venerdì 29 aprile 2011

Chi educa chi?
Ovvero giovani specchio della nostra società

a cura di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni

Questa è la domanda che affligge ognuno di noi a partire da se stessi. Si può far finta di niente invece di conoscersi per educare. Ma l’occhio vuol vedere e non solo guardare, l’orecchio vuole ascoltare e non solo sentire, il piede vuole camminare e la mano prendere e non solo muoversi. Anche il cuore vuole amare e credere e lo spirito pensare, anche a costo che l’oggetto sia il nulla, di dare la parvenza di far niente, di rendere normale l’ordinario che è invece straordinario. Educare è divenuto un verbo accantonato dall’invenzione dei miti proposti dalla società. Sta diventando normale pensare che tutto è uguale, che nulla in fondo ha valore se non i soldi, il potere e la posizione sociale. Si vive come se la verità non esistesse, come se il desiderio di felicità di cui è fatto il cuore dell’uomo fosse destinato a rimanere senza risposta, come se non ci fosse nessuna implicita domanda da educare. Ma se non sappiamo da dove veniamo, non sappiamo dove andiamo e il senso di quello che facciamo.

Ci alziamo la mattina, ma già quell’atto ha un suo scopo. La vita che comincia, ogni vita, ha il suo scopo, giorno dopo giorno, e si protende allo scopo ultimo. L’io, il nostro io è il crocevia tra l’essere e il nulla. Non scegliere è già una scelta, non aiutare a scegliere è anch’essa già una scelta che ha sempre le sue ripercussioni a partire da se stessi. Io sono educato ed educo, tu educhi e sei educato, egli educa, la famiglia educa e si educa, la scuola istruisce ma educa, il lavoro e la chiesa educano, il sindacato contratta ma educa, le imprese e le associazioni educano, la politica e la società si dovrebbero educare ed educano, Dio educa il suo popolo di persone. E invece è stata negata la realtà, la speranza di un significato positivo della vita, e per questo rischia di crescere una generazione di ragazzi che si sentono orfani, senza padri e senza maestri, costretti a camminare come sulle sabbie mobili, bloccati di fronte alla vita, annoiati e a volte violenti, comunque in balia delle mode e del potere. Se mancano chiare e legittime regole di convivenza, oppure se queste non sono applicate, la forza tende a prevalere sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, con la conseguenza che la libertà è messa a rischio fino a scomparire. L’istruzione e la formazione permanente sono un diritto, ma l’educazione è un dovere. Infatti non è solo un problema di istruzione o di avviamento al lavoro. Sta accadendo una cosa che non era mai accaduta prima: è in crisi la capacità di  una generazione di adulti di educare i propri figli e di educarsi. E’ necessario ricomprendere il significato e la portata di questa vera e propria sfida. Perderla significa decostruire la propria identità, assolutizzare se stessi e cosificare gli altri. Questo vale sia per i giovani che per gli adulti, perché è la persona in quanto tale, nelle sue relazioni, che diviene generatrice di popolo, e quindi di storia. Questa emergenza non si affronta limitandosi a scaricare le colpe degli insuccessi vicendevolmente fra coloro che hanno responsabilità educative, né tanto meno avendo un atteggiamento rinunciatario. E’ necessaria invece la feconda prospettiva di un “patto educativo” non astratto né spontaneistico, che rispetti nelle differenze la missione affidata per una responsabilità che si condivide insieme, mettendo al centro di tutto l’unicità della persona verso cui tutti  gli attori e tutte le relazioni devono essere “sussidiarie”. Dice un proverbio africano: “per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”, ma anche per “far crescere” se stessi e per chi vuole “far crescere”. Formare le coscienze quindi non è impresa di poco conto, perché essa è il centro e il futuro della vita individuale e sociale. Consapevoli o no, nel bene  o nel male, comunque tutti quanti educhiamo attraverso le scelte che facciamo o come ci poniamo di fronte alle situazioni. 

Se famiglia, scuola e società non sono portatrici di valori sostenibili, formare le coscienze non rischia di essere una violazione delle stesse? L’adolescente, prima, il giovane e l’adulto poi, non hanno diritto a essere aiutati a costruire una propria coscienza critica? La nostra società a quale modello di uomo sta educando?

Lo spiega bene l’ottavo Rapporto Nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell'adolescenza del 2007, che ha per titolo “I figli padroni”. Questo Rapporto è curato da Eurispes e Telefono Azzurro all'interno del mondo scolastico coinvolgendo 52 istituti di ogni ordine e grado, in cui i bambini e i ragazzi hanno risposto a un questionario.


martedì 26 aprile 2011

Essere Città

Segnaliamo l'iniziativa Essere Città organizzata dal Comitato Piazza Verdi e dall’Accademia Internazionale Umana di Leo e Marino, che si svolgerà in vari giorni di maggio a Bologna in Piazza Verdi alle ore 18:00, come da bozza di programma scaricabile, e che vedrà protagonista anche l'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni.

Mercoledì 25 maggio ore 18:00 Piazza Verdi, Bologna:
Carlo Pantaleo: Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni;
Andrea Botteghi: Responsabile Area Economia e Finanza, Webmaster.
Presentano: 
"PREMIARE LE NUOVE GENERAZIONI",
"Esperienza e prospettiva d'impegno".



