giovedì 29 aprile 2010

Famiglia e lavoro; dal conflitto a nuove sinergie

a cura di Pierpaolo Donati
docente sociologia Università di Bologna

Il testo che segue ha lo scopo di dare elementi di conoscenza sui cambiamenti della famiglia nella società contemporanea ragionando su una questione di primaria importanza nella società contemporanea: famiglia e lavoro.
La sintesi che segue e tratta del Nono rapporto del Centro internazionale studi famiglia (CISF) che ha la finalità di contribuire alla soluzione dei problemi sociali, psicologici e culturali della vita familiare.

II conflitto tra famiglia e lavoro sta alla base di moltissimi problemi sociali. La mancanza di lavoro per i giovani significa rimandare, o addirittura rinunciare a fare famiglia. La donna che lavora deve spesso rinunciare alla maternità, se non vuole perdere il lavoro. Gli orari e i ritmi di lavoro rendono sempre più difficile trovare il tempo per stare con i figli. Essere buoni lavoratori e genitori assieme diventa un compito impossibile. Spesso assistere una persona debole in famiglia vuoi dire rinunciare al lavoro. In breve, per un numero crescente di persone, lavoro e famiglia fanno a pugni. Le società più modernizzate sembrano adesso voler correre ai ripari, rendendo la vita familiare più agevole per chi lavora. Si parla di conciliazione tra famiglia e lavoro. Ma cosa significa "conciliazione" e come viene perseguita?
II presente Rapporto analizza la situazione in Italia a propone una nuova lettura dei fenomeni. Vengono distinti due scenari che definiscono a grandi linee le principali modalità alternative di intendere e praticare la conciliazione.
Il primo scenario è detto "lavoristico" perché pensa la conciliazione come un insieme di misure -negoziate fra stato e mercato - volte a rendere più facile e diffuso l'accesso al lavoro. La conciliazione diventa uno strumento necessario per raggiungere l'obiettivo di realizzare una società in cui il 70% della forza lavoro totale sia occupata (strategia di Lisbona). La famiglia figura come un insieme di vincoli che impediscono una più fluida e flessibile partecipazione degli individui al mercato del lavoro e deve pertanto essere 'conciliata' con le esigenze lavorative.
Il secondo scenario è detto "sussidiario" perché pensa la conciliazione come un insieme di misure concrete che devono rendere soddisfacente la relazione fra i due ambiti di vita, in modo da armonizzare le loro specifiche esigenze, senza strumentalizzazioni alienanti. Si sottolinea che la conciliazione non può essere solo un mezzo per incrementare i tassi di partecipazione al mercato del lavoro, ne solo una questione di accordo fra attori politici e attori economici. Deve essere un obiettivo che coinvolge tutti gli attori di una comunità, alla quale spetta il compito di creare una rete di sostegno alle relazioni tra famiglia e occupazione professionale. La conciliazione deve essere intesa e praticata come un modo per rigenerare e valorizzare il capitale sociale della famiglia e della comunità intorno. Il presente Rapporto analizza le tendenze in atto, i loro effetti, le linee legislative e infine le "buone pratiche" volte a realizzare nuove sinergie tra famiglia e lavoro. Si tratta di creare le condizioni societarie affinché lo spazio per la relazionalità familiare possa essere riconosciuto come necessario e per questo salvaguardato come bene essenziale.

