Giovanni Minzoni, alla sua vita, alla sua morte, alla sua testimonianza, che fu momento condiviso tra credenti e coloro che pur privi della fede, ne hanno riconosciuto i grandi valori.
Walter Raspa

---------------------------------------------------------------------------------

Benigno Zaccagnini

La storia delle ACLI di Ravenna è stata una storia estremamente ricca e originale rispetto a quella di molte altre provincie. Fin dalla sua origine l’Associazione è stata radicata nella vita diocesana, collegata ai movimenti cattolici ed ha precorso stagioni, che di lì ad alcuni anni sarebbero venute. Questo è avvenuto per l'azione dei laici che l'hanno costituita e dei Vescovi che hanno saputo in diocesi di Ravenna costruire solidi rapporti umani e validi orientamenti pastorali.
Questa originalità l'ha portata a vivere con serenità i momenti di passaggio del Concilio e del post Concilio, ricchi di speranze e di preoccupazioni, nonché le vicende interne al movimento, quando una parte della sua dirigenza – incapace di leggere i fenomeni sociali ed i segni dei tempi – cercava nella cultura di ispirazione marxista un metodo per garantire una nuova proposta civile al mondo operaio. La diversità ravennate va a merito dei vari Presidenti delle ACLI che si sono succeduti dal 1946 ad oggi, ma anche e soprattutto al ruolo svolto a Ravenna da Benigno Zaccagnini con la FUCI e l'Azione cattolica, nonché all'azione degli Arcivescovi che si sono succeduti e soprattutto di Mons. Salvatore Baldassarri, che guidò la diocesi di Ravenna quando il movimento sembrò spostarsi dall'impegno sociale a quello prevalentemente politico.
All'inizio del 1945 Achille Grandi si rivolse, tramite Edmondo Castellucci, a Benigno per dare avvio alla costituzione delle ACLI e del Patronato ravennate e dopo pochi mesi il primo Presidente delle ACLI di Ravenna, il dr. Giusto Carbognin, gli consegnò la tessera del 1945. Benigno aveva condiviso la proposta di Grandi di creare un movimento, che nasceva dentro il mondo cattolico, ma non era l'Azione Cattolica e quindi dipendente dalla Gerarchia, un movimento sociale, caratterizzato da un'ampia autonomia e democraticità interna, luogo di formazione per chi era impegnato sul difficile fronte dell'unità sindacale. Questi furono gli elementi fondativi, anche se poi la storia andò diversamente.
Pur in questa storia complicata, perché difficili erano i tempi, Benigno rimase amico fedele del movimento, vicino ai vari Presidenti provinciali e partecipe ai Congressi e a diversi incontri. l'ultima tessera, quella del 1989, gli fu consegnata da Giovanni Bianchi, il Presidente nazionale di quegli anni, dopo un incontro presso le ACLI di Ravenna, durante il quale Zaccagnini intervenne per sottolineare ancora una volta la necessità di un impegno degli aclisti per la "città dell'Uomo". Questo suo intervento rimane per noi un punto di riferimento ancora oggi.
Walter Raspa

Benigno Zaccagnini (Faenza, 17 aprile 1912 – Ravenna, 5 novembre 1989) è stato un medico e politico italiano.
Nel 1937 si laureò in pediatria e fino all'8 settembre 1943 esercitò la professione medica.
Attratto dalla politica, fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e prese parte alla Resistenza partigiana tra le file dei "bianchi".
Membro del Comitato di Liberazione Nazionale, fu tra i più attivi combattenti antifascisti della sua provincia, in questo frangente strinse amicizia con Arrigo Boldrini e, nonostante la loro diversità ideologica (Boldrini era del Partito Comunista Italiano), collaborarono senza screzi alla liberazione della Romagna.
Eletto all'Assemblea Costituente nel 1946 ed alla Camera dei Deputati nel 1948, si schierò a favore della formula politica del centrosinistra aderendo alla corrente di Aldo Moro, rappresentante della "sinistra" democristiana. Fu quindi ministro del Lavoro (1959-1960) e dei Lavori Pubblici (1960-1962). Convinto sostenitore del centrosinistra, come Aldo Moro, fu presidente della DC dal 1969 al 1975, divenendone in seguito segretario (1975-1980).