Pubblichiamo cosa ne pensa Gianluca Pascucci come opinione personale a proposito di Essere Città (che è lo slogan che fa parte dell'associazione Piazza Verdi) relativamente alle iniziative davanti al locale Piccolo e Sublime.
I concetti espressi vanno nella direzione di un superamento delle barriere ideologiche e politiche al fine di incontrare e favorire la persona nella sua interezza.

Vi mando in allegato tutte le iniziative che abbiamo svolto a Bologna con tutte le date ed i partecipanti che sono intervenuti in Piazza Verdi dal 5 maggio al 30 giugno 2011.
E' stato un lavoro grande e ben coordinato ed ha richiesto molte energie da mettere in campo come si può ben intendere. La vostra presenza fresca e giovane, così appassionata al reale, ci ha permesso di consolidarne lo spessore culturale e sociale.
Chiunque leggendo i nomi e cognomi di chi è intervenuto può consultarsi in google ed accorgersi che si tratta di personalità ad elevato profilo culturale.
Ci si chiede il perché di iniziative simili. E ti rispondo subito dando l'avvio così ad un articolo se vuoi per Nuove Generazioni: Perché ne vale la pena spendersi tanto per incontrare le persone in quello che a loro sta più a cuore?




A completamento del suo articolo, Gianluca Pascucci ci chiede di pubblicare questo ricordo di Enzo Piccinini, perché: "il fatto che Cristo sia venuto sulla terra cambia anche il modo di concepirmi e concepire tutto ciò che mi circonda".

Una cosa dell’altro mondo.
In questo mondo

di Enzo Piccinini

Il 26 maggio 1999 è morto in un incidente stradale Enzo Piccinini. Chirurgo stimatissimo e responsabile di Cl, ha lasciato la moglie Fiorisa e i figli Chiara, Pietro, Maria e Annarita.
Abbiamo pensato di ricordarlo pubblicando la trascrizione di un intervento all’Happening dei giovani a Bologna nell’estate del 1995. Gli universitari lo avevano invitato a presentare le Lettere sul dolore di Emmanuel Mounier. Lui medico aveva, infatti, una passione sfrenata per la lettura, il che segnò i suoi primi incontri milanesi con don Giussani, che ogni volta gli passava qualche libro dei suoi. E chi scrive ricorda i primi incontri con Enzo all’Università di Bologna - era il 1980-81 - e quella libreria in casa sua a Modena con uno scaffale di libri misteriosamente ricoperti di una carta bianca che non lasciava trasparire nulla. Erano i libri che gli aveva dato don Giussani nel corso degli anni, questo lo scoprimmo più avanti quando Piccinini cominciò a fare lo stesso con alcuni di noi. Ora molte di quelle opere sono finite in una collana della Bur Rizzoli e si chiamano “i libri dello spirito cristiano”.

Attivare la cittadinanza perché tutti possiamo avere futuro

di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro-Culturale
“La Bilancia dell’Orefice”

I nuovi diritti si caratterizzano per essere concordati fra le generazioni, e non sono definitivamente esclusivi da un lato da mobilitazioni di tipo rivendicativo, né dall’altro per l’elargizione di prestazioni dovute. Ma si traducono piuttosto in una corresponsabilizzazione orientata a diritti comuni che abbiano sempre più come centralità la persona umana nella prossimità in cui è.
Persona che non è solo un individuo-consumatore oggetto delle sollecitazioni sociali, né il fossile guscio di una coscienza chiusa a riccio in un mondo che cambia.
Persona è invece il volume totale dell’uomo in tutte le sue dimensioni che si struttura esercitando la propria responsabilità nella sua indipendenza, nella sua totalità e apertura.
Nel secolo passato l’uomo ha preso coscienza di essere titolare di fondamentali esigenze che l’ordinamento giuridico è tenuto a riconoscere e a garantire. Oggi di fronte ai pericoli del pianeta e di un reale svuotamento della cittadinanza effettiva dell’uomo, appare essenziale che ognuno, cosciente della propria dignità di com-partecipe della vita sociale, attivi tutte le sue potenzialità e costruisca con gli altri una migliore casa comune. Abitare il futuro vuol dire creare quei legami o patti sanciti prima di tutto non da decreti, bensì da una coscienza operante e respirante nelle scelte quotidiane per il bene di tutta la persona e di tutte le persone.
In una società democratica la cittadinanza precede l’organizzazione politica, così come il corpo politico precede lo stato. Non è lo stato a conferire la qualità di cittadini, ma sono i cittadini a dar vita allo stato. La Costituzione Italiana riconosce all’articolo 2 i diritti dell’uomo in tutta la loro dimensione prospettica, ma dall’articolo 3 scompare l’uomo e appare come attore sociale e politico il cittadino. Ciò significa che la cittadinanza è il modo in cui viene tutelata e rispettata la dignità umana nella vita sociale e politica.
Ora nonostante l’organizzazione delle classi subalterne, la partecipazione civile favorisce in larga misura i ceti abbienti e privilegiati, la cosiddetta maggioranza elettorale appagata, tra cui si trovano i cittadini più attivi, a discapito delle classi subalterne e svantaggiate, formate in maggioranza da cittadini che, mancando di risorse, individuali e collettive, sono poco o per nulla attivi.
Qui si spiega perché spesso le politiche tendono a favorire gruppi particolari di cittadini attivi e non l’interesse pubblico più generale.
La partecipazione è un diritto che avvantaggia coloro i quali la praticano, chiunque essi siano, nel bene e nel male. Costoro sono i “soddisfatti” e le politiche propugnate sono quelle che Galbraith ha definito la “cultura dell’appagamento”.