La situazione attuale: molte parole, pochi fatti... e una incombente deriva lavoristica

I rapporti tra famiglia e lavoro stanno subendo, da vari anni, un processo di progressivo deterioramento. Per dirla in breve, famiglia e lavoro sono diventate due mete e due ambiti di vita sempre più distanti e per certi versi inconciliabili.
Da un lato, le trasformazioni del lavoro stanno mettendo a dura prova la famiglia, in particolare la crescente precarietà del lavoro non consente ai giovani di fare famiglia o mette in crisi la famiglia se uno ce l'ha già. Dall'altro, senza una soddisfacente vita familiare il lavoro rischia di diventare una forma di alienazione. Questo circolo vizioso è in buona misura il prodotto di un'economia che sta subendo una forte deriva lavoristica, nel senso che la priorità lavorativa condiziona tutta la vita delle persone. 1 datori di lavoro affermano che il loro obiettivo non è assistenziale, ma produttivo, che debbono far quadrare i conti economici, e che la famiglia è una questione privata o di interesse del welfare pubblico.
Che fare allora?
Da tempo si parla di "conciliare famiglia e lavoro". L'Unione Europea ha varato programmi, direttive e raccomandazioni, e così pure in Italia i governi centrali e locali parlano da parecchi anni di misure di conciliazione. Questi programmi fanno riferimento ad una legislazione specifica e a organismi particolari, come le Commissioni di pari opportunità, che dovrebbero servire soprattutto a favorire la donna nell'inserirsi nel lavoro, nel mantenere l'occupazione o ritornarvi se ne è uscita per motivi di vita familiare.
Di fatto, il Rapporto evidenzia come, particolarmente in Italia, i risultati effettivi di tali misure siano ancora molto scarsi. Particolarmente in questo Paese, il mondo del lavoro stenta a vedere la famiglia, e la famiglia non riesce a conciliare le sue esigenze con il lavoro che cambia.
Di fronte a questo stato di cose, il Rapporto propone di rivedere la questione dalle fondamenta. Dobbiamo tornare sui nostri passi e chiederci: che cosa vuoi dire conciliare famiglia e lavoro?
Il Rapporto presenta delle nuove analisi e delle nuove proposte su questa ampia tematica, che vengono qui sintetizzate nei seguenti punti.

Cosa vuol dire conciliazione? chi ne ha più bisogno, le donne o gli uomini?

Al di là de! significato ovvio, quello di rendere bilanciato ovvero equilibrato l'impegno delle persone nei due ambiti (lavoro e famiglia), il Nono Rapporto denuncia tre "derive" nel modo di interpretare la conciliazione:
• la femminilizzazione del problema (formalmente si parla di pari opportunità fra uomo e donna, in realtà le misure sono quasi tutte mirate alle donne);
• un approccio utilitaristico/produttivistico di stampo lavoristico (io scopo delle misure conciliative è sempre subordinato all'efficienza e alla competitivita dell'azienda),
• un orientamento individualistico (si tratta di sostenere le libertà e responsabilità degli individui, più che il bene relazionale della famiglia).
Benché il termine conciliazione si riferisca formalmente alla famiglia, in realtà le richieste e le prospettive rimangono essenzialmente individualistiche, trattano la famiglia come un vincolo e non come una risorsa, e comunque non evidenziano le conseguenze politiche auspicate hanno sulla famiglia nel suo insieme.
In sostanza, la conciliazione viene ancora trattata come una questione legata ai bassi tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro, anziché essere trattata come una "questione di famiglia" che riguarda in uguale misura uomini e donne e qualunque ambito di lavoro considerato come organizzazione.