PRESIDENZA REGIONALE ACLI EMILIA ROMAGNA
COMUNICATO: RICORDIAMO BENIGNO ZACCAGNINI
Bologna, 12 ottobre 2010 – Lunedì 8 novembre alle ore 17.30 a Ravenna presso la “Sala Corelli” del Teatro Dante Alighieri gli amici ricorderanno Benigno Zaccagnini.
All’iniziativa parteciperanno:
S.E. Card. Achille SILVESTRINI
S.E. Mons. Giuseppe VERUCCHI (Vescovo di Ravenna-Cervia)
Prof. Romano PRODI
Dott. Fabrizio MATTEUCCI (Sindaco di Ravenna)
Coordinerà i lavori: Sen. Domenico ROSATI (già Presidente Nazionale ACLI)
Il convegno di studi, promosso da ACLI, Centro Studi Donati, Coltivatori Diretti, CISL e Unione delle Cooperative e patrocinato dal Comune di Ravenna, giunge a conclusione delle manifestazioni che si sono svolte a Parma, Roma, Bologna, Cesena e Ravenna per ricordare Zaccagnini nel 20° della scomparsa.
Nell’occasione sarà presentata la pubblicazione “Zaccagnini nel futuro della politica”.
Ufficio Stampa ACLI Emilia Romagna




La Presidenza Regionale Acli Emilia Romagna nel 22 anniversario della scomparsa di Benigno Zaccagnini, Venerdi 4 Novembre, vuole ricordare la figura di Benigno Zaccagnini, un aclista, uomo tra uomini, un amico tra amici, un politico tra politici, un sofferente tra sofferenti e sofferente per amore del paese, del partito e per amore della Chiesa.
Nelle Acli ci incitava quotidianamente nell'impegno sociale e nella formazione cristiana, ci insegnò con l'esempio la via dura del servizio.
Zac voleva bene ai lavoratori, all'onestà degli umili, la sua instancabile battaglia Democratica per la Pace, la Giustizia, la Libertà e la Moralità, sono un esempio per noi e per le nuove generazioni.
"Uomo di speranza al servizio del paese"
Ci accompagneranno nella riflessione sull'attualità del suo "messaggio":
- Alessandro Albertazzi dell'Universita degli studi di Bologna,
- l'On Giovanni Bianchi ex Presidente Nazionale Acli,
seguiranno testimonianze dei partecipanti.
Acli Emilia Romagna
il Presidente Walter Raspa


---------------------------------------------------------------------------------

Per un rinnovato impegno sociale nel lavoro

Note al libro "Tracce di un sindacato nuovo"
curato da Oreste Delucca, Carlo Pantaleo, Gino Taraborelli
Dobbiamo riconoscere una storia dentro la storia di una comunità e che le permette di esser tale. Questo libro unisce vicende locali alla luce di quelle italiane e internazionali. Esso è uno strumento di formazione perché chi rappresenta i lavoratori traccia una storia fatta di uomini e donne, diventata piano piano un’intelligenza collettiva per un'azione comune.
(continua...)

---------------------------------------------------------------------------------

Quando la società non era ancora “liquida”

Cenni di storia del lavoro e del tempo libero nel quadro delle tradizioni civiche e della pastorale sociale in Emilia-Romagna
di Marco Malagoli
Gruppo animatori cristiani ambiente di lavoro

Riceviamo e pubblichiamo questo contributo per l'area "Testimoni nella storia". A diversi livelli interseca la storia del nostro Paese e Regione, attraverso le figure di tanti suoi testimoni tra cui il card. Lercaro, Giuseppe Fanin giovane dirigente delle ACLI, Card. Siri, Paolo VI, Don Milani, Enrico Mattei presidente ENI, De Mauro giornalista e Pasolini scrittore, Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, Francesco Lorusso, Sergio Luporini, Giorgio Gaber e Fabrizio De Andrè.

Clicca qui per scaricare il contributo di Marco Malagoli

---------------------------------------------------------------------------------

AC, una storia che continua

a cura di Carlo Pantaleo
a partire da una testimonianza di Amedeo Brici

Presentiamo qui di seguito un viaggio nella storia riminese dell'Azione Cattolica, in occasione dei 100e40 anni dell'associazione, a partire da una testimonianza di Amedeo Brici raccolta da Carlo Pantaleo in un incontro presso la parrocchia di Sant'Agostino.

Dei tanti protagonisti citati dal dott. Brici, approfittiamo per approfondire la conoscenza di Alberto Marvelli (tramite una raccolta dei suoi pensieri), di Luigi Zangheri (grazie ad un articolo de ilPonte su Poggiorimini), di Don Pippo (grazie ad un articolo de ilPonte sulla SANGES e il campo di Don Pippo).