lunedì 18 aprile 2011

Il progetto SIGEA per il recupero delle eccedenze alimentari

a cura di Michele Giovannetti
Responsabile Progetto SIGEA

Se l'economia produce eccedenze, che nella maggior parte dei casi si trasformano in sprechi, e dall'altro una parte della società risulta averne bisogno, l'obiettivo per cui il progetto SIGEA ha visto la luce è la necessità di fare incrociare le due "curve" a livello locale. Pertanto lo scopo è di organizzare un sistema di circolazione delle eccedenze alimentari all'interno di un sistema turisticamente avanzato, proponendosi non di gestire direttamente i beni recuperati, ma facilitando l’incontro tra i punti vendita (offerta) e gli enti di assistenza (domanda) dello stesso territorio, integrando anche le esperienze già attive, attraverso una messa “in sicurezza” del sistema di recupero per quanto riguarda gli aspetti amministrativi, fiscali, igienico-sanitari, nutrizionali, logistici, organizzativi e di comunicazione.
SIGEA è stato elaborato dal giovane laureando riminese Michele Giovannetti - già socio del l'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni - ed è nato grazie alle agevolazioni previste dal Consorzio Spinner, occasione con cui Confcooperative ha potuto svilupparlo nell'ambito della sua Cooperativa Madonna della Carità. L'idea ha la sua radice nella tavola rotonda "Il Dono e la fiducia nell'economia di reciprocità - Ripensare praticamente il mercato" svoltasi nel 2010 nell'ambito della rassegna Riflessioni Socio-Economiche Riminesi 2010 organizzate dall'Associazione Centro Studi Nuove Generazioni, che ha visto il racconto dell'esperienza di Last Minute Market a cura del prof. Andrea Segré.
Sin da subito il progetto ha raccolto l'attenzione entusiasta dell'associazione Figli del Mondo e dell'Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Rimini nella figura dell'assessore Samuele Zerbini, che al termine dei 6 mesi di elaborazione ha così rifinanziato il progetto presentato con un bando che ha visto l'ingresso in partnership dell'Opera S. Antonio per i Poveri.
Si potrebbe obiettare che non si tratta di una vera e propria "scoperta", rispetto alle esperienze che già esistono; ma la novità è dove si situa l'innovazione, che è di processo e mira ad inserire all'interno delle procedure dei vari stakeholder alimentari, parti di procedure innovative che permettano in maniera automatica di reindirizzare il cibo trasformando lo scarto in un materiale da utilizzare (ad esempio in beneficenza) e da rilavorare (attraverso cooperative sociali, in modo da avere un nuovo prodotto da utilizzare o da rivendere).
Infine, non è assolutamente da sottovalutare l'impatto sotto il profilo economico per le imprese che vi aderiraranno: in concordia con l'idea di una politica premiante, è in fase di studio una proposta per poter riconoscere, tramite la collaborazione di Hera S.p.A., importanti riduzioni tariffarie.

Vi invitiamo a scaricare la documentazione per approfondire il progetto.

Associazione Centro Studi Nuove Generazioni
Confcooperative
Cooperativa Madonna della Carità
Figli del Mondo
Opera S. Antonio per i Poveri





venerdì 15 aprile 2011

Il lavoro come problema

di Michele La Rosa
Già docente ordinario di “Sociologia del lavoro” presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna dove insegna anche “Sociologia economica” e “Management e gestione delle risorse umane”. Già presidente del Corso di laurea in Sociologia e del Corso di laurea specialistica in “Occupazione, mercato, ambiente” della medesima Facoltà. Nell’ambito del Dipartimento di Sociologia di Bologna (ove è membro di Giunta), dirige il C.I.Do.S.Pe.L., Centro Interdipartimentale di Documentazione e Studi Sociologici sui Problemi del Lavoro.

Chi ha già un lavoro aspira contrattualmente e nei fatti a vedere sempre migliorata la propria situazione e condizione in termini che noi definiamo di migliore qualità del lavoro dal punto di vista economico, ergonomico, della professionalità e dell'autonomia. La qual cosa non significa sempre e necessariamente una politica a favore di coloro che un lavoro non hanno ancora; anzi sia in termini di tempi che di remunerazione (monetaria e non) non sono mancati casi di contrapposizione a volte anche lacerante con le ragioni dei disoccupati.
Qui sta la ragione della non automaticità, come abbiamo già avuto occasione di affermare in altre sedi, dello slogan “lavorare meno per lavorare tutti” e qui risiede l'esigenza di ricomporre una politica del lavoro compatibile con le esigenze di tutti i soggetti che hanno ugualmente tutti diritto ad un lavoro e, nel contempo, ad un lavoro sempre migliore in qualità. Noi riteniamo, dunque, che una prima urgenza sia proprio quella di operare perché i lavoratori avvertano costantemente il problema della mancanza del lavoro per molti loro colleghi, anche perché detta condizione potrebbe investirli da un momento all'altro, e si orientino ad una politica ‘unitaria’ per migliorare il loro lavoro e per allargare le presenze sul lavoro nell'ambito di una logica che non coniuga oramai più sviluppo ed occupazione, evitando inutili e dannose guerre fratricide o dicotomie non comprensibili.