Due scenari strategici per concepire la conciliazione in termini operativi

il Rapporto evidenzia due grandi modalità di concepire la conciliazione, che sostengono due scenari strategici: il primo è lo scenario attualmente dominante, di stampo lavoristico, e il secondo è quello che il Rapporto individua come possibile modalità correttiva, e per certi versi anche alternativa, che viene chiamata sussidiario.
Le strategie lavoristiche sono quelle che definiscono e trattano la conciliazione come un metodo per accrescere i tassi totali di occupazione, in particolare quelli femminili. Il loro scopo è abolire le discriminazioni e rompere le barriere che impediscono la mobilità sociale e occupazionale. Perseguono questo obiettivo attraverso il primato del complesso "Stato + mercato", a cui è affidato il ruolo propulsore del workfare.
Nella vita quotidiana, si traducono in una serie di misure, ai agevolazione e incentivazione collettiva, che il Rapporto espone e commenta analiticamente. Nel complesso, la sinergia è vista dal lato della produttività e capacità competitiva del sistema. In Italia, la politica pubblica è ancora tutta interna a questa strategia, come si può constatare analizzando la composizione e le modalità di erogazione della spesa sociale.
Le strategie sussidiarie sono quelle che definiscono e trattano la conciliazione nei termini di una reciproca valorizzazione tra famiglia e lavoro. Esse intendono il lavoro come sussidiario alla famiglia, senza che ciò significhi una svalutazione del lavoro, ma invece come valorizzazione del lavoro ovunque esso sia purché 'umano'. Lo Stato è inteso come sussidiario alla società civile, e pertanto le misure di conciliazione sono primariamente definite entro il "complesso aziende-famiglie-terzo settore", facendo intervenire lo Stato là dove necessario e utile per promuovere la relazione famiglia/lavoro. Anziché una partecipazione forzata al lavoro {workfare), si punta ad un welfare comunitario attraverso la promozione di una migliore relazione tra famiglia e lavoro. La sinergia è vista in un'ottica di comunità, anziché nell'ottica di incentivare spinte lavoristiche individuali che corrono il rischio di rendere sregolati e alienati i percorsi di vita personali e il ciclo di vita familiare. Il metro di successo di questa linea non è il tasso di occupazione in quanto tale, ma la qualità di vita (il benessere) a livello della comunità.
La tabella allegata elenca una serie di interventi di sostegno alla conciliazione, di cui alcuni sono del primo tipo (strategie lavoristiche) e a altri del secondo tìpo (più orientati alla sussidiartela).

Perché investire di più sulla conciliazione?

1. SOSTENERE LA NATALITÀ. L'italia presenta una delle situazioni più problematiche in Europa (con Spagna, Portogallo e Grecia): ha avuto un crollo della natalità (negli ultimi trent'anni) in condizioni di bassa occupazione femminile (ancor oggi, stare a casa non significa poter avere più figli). L'Italia continua ad essere il Paese con il numero più elevato di "famiglie vincolate" nelle loro scelte procreative (meno figli di quelli che desiderano),

2. SOSTENERE LE PARI OPPORTUNITÀ FRA UOMO E DONNA e collocare i sostegni alle scelte di maternità e paternità nel quadro dei sostegni complessivi alla "triplice presenza" di uomini e (soprattutto) donne nei tré ambiti: del lavoro, della propria famiglia e della famiglia dei genitori anziani (o dei figli). La conciliazione è ancora vista come un "affare di donne", ma in futuro non potrà più essere così.

3. EVITARE L'ECCESSIVA RIGIDITÀ DEL LAVORO E L'ECCESSIVA PRECARIETÀ DEL LAVORO, Le leggi finora varate (legge 10 aprile 1991, n. 125, concernente azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, a cui si è poi affiancata la legge 25 febbraio 1992, n. 215, a sostegno della imprenditoria femminile, e la legge 8 marzo 2000, n. 53 sui congedi parentali e formativi) hanno registrato un bassissimo tasso di applicazione. Viene qui presentata una prima valutazione della ed. Riforma Biagi, che puntava a incrementare i tassi di occupazione che vedono oggi gravemente penalizzati i giovani, le donne e gli over 50, collocando al contempo la persona e la famiglia al centro delle politiche sociali e del lavoro. Tra i vari istituti di tale riforma vengono considerati specificamente il part-time e l'istituto del contratto di inserimento al lavoro. Rispetto al part-time, oltre che sul piano normativo ed economico, il successo della riforma dipende da un cambiamento anche culturale, cioè dall'instaurarsi della convinzione che questo istituto possa costituire uno strumento utile per affrontare le sfide della competizione e della efficienza nell'organizzazione dei processi produttivi. Il contratto di inserimento al lavoro ha per certi versi cristallizato la disparità di trattamento economico tra donne e uomini a causa di una reale e radicale debolezza delle donne nel mercato lavorativo italiano.