---------------------------------------------------------------------------------



"Verità e fraternità umana" di Jacques Maritain

Segnalazione a cura di Piero Viotto

Carissimi amici, dovendomi preparare per una tavola rotonda sulla comprensione reciproca tra uomini di diverse convinzioni morali, a cui parteciperanno un ebreo, un musulmano e un cristiano, ho cercato tra i numerosi interventi di Maritain sull’argomento, ed ho trovato una conferenza poco nota "Truth and human Fellowship" fatta alla Princeton University che certi teologi che predicano la verità ma dimenticano la carità, e certi ingenui pacifisti che predicano l’amore ma dimenticano la verità, farebbero bene a meditare. Ve la allego nei suoi passaggi fondamentali.
Cordialità e amicizia, Piero Viotto.

Clicca qui per scaricare la conferenza di Jacques Maritain



Cogliamo l'occasione della segnalazione dell'amico Piero Viotto, per invitare tutti alla tavola rotonda su "Raïssa e Jacques Maritain", organizzata dalla Facoltà di Filosofia del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo e dall’Istituto Internazionale Jacques Maritain, che si terrà il 25 febbraio 2011 a Roma (trovate maggiori dettagli nel sottostante invito).

Clicca qui per scaricare l'invito al convegno


Per il dialogo e la convivenza costruttiva
di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Clicca qui per scaricare la risposta di Carlo Pantaleo


L'età secolare
Charles Taylor - Feltrinelli, 2009
Recensione di Giandiego Càrastro

Se Maritain ci indica che "L'amore non va alle essenze, né alle qualità, né alle idee: va alle persone", continuiamo la riflessione pubblicando questa recensione di Giandiego Càrastro già Segretario Nazionale MSAC tuttora impegnato in ARGOMENTI2000 associazione di amicizia politica.
L'agape a cui fa riferimento tiene conto dell'età secolare ma lo riconduce all'autentico incontro tra persone. Nella sua tesi di laurea afferma: "Se la comunità religiosa si lascia irretire dal processo di escarnazione, compromette la novità assoluta che la caratterizza: essere una rete fondata sull'agape, sul verbo greco splangnizesthai, che colloca ogni domanda etica universale al livello delle viscere, dell'incontro personale tra persone, tra chi ha un bisogno e chi sente interiormente il richiamo di agape ad attivarsi per sostenere il prossimo".

Clicca qui per scaricare la recensione

---------------------------------------------------------------------------------

Ricordo di Davide Fiammengo

a cura di Ernesto Preziosi

Ci sono persone che lasciano un segno un po' più intenso di altre, persone che incontri e che ti camminano accanto e che ti schiudono orizzonti o anche solo ti sostengono nel cammino.
Ecco questo è stato senz’altro Davide Fiammengo, bella figura di laico cristiano del nostro tempo. Libero e fedele. Capace di indignarsi e di resistere così come i tempi chiedono. Davide è tornato alla casa del padre come si dice nel linguaggio dei credenti. Per tanti di noi che, più giovani di lui, abbiamo percorso un tratto di strada (personalmente tanti anni di difficili consigli nazionali dell’Aci) vi è la possibilità di ringraziare, di farne memoria e di continuare il cammino.
Allego una nota biografica e un intervento che aveva fatto per il sito Argomenti 2000, con parole che suonano ancora attuali e donano speranza.

Il primato della formazione: così potremmo titolare la biografica dell’amico Davide Fiammengo, dirigente dell’Ac per molti anni...


---------------------------------------------------------------------------------