giovedì 7 aprile 2011

Le condizioni di lavoro per essere sicuri

di Marco Savioli
Facoltà di Economia, Università di Bologna - sede di Rimini
collaboratore Associazione Centro Studi Nuove Generazione

Il pieno godimento dei diritti riconosciuti dalla Costituzione prevede che i cittadini siano messi in grado di svolgere la propria attività lavorativa in presenza di un’adeguata tutela della salute e della sicurezza. Inoltre, limitandosi a un punto di vista freddamente economico, i costi legati agli infortuni e alle malattie professionali possono essere molto alti per l’intera società. Oltre ai costi che devono sostenere i lavoratori e le loro famiglie, non si devono dimenticare i costi sopportati dalle imprese e dallo Stato. È quindi rilevante, nell’interesse comune di tutte le parti in gioco, l’individuazione delle reali cause degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.
I dati prodotti dall’ILO (International Labour Organization, 2010) ci dicono che annualmente si verificano 337 milioni di incidenti non mortali sul lavoro; le morti per incidenti e malattie legate al lavoro sono invece 2,3 milioni. In Europa sono stati fatti, negli ultimi anni, numerosi sforzi legislativi per migliorare la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, facendo registrare un incoraggiante miglioramento. Nonostante questi sforzi la probabilità di infortunarsi non si è però ridotta in modo omogeneo fra le varie categorie di lavoratori, imprese e settori produttivi. Difatti, i tipi di rischio cui sono esposti i lavoratori evolvono in relazione all’innovazione tecnologica, alla conseguente riorganizzazione del processo produttivo, e ai cambiamenti del mercato del lavoro.
Una delle posizioni spesso riscontrate nelle notizie che ascoltiamo tutti i giorni è che il contratto lavorativo, in aggiunta al tipo di lavoratore, potrebbe influenzare il rischio di subire incidenti/malattie. Il precariato di alcuni lavoratori, determinando un minore potere contrattuale, potrebbe essere associato a cattive condizioni di lavoro che accrescono l’insicurezza.
Un recente articolo (http://www.econ-pol.unisi.it/quaderni/608.pdf) approfondisce il tema della sicurezza sul lavoro analizzando gli incidenti e le malattie professionali non mortali. I dati presenti nella Rilevazione sulle Forze di Lavoro che contengono un modulo “ad hoc” sulla Salute e sicurezza sul lavoro, hanno consentito di osservare la situazione lavorativa e infortunistica di oltre 45.000 lavoratori dipendenti con contratti a tempo determinato e indeterminato. Più precisamente, sono state considerate le caratteristiche personali dei lavoratori, le imprese in cui erano impiegati, le tipologie di lavoro (tempo pieno, straordinario, turni, professione svolta), le condizioni di lavoro (carichi di lavoro eccessivi, esposizione a pericoli dovuti a polveri, gas, esalazioni, fumi, sostanze chimiche, ambiente con rumori eccessivi o vibrazioni, etc.) e gli eventuali incidenti e malattie subiti.
I risultati dello studio mostrano che la sicurezza dipende principalmente dalle condizioni effettive nelle quali si presta il lavoro e, in seconda battuta, dalle caratteristiche personali dei lavoratori (maggiore possibilità di infortunio/malattia associata a: non essere al primo impiego, non essere soddisfatti dal lavoro attuale, il genere del lavoratore, avere una predisposizione latente misurata dagli incidenti nel tragitto casa-lavoro). La tipologia contrattuale (determinato/indeterminato) non sembra avere un effetto significativo sulla probabilità di incorrere in infortuni o malattie riconducibili al lavoro, una volta considerate le altre variabili.
L’intervento pubblico in materia di sicurezza sul lavoro dovrebbe essere indirizzato da risultati scientifici piuttosto che da posizioni strettamente politiche e ideologiche. Lo studio sopra riportato sembra suggerirci come sia fondamentale stimolare l’innovazione tecnologica, la formazione e l’informazione dei lavoratori, mirando ad agire sulle cause tecniche e umane che possono determinare l’infortunio (malattia). Inoltre bisogna fare in modo che le norme emanate siano correttamente osservate. Le ispezioni e le sanzioni, pur essendo importanti, non sono sufficienti. È importante intervenire anche su un insieme di fattori organizzativi, culturali e comportamentali radicati negli ambienti di lavoro.

mercoledì 6 aprile 2011

Etica e impresa: come e perché 'ritornare' a Polanyi

di Michele La Rosa
Già docente ordinario di “Sociologia del lavoro” presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna dove insegna anche “Sociologia economica” e “Management e gestione delle risorse umane”. Già presidente del Corso di laurea in Sociologia e del Corso di laurea specialistica in “Occupazione, mercato, ambiente” della medesima Facoltà. Nell’ambito del Dipartimento di Sociologia di Bologna (ove è membro di Giunta), dirige il C.I.Do.S.Pe.L., Centro Interdipartimentale di Documentazione e Studi Sociologici sui Problemi del Lavoro.