4. MODERNIZZARE IL "LAVORO IN FAMIGLIA", inteso sia come "lavoro casalingo", sia come lavoro svolto in "un'impresa familiare". Il primo è ancora fortemente penalizzato e privo di riconoscimenti (la legge 493/1999 sulla assicurazione obbligatoria per chi svolge lavoro casalingo ha rappresentato un positivo passo in avanti, ma la sua applicazione è in forte ritardo). Il secondo necessita di maggiori tutele per chi svolge lavoro gratuito e volontario.

In sintesi. Il Rapporto mette in evidenza come, a! di là della legislazione, che per certi versi in Italia è all'avanguardia (per es. nei trattamenti di maternità previsti sulla carta, L. 53...), i soggetti che la debbono realizzare siano ancora largamente in ritardo. Soprattutto i soggetti economici della concilia:'• - (come imprenditori e sindacati) mostrano grandi resistenze. Essi si rendono conto che trattare gli individui che lavorano come se non avessero famiglia non è ragionevole, che ciò diminuisce il prestigio dell'azienda - pubblica o privata che sia -, e che, inoltre, diminuisce le capacità produttive e competitive delle stesse imprese perché i migliori lavoratori vanno dove le aziende danno più attenzione e servizi per la vita familiare. Ma, nonostante tutto ciò, il mondo del lavoro stenta a riconoscere di fatto le esigenze della famiglia sul piano pratico.

Una nuova prospettiva: la differenziazione relazionale sussidiaria

L'apporto più originale del Rapporto riguarda l'idea della differenziazione relazionale tra famiglia e lavoro, da gestire in base al principio di sussidiarietà.
Per comprendere il cambio di rotta che qui viene proposto, si deve partire dall'osservazione che il mondo del lavoro è ancor oggi guidato dalla differenziazione funzionale, basata sulla specializzazione delle funzioni e il principio della prestazione. Questo tipo di differenziazione separa la famiglia e l'azienda, specializzandole fra loro rispettivamente come sfera degli affetti privati da un lato e come sfera pubblica della concorrenza produttiva e dei consumi dall'altro.
La differenziazione relazionale, invece, avviene in base alla capacità delle strutture o parti della società di fornire prestazioni sovrafunzionali l'una per l'altra. Le sfere (famiglia e azienda o posto di lavoro) si differenziano in base al modo in cui si configurano i loro reciproci interscambi; per es. quanto tempo una famiglia da al lavoro, e quanti servizi l'azienda da alla famiglia per la cura dei figli (si creano famiglie diversificate per l'impegno lavorativo, così come si creano aziende differenziate per l'attenzione alla famiglia): non c'è più una netta e crescente separazione, ma una nuova interdipendenza fra i due ambiti. Adesso la forma della famiglia non è più quella dei semplici affetti privati, ma diventa quella di un soggetto sociale che chiede il riconoscimento delle sue funzioni sociali e pubbliche. Una forma di famiglia nasce perché si modificano gli scambi che i mèmbri della famiglia hanno con il mondo del lavoro, e, viceversa, ['impresa cambia perché si rende conto di dover aumentare la propria responsabilità e o la famiglia se vuole essere attraente e competitiva.
Lo spazio delle attività di conciliazione è esattamente quello dell'interscambio tra famiglia e azienda: è lo spazio relazionale in cui si collocano tutti i servizi e le misure che hanno lo scopo di realizzare l'equilibrio tra famiglia e posto di lavoro. Questo spazio deve essere costruito ad hoc, deve prendere una sua propria "costituzione", che chiamo civile (anziché politica), perché deve essere elaborata dai soggetti di società civile e consiste di un insieme di diritti umani fondamentali e di un insieme di regole e misure concrete che li attualizzino (per esempio, per realizzare il diritto delle persone - in particolare le donne - ad avere figli e continuare a lavorare). In quello spazio "tra" il lavoro professionale e la famiglia, fino a qualche anno fa, c'erano delle istituzioni che ora non ci sono più; il vicinato, la parentela -i nonni, i cugini-, le parrocchie, le associazioni tradizionali, le amicizie nella comunità intorno alla famiglia. C'era una comunità di persone che si aiutavano a far fronte alle esigenze del lavoro. Queste istituzioni "civili" debbono ora essere sostituite da altre istituzioni, anch'esse "civili", come le associazioni di famiglie, i nidi familiari, la "madre di giorno" {Tagesmutter), le forme di cooperazione sociale, le banche del tempo, le reti di auto e mutuo aiuto che costituiscono il capitale sociale di una comunità. Queste nuove istituzioni sociali devono avere la capacità di adempiere le funzioni proprie delle reti che intrecciano servizi formali e informali per sostenere la famiglia nei suoi impegni di lavoro.