Igino Righetti

Nasce a Riccione il 3 marzo 1904. Frequenta il Regio Ginnasio a Rimini e il Liceo “Galvani” a Bologna durante gli anni 1919-22.
Sono anni di forti tensioni, spesso di scontri, tra il mondo cattolico militante e la crescente pressione della propaganda fascista sull’opinione pubblica.
Dopo la sua partecipazione al 6° Centenario Dantesco a Ravenna, matura l’idea di ricostruire un’Università Popolare a Rimini. Nel settembre 1921 egli fonda un Comitato Promotore al quale farà seguito l’inaugurazione. Parallelamente alla fondazione dell’Università Popolare, pone mano alla pubblicazione del bollettino mensile “Ariminum”.
L’entusiasmo giovanile di Righetti doveva in breve tempo lasciare spazio ad un’opposizione dialettica matura con il Partito Fascista. Tuttavia bisogna sottolineare come già il giovane Righetti guardasse all’animazione culturale con fiducia ed ottimismo, assegnandole un valore di mediazione sociale.
Alla fine del ’23 Righetti divenne matricola in Giurisprudenza a Bologna, dal 1924 avrebbe poi completato gli studi a Roma. Con lo spostamento di Righetti a Roma, l’Università Popolare decadrà presto sotto i colpi del Fascismo e sarà trasformata in Istituto Fascista di Cultura.Questo avvenne tuttavia non senza attacchi precisi contro l’opera e la sua persona.
Nonostante lo spostamento a Roma egli non si allontanò subito dall’impegno in Diocesi; infatti il Vescovo Mons. Scozzoli lo volle a fianco nel suo sforzo di riorganizzazione dell’Azione Cattolica nominandolo Segretario della Giunta Diocesana di AC e poi, nel 1927, Presidente. Righetti lanciò subito l’iniziativa di un Convegno Diocesano e per sostenerla dedicò l’estate del 1924 alla visita di tutte le Parrocchie della Diocesi, prospettando questo preciso programma: intensa vita intellettuale; solida formazione religiosa e morale; attenzione ai giovani; vivificazione degli adulti.
Da quell’anno egli concentrerà il suo impegno ecclesiale sempre più a Roma; qui entrò a far parte del Circolo Universitario Cattolico Romano e venne a contatto con la FUCI, associazione che difendeva la libertà di insegnamento, l’autonomia dell’Università dal potere politico, la partecipazione studentesca, la libertà della scuola.
Al congresso di Bologna del 1925, dopo una grave crisi maturata in seno all’associazione, Righetti si trovò nominato reggente e poco dopo fu designato Presidente in contemporanea nella nomina di Mons. Giovan Battista Montini come Assistente. Iniziò così un fervido decennio di lavori. Righetti diede alla FUCI una salda struttura, ne rafforzò il collegamento con l’AC, diede vita ad una serie di congressi nazionali e zonali. Egli volle la federazione sempre più impegnata in attività religiose e culturali, secondo un meditato programma, potato avanti tenacemente anche malgrado l’avversità del Regime che sciolse i circoli della FUCI il 31 maggio 1931; la federazione confluì così dentro l’Azione Cattolica.
Nel 1933 Righetti fu chiamato a dar vita al Movimento dei Laureati Cattolici, il cui primo convegno nazionale fu celebrato nel 1936, contemporaneamente alle Settimane di cultura religiosa a Camaldoli vera e propria fucina della Costituente. Egli portò avanti tali iniziative con zelo, equilibrio e passione fino alla prematura morte.
Il breve percorso di vita di Igino Righetti (morì il 17 marzo 1939, poche settimane prima della nascita del suo secondogenito Giovan Battista) fu tutto dedicato all’animazione della cultura, con profondo senso di dialogo e di apertura nella linea di un cattolicesimo militante, solido ed impegnato.

Clicca qui per scaricare la breve biografia in PDF

L'Associazione Centro Studi Nuove Generazione e la FUCI hanno elaborato un approfondimento del pensiero e della biografia di Igino Righetti.

Clicca qui per scaricare l'elaborato con le citazioni

Nel 2009 è stata realizzata a Riccione, vicino alla sua casa natale, un'opera artistica in ricordo di Igino Righetti, con la collaborazione dell'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni.

Clicca qui per scaricare la storia del progetto




---------------------------------------------------------------------------------

Autorità e profezia nella Chiesa.
I rapporti fra Giovanni Battista Montini - Paolo VI e don Primo Mazzolari