Esistono infatti approcci teorico-filosofici che riconoscono la realtà individuale come unica entità di riferimento e che dunque fanno risalire i principi etici ad un contratto sociale stipulato fra individui senza considerazione per la società, se non come insieme di individui che, nella misura in cui si trovano ad operare assieme, stipulano patti reciproci che rispettano le esigenze dei soggetti fino al punto in cui non danneggiano l’altro. Numerosi sono gli orientamenti riconoscibili - seppur in forme differenti - in tale approccio, come quello libertario, quello liberal-democratico, contrattualista e/o neo-contrattualista.
Dall’altro lato, in specie negli anni a noi più recenti, contestualmente alla nascita, sviluppo e consolidamento delle politiche di Welfare State, si confrontano gli approcci che in qualche modo riconoscono un ruolo ‘forte’ alla struttura ed alle istituzioni, con una accezione del bene comune a cui gli individui devono adattarsi accettando i limiti definiti dal momento pubblico, in specie per porre rimedio ai “fallimenti del mercato”. Recentemente quest’ultimo approccio è stato messo fortemente in discussione contrapponendo i fallimenti dello Stato a quelli del mercato e del momento pubblico all’azione privatistico individuale.
Ma, come si può ben rilevare, nessun approccio può dirsi risolutivo e dominante; dunque, ne deriva che una concezione dell’etica, come afferma Mazzocchi “in una società concreta e reale deve necessariamente fare riferimento ad una pluralità di criteri, cioè non può che essere una concezione complessa” (Mazzocchi G., Quale giustizia sociale? Frutto di un patto fra gli individui? Concezione e prassi di una comunità? Obiettivi, significato e metodo di una ricerca, in Mazzocchi G.- Villani A. (a cura di), op. cit).
Ed è proprio a questo punto che “entra in gioco” - a nostro parere - la proposta di Polanyi, o meglio una specifica interpretazione che intendiamo avanzare di tale proposta riferendola appunto al tema dell’etica economica. Peraltro già in Weber (ne facciamo, peraltro, un solo accenno) la razionalizzazione è un processo che implica agire razionale di natura utilitaristica (agire razionale rispetto allo scopo) ma anche altre tipologie di agire (soprattutto un agire razionale rispetto ai valori) ugualmente essenziali per garantire la comunità nel suo complesso.

martedì 5 aprile 2011

Per un Piano Strategico premiante e premiato

di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni


Non si è virtuosi se si parla solamente oppure ci si limita ad un rispetto formale delle regole. Bisogna anche “fare” opere e adoperarsi perché i progetti siano partecipati e le regole stesse siano buone. Queste, nella loro valenza sociale, per essere rafforzate hanno bisogno del premio e della cultura che ne deriva. Abbiamo letto i tanti interventi che si sono succeduti e che hanno continuato e alimentato il dibattito che già nei Focus si era avviato. La crisi finanziaria internazionale rischia di creare effetti gravi anche sul lungo periodo, con pesanti ricadute sui lavoratori, sulle famiglie, sulla società e l’economia reale, quella che produce beni e servizi.
Se crediamo davvero in questo Piano Strategico al di là dei singoli temi affrontati, si deve porre quanto prima l’attenzione dovutagli realizzando la “cabina di regia” degli enti promotori di cui si è tanto parlato con i necessari fondi.
Questo Piano va premiato perché a sua volta sia premiante verso le iniziative che società ed istituzioni realizzeranno sussidiariamente. Crediamo che sia questa la sfida che il Piano Strategico lancia ad ognuno di noi, alle famiglie e associazioni, alla società e alle istituzioni stesse.


L'articolo è stato pubblicato dal quotidiano "La Voce di Rimini" del 15 marzo 2011


Su questo tema vedi anche, sul nostro sito, gli articoli:
"Un piano strategico anche per il mare "
e
"Strategie per il Mondo Rurale"

Giovanni dalle Fabbriche

Giovanni dalle Fabbriche è stato uno dei padri della cooperazione faentina e Presidente della Cassa Rurale ed Artigiana di Faenza (ora BCC ravennate e imolese), per quasi trent'anni.
A lui devono molto, insieme ai tanti altri che alla cooperazione hanno dedicato in passato o dedicano tutt'ora le loro energie, le imprese cooperative che oggi sono tra le più importanti d'Italia e ai massimi livelli in Europa: per citarne solo alcune, Agrintesa e CAVIRO, oltre alla BCC.

La trasmissione televisiva "Remember" (dedicata agli eventi più significativi degli ultimi 30 anni nel nostro territorio) vedrà protagonista nella prossima puntata Giovanni Dalle Fabbriche.
Dopo quasi 20 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 29 agosto del 1992, sarà riproposto un servizio esclusivo realizzato da Lorenzo Benini nel 1987 con una lunga intervista - di circa un'ora - al grande cooperatore.
"Remember" sarà trasmesso, nel canale tv digitale 17 di Tele 1:
- giovedì 7 aprile alle ore 20,00
- venerdì 8 aprile alle ore 8,00
- martedì 12 aprile alle ore 23.30;
nel canale tv digitale 299 Tele 1 news:
- sabato 9 aprile alle ore 16,00
- mercoledì 13 aprile alle ore 13.15.

Un cammino che continua... dopo Reggio Calabria

Pubblichiamo il Documento conclusivo della Settimana Sociale.