"Buone pratiche" per la conciliazione

II tema delle "buone pratiche" è analizzato alla luce delle considerazioni precedenti. Un pratica di conciliazione può essere considerata buona non semplicemente perché da un beneficio ad un individuo come tale, ma perché agisce sulle relazioni tra famiglia e lavoro,. Il Rapporto presenta un'analisi critica di quelle che usualmente vengono oggi chiamate buone pratiche", !e quali spesso sono solo applicazioni di norme di legge (come i congedi genitoriali o l'avvio di un nido aziendale sovvenzionato con forti incentivi e contributi pubblici).
In genere le buone pratiche di conciliazione sono il frutto di un'iniziativa manageriale, o dove la componente femminile è preponderante, o per trattenere personale altamente specializzato, oppure ancora in contesti di terziario avanzato. Viene fatto il punto della situazione sullo stato dell'arte, presentando gli esempi più interessanti di buone pratiche nel settore privato e in quello pubblico: part-time, job sharing, telelavoro, banca delle ore, formazione e mentoring, ecc. Viene rilevato che le buone pratiche sono legate a una nuova concezione del lavoro per obiettivi (e non per quantità di tempo dedicato) e alla Responsabilità Sociale di Impresa.
In termini di innovazione delle politiche sociali, il Rapporto propone di distinguere le buone pratiche in base a tre modelli di welfare:
• i servizi offerti per via istituzionale (i servizi tradizionalmente offerti da un ente pubblico),
• quelli offerti tramite un mercato sociale regolato
• quelli detti relazionali, o di terza generazione o 'societari'. I servizi di terza generazione si definiscono e si qualificano come "relazionali" o "societari" perché:
• coinvolgono un mix di attori e di risorse,
• si orientano a produrre un servizio relazionale,
• vengono messi in atto con un contratto-patto relazionale fra chi li gestisce e chi ne usufruisce,
• operano nell'ottica di essere sussidiar! alla famiglia come tale.