di Alessandra Bertoni

Tra coloro che hanno caratterizzato in modo significativo la storia della Chiesa e della società italiana del Novecento sono certamente da annoverare Giovanni Battista Montini e Primo Mazzolari.
Giovanni Battista Montini (1897-1978) proviene da una famiglia della ricca borghesia bresciana, impegnata in campo politico e attiva a livello ecclesiale e culturale, una delle famiglie certo più significative del cattolicesimo italiano di fine Ottocento - inizi Novecento. Primo Mazzolari (1890-1959) è invece figlio di una anonima famiglia contadina, costretta per motivi di lavoro a spostarsi dal Cremonese al Bresciano.
Eppure, nonostante questa differente estrazione sociale, la vicenda biografica di Primo Mazzolari e di Giovanni Battista Montini si è più volte intrecciata: hanno infatti abitato in paesi fra loro vicini, hanno avuto comuni amici e si sono ritrovati entrambi a frequentare per determinati periodi gli stessi ambienti e le medesime realtà ecclesiali. La loro conoscenza iniziale risale probabilmente alla metà degli anni Venti del Novecento e da allora i rapporti tra i due non si sono mai interrotti, anche se condizionati certamente dai diversi cammini seguiti in ambito ecclesiale.
Entrambi hanno attinto a quel luogo straordinario che è stato l’Oratorio della Pace di Brescia e sono entrati in rapporto con padre Bevilacqua, padre Acchiappati, padre Caresana, padre Manziana. Vi è stata poi piena collaborazione nel servizio per gli studenti e gli universitari, soprattutto tramite la Fuci e il Movimento Laureati di Azione Cattolica: più volte infatti Montini, agli inizi degli anni Trenta, chiamò Mazzolari a predicare alla Pasqua Universitaria. Entrambi hanno poi percepito sin da subito l’inaccettabilità del fascismo e l’impossibilità di condividere la sua pretesa di esercitare il monopolio in campo educativo. L’atteggiamento di Mazzolari era certo più esplicito e diretto, anche perché aveva a che fare con situazioni contingenti e specifiche, quello di Montini più diplomatico e meno conflittuale, anche in considerazione del ruolo sempre maggiore che venne assumendo all’interno della Chiesa; comunque, per entrambi, vi è stata fin da subito la percezione chiara della negatività dell’ideologia fascista. Altro momento di incontro tra i due sono stati i convegni di Camaldoli, del Movimento Laureati di Azione Cattolica, fra il 1936 e il 1941.
A questo tempo di sintonia e di collaborazione è succeduto un periodo, quando Giovanni Battista Montini è divenuto arcivescovo di Milano, caratterizzato da frizioni e incomprensioni: vengono considerati inopportuni gli interventi del parroco di Bozzolo in materia di rinnovamento della Chiesa, di ruolo più autonomo e responsabile del laicato, di dialogo con i lontani, di ecumenismo, di attenzione privilegiata da riservare alla povera gente, di necessità di un più preciso e coraggioso intervento sui temi della pace. Tuttavia, proprio nel pieno di questo periodo, con l’invito a predicare per due settimane alla Missione di Milano del 1957, l’arcivescovo Montini manifesta la propria stima e considerazione per il parroco di Bozzolo.
Primo Mazzolari e Giovanni Battista Montini si sono infatti trovati, ad un certo punto della loro vita, agli estremi della scala gerarchica della Chiesa: l’uno parroco di uno sperduto paese della Bassa padana, l’altro arcivescovo della diocesi più grande del mondo. Eppure, il loro dialogo non si è mai interrotto, pur se provato dalla diversa sensibilità e soprattutto dai diversi ruoli ricoperti.
Ci troviamo di fronte a due persone che, certo in modo diverso, hanno autorevolmente parlato agli uomini del proprio tempo e continuano ancora oggi a far risuonare in modo alto e forte il proprio messaggio. Entrambi sono stati animati da un grande amore per la Chiesa, un amore espresso in forme certo differenti, ma non per questo meno appassionate e autentiche. Possiamo in un certo senso ritenere di trovarci di fronte a due diverse forme di profezia. Da un lato abbiamo il parroco di Cicognara e di Bozzolo che, dall’interno di una piccola comunità della Bassa padana, ha saputo indicare strade nuove per incarnare la fede nella storia, in un momento in cui la Chiesa si poneva su posizioni di chiusura e di difesa nei confronti del mondo. Dall’altro lato abbiamo Giovanni Battista Montini-Paolo VI, il quale, nei vari ruoli di responsabilità che ha man mano assunto fino a diventare la guida suprema della Chiesa, ha compreso sempre più chiaramente la necessità di confrontarsi in modo aperto con il mondo moderno, realizzando questa sua convinzione con il sapiente completamento dei lavori del Concilio Vaticano II e con l’approvazione di documenti, come la Gaudium et spes, che porteranno la Chiesa a rapportarsi in modo nuovo con le problematiche della modernità.
Dopo la morte di don Mazzolari (12 aprile 1959), Giovanni Battista Montini, che il 21 giugno 1963 era stato eletto al soglio pontificio con il nome di Paolo VI, ne riconoscerà pubblicamente la statura profetica. Nel nuovo clima diffusosi con il Concilio Vaticano II, la validità delle posizioni assunte da don Primo e il suo amore per la Chiesa emergono in tutta la loro evidenza e Paolo VI lo riconosce chiaramente, ricevendo in S. Pietro, il 1° maggio 1970, un gruppo di bozzolesi, insieme a parrocchiani di Cicognara e di Roncadello, per la benedizione della lampada che sarebbe stata posta sulla tomba di don Mazzolari nella chiesa di S. Pietro a Bozzolo. Al termine dell’udienza Paolo VI rivolge ai presenti queste parole: «Coltivate la memoria di don Primo, imitate il suo amore e la sua fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa. Per tanti anni, con fede generosa e dedizione piena, fu guida e padre delle vostre anime. […]. C’è chi va dicendo che io non ho voluto bene a don Primo. Non è vero: gli ho voluto bene. Certo, sapete anche voi: non era sempre possibile condividere le sue posizioni: camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È il destino dei profeti ».
Prendere in considerazione le figure di Giovanni Battista Montini-Paolo VI e di don Primo Mazzolari costringe anche ad affrontare il problema del rapporto fra autorità e profezia all’interno della Chiesa. Il destino dei profeti è sempre quello di rimanere inascoltati, emarginati, non compresi? Il destino dei profeti è sempre quello di “avere un passo troppo lungo”, come ha riconosciuto Paolo VI riferendosi a don Mazzolari? Se anche restiamo alla storia della Chiesa degli ultimi due secoli, vediamo che essa è caratterizzata da condanne poi revocate, da prese di posizione in un primo momento considerate erronee, ma successivamente ritenute del tutto legittime, da figure prima emarginate poi addirittura beatificate, come nel caso di Antonio Rosmini  o dell’obiettore austriaco all’esercito hitleriano, Franz Jägerstätter, di cui per quarant’anni in Austria non è stato possibile parlare e scrivere alcunché. Possiamo pensare anche al vescovo di Cremona, Geremia Bonomelli, tanto caro a Mazzolari e a Montini, costretto a ritrattare pubblicamente, in Duomo, le proprie posizioni relative alla necessità per la Chiesa di superare il potere temporale. O ancora possiamo ricordare Henri De Lubac, al quale agli inizi degli anni Cinquanta venne tolto l’insegnamento e i cui libri furono ritirati dalle scuole cattoliche francesi, salvo poi essere “riabilitato” e venire nominato nel 1960 da Giovanni XXIII “consultore” della Commissione Teologica impegnata nella preparazione del Concilio e in seguito diventare uno dei “periti” durante i lavori conciliari.
In conclusione, possiamo ricordare ciò che ha scritto Giovanni Colombo, ausiliare di Montini a Milano e in seguito suo successore come arcivescovo della diocesi ambrosiana: «Montini e Mazzolari erano in realtà molto affini tra loro per sensibilità e vicini nelle vedute più di quanto non si possa immaginare. Tuttavia la loro profezia percorreva strade diverse e per realizzarla essi si avvalevano di collaboratori diversi, dato anche il diverso ufficio che ricoprivano nella Chiesa».