Riguardo alla Proposta che abbiamo presentato su “Intraprendere: Giovani e innovazione, motore dello sviluppo”, notiamo come sia diventata impegno ed urgenza per tutti, infatti vi si afferma:

"È condivisa una lettura positiva della realtà giovanile, che rappresenta una risorsa: ai giovani deve essere riconosciuta l’opportunità di assumere ruoli di responsabilità e di reale protagonismo. Le associazioni costituiscono di fatto un luogo fondamentale in cui i ragazzi possono sperimentarsi assumendo responsabilità, scoprendo le proprie capacità e riconoscendo i talenti di ognuno nel quadro di un progetto educativo attento alla crescita globale della persona. Nei luoghi ecclesiali deve essere possibile sperimentare regole, obiettivi e ragioni di impegno, che consentano di maturare prospettive di orizzonte durevole. Riconoscendo la disponibilità e il desiderio di partecipazione e di assunzione di responsabilità da parte dei ragazzi e dei giovani, le associazioni diventano spazi importanti per dare voce al mondo giovanile e rappresentarne le istanze presso le istituzioni e la società civile. È importante recuperare anche l’originaria funzione formativa del servizio civile volontario, strumento utile ad abilitare i giovani a conoscere la realtà, leggerne i bisogni e dare risposte concrete".

Condividiamo come: "la 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, svoltasi a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre 2010 con il titolo Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese, è stata un evento ricco di speranza. Prima ancora della pubblicazione di questo atteso documento conclusivo, il cantiere della Settimana Sociale ha spontaneamente e diffusamente ripreso il lavoro nelle Chiese particolari, con il pieno e generoso impegno dei Vescovi e con un coinvolgimento ampio e convinto.

All’atto del suo insediamento, il Comitato Scientifico e Organizzatore era stato invitato a impegnarsi perché la Settimana Sociale del 2010 fosse caratterizzata dal coinvolgimento di tutte le componenti ecclesiali. Quella indicazione si era già rivelata feconda nella fase di preparazione e continua a esserlo anche in questo momento. Possiamo testimoniare che nei due anni trascorsi le sollecitazioni pastorali hanno trovato una risposta pronta. Ciò è motivo di sincera gioia e radice di gratitudine (cfr Fil 1,3)".


lunedì 4 aprile 2011

Don Giovanni Minzoni - Benigno Zaccagnini


Don Giovanni Minzoni

Il 23 agosto 1923 la violenza fascista colpiva a morte don Giovanni Minzoni, prete della Chiesa di Ravenna, medaglia d'argento al valore militare, Parroco di Argenta (Ferrara).
Le ACLI dell'Emilia-Romagna ne fanno memoria e ricordano come don Minzoni, in un contesto politico e sociale di estrema difficoltà affrontò con coerenza le sfide del suo tempo.
La testimonianza di don Giovanni Minzoni resta quanto mai attuale per i laici cattolici impegnati nell'azione sociale e politica e che hanno il dovere di operare per il bene comune sui valori morali indicati nella testimonianza di don Giovanni Minzoni.
Giovanni Paolo II, pregando ad Argenta sulla sua tomba, lo indicò come modello ai sacerdoti ed ai laici, ne santificò la memoria, sottolineò come Egli attinse, nella sua vita, alle radici della libertà, cioè a quella dignità umana restituita ed elevata dalla redenzione di Cristo e quindi potè scrivere con sicurezza: "La religione non ammette servilismo, ma il martirio".
Davanti alle grandi sfide del nostro tempo ripensiamo a don Giovanni Minzoni, alla sua vita, alla sua morte, alla sua testimonianza, che fu momento condiviso tra credenti e coloro che pur privi della fede, ne hanno riconosciuto i grandi valori.
Walter Raspa

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Benigno Zaccagnini

La storia delle ACLI di Ravenna è stata una storia estremamente ricca e originale rispetto a quella di molte altre provincie. Fin dalla sua origine l’Associazione è stata radicata nella vita diocesana, collegata ai movimenti cattolici ed ha precorso stagioni, che di lì ad alcuni anni sarebbero venute. Questo è avvenuto per l'azione dei laici che l'hanno costituita e dei Vescovi che hanno saputo in diocesi di Ravenna costruire solidi rapporti umani e validi orientamenti pastorali.
Questa originalità l'ha portata a vivere con serenità i momenti di passaggio del Concilio e del post Concilio, ricchi di speranze e di preoccupazioni, nonché le vicende interne al movimento, quando una parte della sua dirigenza – incapace di leggere i fenomeni sociali ed i segni dei tempi – cercava nella cultura di ispirazione marxista un metodo per garantire una nuova proposta civile al mondo operaio. La diversità ravennate va a merito dei vari Presidenti delle ACLI che si sono succeduti dal 1946 ad oggi, ma anche e soprattutto al ruolo svolto a Ravenna da Benigno Zaccagnini con la FUCI e l'Azione cattolica, nonché all'azione degli Arcivescovi che si sono succeduti e soprattutto di Mons. Salvatore Baldassarri, che guidò la diocesi di Ravenna quando il movimento sembrò spostarsi dall'impegno sociale a quello prevalentemente politico.
All'inizio del 1945 Achille Grandi si rivolse, tramite Edmondo Castellucci, a Benigno per dare avvio alla costituzione delle ACLI e del Patronato ravennate e dopo pochi mesi il primo Presidente delle ACLI di Ravenna, il dr. Giusto Carbognin, gli consegnò la tessera del 1945. Benigno aveva condiviso la proposta di Grandi di creare un movimento, che nasceva dentro il mondo cattolico, ma non era l'Azione Cattolica e quindi dipendente dalla Gerarchia, un movimento sociale, caratterizzato da un'ampia autonomia e democraticità interna, luogo di formazione per chi era impegnato sul difficile fronte dell'unità sindacale. Questi furono gli elementi fondativi, anche se poi la storia andò diversamente.
Pur in questa storia complicata, perché difficili erano i tempi, Benigno rimase amico fedele del movimento, vicino ai vari Presidenti provinciali e partecipe ai Congressi e a diversi incontri. l'ultima tessera, quella del 1989, gli fu consegnata da Giovanni Bianchi, il Presidente nazionale di quegli anni, dopo un incontro presso le ACLI di Ravenna, durante il quale Zaccagnini intervenne per sottolineare ancora una volta la necessità di un impegno degli aclisti per la "città dell'Uomo". Questo suo intervento rimane per noi un punto di riferimento ancora oggi.
Walter Raspa