Principi generali per rilanciare la conciliazione

II Nono Rapporto valuta positivamente le raccomandazioni della UÈ agli Stati mèmbri per una migliore attuazione della conciliazione, ma li ritiene insufficienti. Propone di leggere i principi generali contenuti nei programmi europei in un'ottica non lavoristica, ma di uguale dignità dei diritti del lavoro e della famiglia. Pertanto, a integrazione (in corsivo) delle raccomandazioni UÈ (fra " "), il Rapporto propone:
a) "una politica del lavoro che garantisca la donna nella scelte della maternità con incentivi e garanzie del suo reintegro nel mondo del lavoro. Devono essere favoriti i modelli del lavoro a tempo parziale e a tempo determinato": esistono altre buone pratiche di conciliazione dei tempi (job sharìng, lavoro a coppia, lavori per obiettivi, ecc.), e inoltre, a prescìndere dalla specifica situazione lavorativa della donna, vanno previste misure di valorizzazione dei lavoro genitorìale (materno o paterno) con benefici monetari e servizi in natura commisurati alla condizione familiare;
b) "una rimodulazione degli orari dei servizi cittadini (negozi, uffici, scuole) secondo criteri di massima flessibilità per venire incontro alle esigenze dei genitori che devono far fronte alle esigenze dei diversi ambiti familiari e professionali"; vanno create forme e coordinamento territoriale degli orari tramite agenzie ah hoc nelle quali siano rappresentati tutti i soggetti (politici, economici, sociali) interessati al tema della conciliazione;
c) "una politica dei servizi che sia in grado di tessere attorno alla famiglia una vera e propria rete di assistenza"; la rete di assistenza deve essere mirata non solo alla famiglia problematica o "vincolata", ma a tutte le famiglie, deve essere centrata sulla relazione famiglia-lavoro per abilitare tale relazione e valorizzare sia l'una che l'altro, deve avere le stesse famiglie e le loro associazioni come soggetti sociali che organizzano servizi;
d) "una maggiore partecipazione degli uomini alla cura e alla crescita dei figli": ciò non significa rendere i lavori indifferenti il gender, ma creare condizioni contrattuali che diano agli uomini la possibilità di valorizzare il loro ruolo familiare (negli orari di lavoro, nei benefici normativi, ecc.) mediante contratti relazionali;
e) "una politica socioprevidenziale per la madre non lavoratrice, penalizzata fortemente dal sistema sociale che non riconosce alla casalinga nessun valore per le mansioni da lei svolte"; si dovrebbero aggiungere misure fiscali di valorizzazione del lavoro casalingo e domestico, misure assicurative gestite anche dal privato sociale; benefici specifici per attività di cura domestica (per bambini e persone non autosufficienti) nell'ottica di valorizzare le reti di mutuo e auto-aiuto e l'intreccio fra reti informali e formali.

Proposte concrete per il futuro immediato
L'ottica relazionale proposta dal Nono Rapporto conduce a suggerire un quadro di misure che riguardano tre ambiti distinti: l'azienda, perché assuma il suo ruolo di responsabilità sociale; la famiglia, perché consenta a ciascuno di lavorare pur avendo le proprie responsabilità familiari; e, inoltre, la sfera intermedia che relaziona famiglia e lavoro. Altre misure sono trasversali ai tre ambiti

                                                                              
Misure da adottare
Nelle aziende
Nella sfera intermedia fra azienda e famiglia
Nella famiglia
Misure fiscali
Incentivi e sgravi fiscali alle aziende che offrono servizi di conciliazione
Sgravi fiscali per le organizzazioni non profit che fanno servizi di conciliazione

Sgravi fiscali alle famiglie in base al numero di figli e alla presenza di persone non autosufficienti (doversi dalle jpolitiche fiscali per le famiglie povere)
Servizi di cura
-Nidi aziendali

• Nidi pubblici e privati come servizi relazionali
• Sostegno alle associazioni di privato sociale ( specie familiari che organizzano servizi per le famiglie)
Nidi "familiari" (domiciliari, madre di giorno, educatrici familiari, ecc.) come espressione di servizi relazionali

Modificazioni della     organizzazione del lavoro
•Orari flessibili
•Part-time
• Forme atipiche family friendly
Distacco associativo

Riconoscimenti al lavoro in famiglia (casalingo e di impresa familiare)




Misure trasversali
Piani territoriali degli orari (trasversale)
Coordinamento fra gli orari dei servizi (negozi, nidi, scuole, servizi sanitari, ecc.), gli orari di lavoro e i tempi di trasferimento a livello di un'area territoriale
Costituzioni civili (trasversale)