Per saperne di più

- Anselmo Palini, Primo Mazzolari. Un uomo libero, editrice Ave, Roma 2009, con postfazione di mons. Loris Francesco Capovilla
- Anselmo Palini, Sui sentieri della profezia. I rapporti fra Giovanni Battista Montini-Paolo VI e Primo Mazzolari, editrice Messaggero, Padova novembre 2010 (prefazione di don Bruno Bignami, presidente della “Fondazione Mazzolari” di Bozzolo (MN) e postfazione di don Pierantonio Lanzoni, vice postulatore della causa di beatificazione di Paolo VI)

Clicca qui per scaricare l'articolo in PDF

---------------------------------------------------------------------------------

Un ricordo dell’arcivescovo di San Salvador a trentun anni dal suo assassinio

Oscar Romero,
testimone di pace e martire

di Alessandra Bertoni

Lunedì 24 marzo 1980, alle ore 18,25, mentre sta celebrando la Santa Messa, appena terminata l’omelia, l’arcivescovo di San Salvador, Oscar Arnulfo Romero, è colpito al cuore da un colpo di arma da fuoco. Caricato su una vettura, muore poco dopo in ospedale. Viene così messa a tacere la voce che nella nazione centroamericana denuncia senza paura violenze, sequestri, omicidi, indicando responsabilità e complicità. Si tratta di una voce scomoda per le oligarchie politiche ed economiche che si definivano cattoliche e sostenevano di lottare per la difesa della civiltà cristiana contro il comunismo. Per i poveri e gli oppressi è invece una voce amica e fedele, l’unica difesa contro i soprusi e le prepotenze.