Benigno Zaccagnini (Faenza, 17 aprile 1912 – Ravenna, 5 novembre 1989) è stato un medico e politico italiano.
Nel 1937 si laureò in pediatria e fino all'8 settembre 1943 esercitò la professione medica.
Attratto dalla politica, fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana e prese parte alla Resistenza partigiana tra le file dei "bianchi".
Membro del Comitato di Liberazione Nazionale, fu tra i più attivi combattenti antifascisti della sua provincia, in questo frangente strinse amicizia con Arrigo Boldrini e, nonostante la loro diversità ideologica (Boldrini era del Partito Comunista Italiano), collaborarono senza screzi alla liberazione della Romagna.
Eletto all'Assemblea Costituente nel 1946 ed alla Camera dei Deputati nel 1948, si schierò a favore della formula politica del centrosinistra aderendo alla corrente di Aldo Moro, rappresentante della "sinistra" democristiana. Fu quindi ministro del Lavoro (1959-1960) e dei Lavori Pubblici (1960-1962). Convinto sostenitore del centrosinistra, come Aldo Moro, fu presidente della DC dal 1969 al 1975, divenendone in seguito segretario (1975-1980).

PRESIDENZA REGIONALE ACLI EMILIA ROMAGNA
COMUNICATO: RICORDIAMO BENIGNO ZACCAGNINI
Bologna, 12 ottobre 2010 – Lunedì 8 novembre alle ore 17.30 a Ravenna presso la “Sala Corelli” del Teatro Dante Alighieri gli amici ricorderanno Benigno Zaccagnini.
All’iniziativa parteciperanno:
S.E. Card. Achille SILVESTRINI
S.E. Mons. Giuseppe VERUCCHI (Vescovo di Ravenna-Cervia)
Prof. Romano PRODI
Dott. Fabrizio MATTEUCCI (Sindaco di Ravenna)
Coordinerà i lavori: Sen. Domenico ROSATI (già Presidente Nazionale ACLI)
Il convegno di studi, promosso da ACLI, Centro Studi Donati, Coltivatori Diretti, CISL e Unione delle Cooperative e patrocinato dal Comune di Ravenna, giunge a conclusione delle manifestazioni che si sono svolte a Parma, Roma, Bologna, Cesena e Ravenna per ricordare Zaccagnini nel 20° della scomparsa.
Nell’occasione sarà presentata la pubblicazione “Zaccagnini nel futuro della politica”.
Ufficio Stampa ACLI Emilia Romagna




 La Presidenza Regionale Acli Emilia Romagna nel 22 anniversario della scomparsa di Benigno Zaccagnini, Venerdi 4 Novembre, vuole ricordare la figura di Benigno Zaccagnini, un aclista, uomo tra uomini, un amico tra amici, un politico tra politici, un sofferente tra sofferenti e sofferente per amore del paese, del partito e per amore della Chiesa.
Nelle Acli ci incitava quotidianamente nell'impegno sociale e nella formazione cristiana, ci insegnò con l'esempio la via dura del servizio.
Zac voleva bene ai lavoratori, all'onestà degli umili, la sua instancabile battaglia Democratica per la Pace, la Giustizia, la Libertà e la Moralità, sono un esempio per noi e per le nuove generazioni.
"Uomo di speranza al servizio del paese"
Ci accompagneranno nella riflessione sull'attualità del suo "messaggio":
- Alessandro Albertazzi dell'Universita degli studi di Bologna,
- l'On Giovanni Bianchi ex Presidente Nazionale Acli,
seguiranno testimonianze dei partecipanti.
Acli Emilia Romagna
il Presidente Walter Raspa

sabato 2 aprile 2011

Attualità e futuro del sindacato

del Centro Cardijn

II Centro socio-culturale e di spiritualità J. Cardijn, promosso da Gi.O.C. e C.M.L. di Rimini, ha affrontato in alcuni incontri il tema del ruolo del sindacato oggi e delle sue prospettive nella nostra società. Queste alcune valutazioni che offriamo per ulteriori approfondimenti.

Quale futuro? Interrogarsi sul futuro del sindacato ha ancora senso nel tempo del bipolarismo, della crisi della concertazione, della riduzione delle tutele dei lavoratori, della scarsa militanza di giovani e donne, dei contrasti esistenti tra i maggiori sindacati ed anche della maggioranza di pensionati nelle confederazioni. I punti di svolta trattati sono quelli della tutela del lavoro e tutela dei lavori, del sindacato e la politica, di un indirizzo per una linea riformista, della ricerca dell'unità, di un nuovo modo di guardare e agire nella società: le risorse da valorizzare, l'impegno da cristiani nel sindacato.