Accordi fra imprese, famiglie e associazioni (sindacali, di categoria, familiari, sociali) sui modi di riconoscimento e implementazione dei diritti umani familiari 'in un determinato settore produttivo o area territoriale
Contratti relazionali (trasversale)

Inserire la variabile "tempo di famiglia" nei contratti lavorativi e in generale nella regolamentazione pubblica e privata delle attività, anche quelle di privato sociale e familiari (lavoro casalingo e di impresa familiare)


FONTE: http://www.sanpaolo.org/cisf/default.htm

Risorsa famiglia - Come promuoverla evitando la bancarotta

di Carlo Pantaleo

Introduzione

Ecco alcune voci di testimonianze:

“Anche Giuseppe che era della casa e della famiglia di Davide… salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora mentre si trovavano in quel luogo, si compiono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Dal Vangelo secondo Luca 2,1-7).

“Non arrivano altri soldi all’infuori dello stipendio di mio marito. Quando lavoravo anche in nero arrivavano più soldi e “prendevamo più aria”. Adesso da un anno siamo solo con lo stipendio di mio marito. Paghiamo l’affitto per un appartamento che non è neppure abbastanza grande. Lei sa che a Rimini si paga tanto, perciò anche questo è un problema per noi. Paghiamo tutti i contributi e paghiamo tutto, perciò alla fine lo stipendio non basta. Questo è anche il motivo per il quale non vogliamo avere figli, perché adesso non possiamo permettercelo” (donna bulgara che ha da poco terminato un tirocinio presso un’azienda di abbigliamento, in “Flessibilità, precarietà e rischi di scivolamento verso la marginalità”, a cura del Centro Studi Politiche del lavoro e società locale della Provincia di Rimini).

“Sono Erika di Torino, ho 24 anni. Il mio gruppo militanti ha affrontato una revisione di vita su come spendiamo i nostri soldi. Dal giro dei fatti è emerso che chi ha un lavoro precario non ha garanzie e certezze economiche e le spese impreviste possono pesare molto sul bilancio famigliare. Inoltre questi tipi di lavoro non ci danno grandi prospettive di assunzione e quindi di stabilità economica per il futuro. C’è inoltre chi, di fronte a molte spese mensili considerate un investimento per il futuro, come il mutuo per la casa o la rate della macchina, non riesce ad arrivare tranquillamente alla fine del mese. La domanda che ci siamo fatti è “Non si sa risparmiare o non si può risparmiare?” Guadagnare poco ci mette anche nella condizione di non poter aiutare in casa e questo risulta essere un problema, soprattutto quando la famiglia vive un momento di difficoltà economica” (Dal sussidio per l’avvio della campagna d’azione nazionale della Gioc si giovani e consumi: “Tutto il resto”).

“A me attualmente l’assistente sociale non sta dando nulla perché dice che sto guadagnando troppo; anzi non mi sta dando nulla perché devo rifare la domanda; ho dovuto ripresentare la domanda, poi ho cercato di dire: guarda, cara signora, il mio nido, anche se sono 60 euro, me lo pago; però se tu ci togli tutto da uno stipendio di 700 euro: affitto, bollette, mantenimento della Giuliana, il mio, mangiare, ecc., dico, io son malridotta, così non si va avanti” (Da “Madri sole” sfide politiche e genitorialità alla prova, a cura di Franca Bimbi, Edizioni Lavoro).