Maestro e testimone
Il paradosso della vicenda di Oscar Romero è che quest’uomo della tradizione, questo pastore d’anime che aveva del vescovo una visione classica e tridentina e che per gran parte della sua vita non ha avuto alcuno interesse per la politica e per le questioni sociali, ad un certo punto, rifacendosi ai documenti del Concilio, a quelli di Medellin e a Paolo VI, ha compreso sempre più chiaramente, di fronte alle violenze che colpivano i suoi sacerdoti e i suoi fedeli, che era proprio dovere illuminare le realtà terrene con gli insegnamenti del Vangelo. Quando si rese conto delle sofferenze del suo popolo, ne ebbe compassione e da buon pastore se ne fece carico. Andò consapevolmente incontro alla morte e non vi si sottrasse: la logica evangelica gli chiedeva questo e lui vi aderì.
La sua opera di evangelizzazione e promozione umana, oggi sempre più riconosciuta e valorizzata, trovò ostacoli enormi. Fu osteggiata violentemente dal potere politico e da quello economico. I suoi confratelli vescovi del Salvador, ad eccezione di mons. Arturo Rivera y Damas, fecero di tutto per farlo destituire dalla guida della diocesi più grande del Paese, accusandolo di essere un sovversivo e di fare politica. Le stesse forze della guerriglia rivoluzionaria ad un certo punto lo criticarono aspramente poiché invitava tutti alla conversione e condannava ogni forma di violenza, anche quella rivoluzionaria, esortando a percorrere le strade della nonviolenza.
In una realtà fortemente polarizzata, divisa tra pochi ricchi e molti poveri, Oscar Romero è stato maestro e testimone: con la parola ha guidato e orientato il proprio popolo; con la testimonianza si è esposto in prima persona e si è schierato al fianco di chi era povero e oppresso. Ha parlato e agito senza odio, cercando di esortare tutti alla conversione. Da una terra dove scorreva il sangue, dove gli oppositori erano fatti scomparire, dove i diritti umani erano calpestati, la voce di Romero, libera e autorevole, ha oltrepassato le frontiere ed è stata sentita in tutto il mondo.

Educato dai crocifissi della storia
La lapide posta sulla tomba di Romero riporta semplicemente il suo motto episcopale: sentir con la Iglesia. Il suo desiderio è stato, infatti, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale, quello di vivere il messaggio cristiano restando fedelmente ancorato alla Chiesa. Il Concilio Vaticano II e la Conferenza di Medellin l’hanno costretto progressivamente ad interrogarsi sulle condizioni di vita del suo popolo, sulle violenze a cui era soggetto. Soprattutto nei tre anni in cui è stato arcivescovo di San Salvador, Romero ha sempre più chiaramente sentito il grido del proprio popolo, oppresso nei diritti fondamentali, e a questo popolo ha prestato la propria voce, indicandogli la strada della conversione e della nonviolenza per uscire dal dramma che stava vivendo. Si schierò così, sempre più decisamente, in difesa dei poveri e degli oppressi, convinto del fatto che i valori evangelici andassero incarnati e non solo affermati, che non bastasse raccogliere i moribondi e i sofferenti, ma che fosse anche necessario denunciare le situazioni di violenza strutturale e istituzionalizzata, indicare in modo preciso le responsabilità dei sequestri, dei soprusi e dei massacri. L’incontro con i “crocifissi” della storia lo ha condotto all’essenzialità dell’annuncio e ad abbracciare la croce. La sua scomodità risiedeva nell’adesione piena e fedele al messaggio sociale cristiano che, con il Concilio, aveva esortato la Chiesa a rivolgersi a tutti, ma con un occhio di riguardo per i poveri e gli oppressi.
Agli inizi di marzo 1983, in piena guerra civile, Giovanni Paolo II si è recato in Salvador in visita pastorale. Il programma, per volere delle autorità politiche, non prevedeva la visita alla tomba di Romero, ma il Papa fu irremovibile e, dopo aver atteso che si aprisse la cattedrale, che era stata chiusa per ordine della Giunta militare, poté pregare sulla tomba dell’arcivescovo assassinato.