Per un rinnovato impegno sociale nel lavoro

Note al libro "Tracce di un sindacato nuovo"
curato da Oreste Delucca, Carlo Pantaleo, Gino Taraborelli

Dobbiamo riconoscere una storia dentro la storia di una comunità e che le permette di esser tale. Questo libro unisce vicende locali alla luce di quelle italiane e internazionali. Esso è uno strumento di formazione perché chi rappresenta i lavoratori traccia una storia fatta di uomini e donne, diventata piano piano un’intelligenza collettiva per un'azione comune.

La storia permette di conoscerne l'origine, ripensarla e rilanciarla per futuro, superando le contingenze che possono anche aver diviso ma non rinunciando al “marciare” uniti verso il comune compito per il bene comune. Infatti dopo alcuni anni di sindacato unico, voluto dai partiti che nel primo dopoguerra governavano unitariamente il paese, la frattura creatasi nel 1948 e l’acuirsi delle tensioni fra le componenti cattolica, comunista e socialista, avevano portato a una crisi dei rapporti sindacali e al formarsi delle tre Confederazioni tuttora presenti. Nella storia vi sono stati alti e bassi, ma dobbiamo ricordare che nel 1955 il segretario generale della CGIL Giuseppe Di Vittorio apriva una importante prospettiva in preparazione del 4° Congresso della sua Confederazione: “Il compito fondamentale che incombe ad ogni sindacato è quello di ottenere i più alti salari possibili in ogni azienda e in ogni settore tenendo conto che esistono limiti differenti da azienda a azienda dello stesso settore… I lavoratori sono gente pratica e di buon senso. Essi non si mettono facilmente a inseguire chimere; essi si battono soltanto per rivendicazioni che corrispondono ai loro bisogni più sentiti e nella misura che questi siano realizzabili. Un sindacato che non tenga conto di questi limiti e che voglia rincarare la dose, si pone fuori dalla realtà, degenera nella demagogia e va a battere la testa contro il muro”.

Giulio Pastore, a sua volta, segretario generale della CISL, all’Assemblea Nazionale Organizzativa tenutasi a Rimini il 14-16 ottobre 1950 affermava: “Ecco il primo grande errore, sempre possibile a commettersi, soprattutto se perdendo il senso della responsabilità, ci facciamo trascinare sul terreno delle facili richieste. Partir male, amici, è quanto dire creare le premesse per il fallimento… ed allora ecco la necessità di preoccuparsi perché le nostre siano partenze indovinate, e nella impostazione delle vertenze locali e in quella dei grossi problemi su scala nazionale… Prima che la dialettica vale il senso di responsabilità e la capacità di tener conto dei fatti reali… ma vi è anche un problema, direi, di nostro comportamento personale. E sono sicuro che voi siete d’accordo con me nell’auspicare che onestà, rettitudine, laboriosità, disinteresse sono tutte virtù di cui noi dovremmo essere in possesso. Rendetevi conto, o amici, che la missione che ci compete andrà a buon fine, nell’interesse dei lavoratori, nella misura in cui sapremo esserne degni”. In un altro scritto afferma: “Eravamo, siamo, saremo in cammino per moltiplicare le speranze di equità in un mondo più solidale dove liberi uomini e donne possano costruire il loro sogno di vita”.

La recente enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI riafferma che il lavoro non è una “merce” tra altre, perché ciò che gli attribuisce valore non è l’oggetto ma il suo soggetto. “Lavorare è fare un uomo al tempo stesso che una cosa” (Emmanuel Mounier). Le forze sindacali devono essere autonome e distinte dalla politica. Il loro compito è trattare per riaffermare il valore del lavoro e la necessaria partecipazione di tutti al lavoro e nel lavoro.

“Superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria, le organizzazioni sindacali sono chiamate a farsi carico dei nuovi problemi delle nostre società… Il contesto globale in cui si svolge il lavoro richiede anche che le organizzazioni sindacali nazionali, prevalentemente chiuse nella difesa degli interessi dei propri iscritti, volgano lo sguardo anche verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati… La distinzione di ruoli e funzioni tra sindacato e politica… consentirà alle organizzazioni sindacali di individuare nella società civile l'ambito più consono alla loro necessaria azione di difesa e promozione del mondo del lavoro, soprattutto a favore dei lavoratori sfruttati e non rappresentati, la cui amara condizione risulta spesso ignorata dall'occhio distratto della società”.

Molto si può apprendere da una storia che ha bisogno di esempio, di passione e fermezza nei valori fondativi delle associazioni sindacali, e che per la CISL si esprimono nell'autonomia, nel pluralismo, nella solidarietà, e nella democrazia. Questo libro presentato in occasione dei 60 anni della CISL riminese in un incontro introdotto dal segretario generale Ust-Cisl di Rimini Massimo Fossati, a cui sono seguiti i saluti di monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, del sindaco Alberto Ravaioli e di Stefano Vitali, presidente della Provincia di Rimini. Come da invito la presentazione del volume prosegue con gli interventi di Stefano Zamagni, docente di Economia Politica all'Università di Bologna e di Oreste Delucca, co-autore del libro. Modera Giorgio Tonelli, giornalista Rai e conclude Giorgio Santini, segretario confederale CISL.