Un vescovo martire
Dove possiamo situare la figura di Romero nella storia della Chiesa del Novecento? Certamente fra quelle dei testimoni e dei martiri, proprio come è stato fatto sul frontone della porta ovest dell’abbazia anglicana di Westminster, a Londra, dove, fra le dieci statue di “martiri” del Novecento, quella di Romero è posta tra la statua di Dietrich Bonhoeffer e quella di Martin Luther King. E come è stato fatto anche nella chiesa di San Bartolomeo a Roma, all’isola Tiberina, una chiesa voluta da Giovanni Paolo II come memoriale dei martiri e testimoni della fede del XX secolo: qui, nell’icona posta sull’altare maggiore, tra i martiri rappresentati vi è anche Oscar Arnulfo Romero e tra le memorie custodite in un altare laterale vi è il messale che utilizzava l’arcivescovo di San Salvador.

Per saperne di più

- Anselmo Palini, Oscar Romero. “Ho udito il grido del mio popolo”, editrice Ave, Roma novembre 2010, prefazione di Maurizio Chierici (giornalista e scrittore, già inviato del “Corriere della Sera” in America Latina, dove conobbe e intervistò mons. Romero).

Clicca qui per scaricare l'articolo in PDF


Riceviamo e pubblichiamo da Anselmo Palini questo invito:
sono lieto di segnalarvi che giovedì 19 maggio a Roma alle ore 18, presso la Basilica di S. Bartolomeo all'Isola Tiberina, presento il libro che ho scritto su Oscar Romero.
Questa presentazione è importante per diversi motivi:
- si svolge a Roma, una città dove Romero ha studiato per sei anni e dove è stato ordinato sacerdote;
- Roma è sempre stata per Romero un riferimento di assoluta importanza, in quanto sede della cattedra di Pietro e dunque centro della cristianità;
- la presentazione avviene nella basilica di S. Bartolomeo all'isola Tiberina, un luogo voluto da Giovanni Paolo II come memoriale dei martiri del XX secolo. In questa basilica, sulla pala dell'altare maggiore è rappresentato anche il sacrificio di Oscar Romero e nell'altare laterale dedicato ai martiri dell'America latina vi è il messale che utilizzava l'arcivescovo di San Salvador;
- la presentazione del libro verrà fatta dal prof. Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia Contemporanea nell'Università di Roma Tre. Il prof. Morozzo della Rocca è uno dei maggiori storici italiani, autore di numerosi volumi, tra cui una fondamentale biografia di Oscar Romero edita da Mondadori, testo che fa da base alla causa della beatificazione;
- la presentazione, che è organizzata dall'editrice Ave, dall'Azione Cattolica Italiana e dalla Fondazione Apostolicam Actuositatem, sarà introdotta da Chiara Finocchietti, vice-presidente nazionale dell'Azione cattolica.
La presente è per invitarvi alla presentazione e per chiedervi la cortesia di diffondere l'invito nel modo che ritenete più opportuno.
Al riguardo vi allego il comunicato ufficiale dell'editrice e l'invito.
Cordiali saluti.
Anselmo Palini



La vicenda di Oscar Romero ha due importanti agganci bresciani. Il primo è legato al fatto che mons. Romero ha trovato nel magistero di Paolo VI, in particolare nella Evangelii nuntiandi e nella Populorum progressio, dei riferimenti precisi; il Papa bresciano ha inoltre sempre sostenuto l’arcivescovo di San Salvador anche nei momenti più difficili e anche quando il nunzio e quattro dei sei vescovi salvadoregni ne chiedevano le dimissioni e lo accusavano di essere un sovversivo.
Il secondo aggancio bresciano è legato al Diario di mons. Romero, che racconta gli ultimi suoi tre anni di vita. Il Diario è stato pubblicato in italiano con la prefazione di mons. Luigi Bettazzi e la postfazione di padre David Maria Turoldo. Ebbene, la traduzione dallo spagnolo all’italiano è stata fatta dal sacerdote bresciano don Pierluigi Murgioni, morto a soli 51 anni anche per le conseguenze dei cinque anni di carcere duro e di torture che dovette affrontare in Uruguay, dove era missionario ai tempi della dittatura militare. Don Murgioni pagò a caro prezzo la fedeltà al Vangelo e al popolo che gli era stato affidato. E questa sua testimonianza lo avvicina ancora di più all’arcivescovo di San Salvador.

Si possono lasciare commenti su Montini/Mazzolari e Romero a questo link: Nuova sezione "Testimoni nella storia"