“Quello della malattia di mia moglie è stato un altro momento in cui il mio esercizio quotidiano come padre cambiò radicalmente, poiché dedicai più tempo a mia moglie e ai miei figli. Per un anno e mezzo lottammo insieme contro una malattia grave… Quella situazione mi obbligò a prendermi cura dei miei figli a tempo pieno e cambiò profondamente le mie responsabilità di padre. Ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo: cambiare i pannolini o cantare una ninna nanna. Oggi, con i miei figli, abbiamo instaurato un linguaggio comune. Ad esempio, durante la notte, anche se addormentato, riesco a sentire ogni loro movimento; capisco quando sono stanchi, ammalati, quando hanno fame o sete, quando vogliono giocare, dormire o riposare. Curiosamente, anche loro mi ascoltano, sono al corrente di me; ciò spiega la natura interattiva della paternità. D’altro canto, ho anche sperimentato dei radicali cambiamenti nel modo di esprimere i miei sentimenti a loro. Mi sorprendeva osservare come una carezza o una parola d’affetto fossero intese diversamente da Alex e da Nicole; sono certo che questo non è soltanto attribuibile a una differenza di età, ma anche di sesso. Tutto questo mi fa pensare a qualcosa di viscerale che è sorto in me; probabilmente un “istinto paterno”. Sono certo che tale modo nuovo di confrontarmi con la mia mascolinità, attraverso la “pratica” paterna, fa parte della mia storia personale, e con quella madre che mi è stata accanto quando ero un neonato e un bambino e che, oggi, è parte della mia identità di uomo” (Dalla testimonianza di Raul Medina Centino in M. Andolfi, Il padre ritrovato, Franco Angeli).

“Stare in casa è come stare in albergo. Fai quello che vuoi, arrivi e trovi da mangiare, la spesa non la devi fare… Non devi stare attento alla bolletta del telefono… Certo in alcune situazioni avresti bisogno di maggiore libertà ma lavoro talmente tanto che non ho il tempo di accorgermene e quindi mi va bene lo stesso” (Istruttrice di nuoto con contratto do collaborazione, 27 anni, da “Vivere l’instabilità del lavoro di Giovanna Fullin, il Mulino).

“Uno va avanti per forza della disperazione perché sei sola, sei sola e rimani sola, nonostante tu ti informi di ciò che c’è sul territorio, i servizi di rete, la rete non esiste, c’è soltanto una rete familiare, diciamocelo. Si va a tentoni, cioè uno prova, ma non può fare miracoli. Esistono tanti uffici, tante assistenti sociali, tante belle chiacchiere, ma in sostanza vai a chiedere e cosa, un sussidio e si finisce lì; non è che esiste qualcosa di più concreto, un aiuto più dignitoso, non c’è. E’ una via crucis” (Da “Madri sole” sfide politiche e genitorialità alla prova, a cura di Franca Bimbi, Edizioni Lavoro).


Riconoscere questa risorsa necessaria perché sia al centro della società
Il compito di aver cura della famiglia in quanto soggetto sociale e di sostenerla nella sua responsabilità educativa rappresenta una delle grandi sfide del tempo presente, in un contesto che sembra mettere in crisi la sua realtà, i suoi tempi di vita, i suoi compiti.

“Nessuna donna che lavora è uguale a un’altra mamma che lavora. Così come nessun bambino che l’aspetta a casa è uguale a un altro bambino che aspetta. Bisogna allora che tutti e due trovino una loro armonia, una loro ricetta, il loro segreto. A me faceva bene ricordare questo: ogni giorno dobbiamo lasciarci. Ma, per ogni giorno, abbiamo un appuntamento”. (Cristiane Collange)

Ma il richiamo di Cristo trasmessoci nel Vangelo da Matteo (19,3-9) e da Marco (10,1-12) non lascia dubbi sul nostro impegno per la famiglia: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due formeranno una carne sola”?”. Nella lettera agli Efesini San Paolo dice che “Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!”“ (5,29-32). Cristo è la Verità, quindi lo dice anche per il bene e la vita della società e del mondo, non solo per i cristiani credenti. La Dichiarazione internazionale dei diritti dell’uomo approvata nel 1948 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite all’art. 16 afferma “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha il diritto di essere protetta dalla società e dallo Stato”.
Per poterne fare un analisi oggettiva nel nostro contesto riguardo la situazione che vive abbiamo coinvolto i membri degli uffici diocesani di pastorale sociale e famigliare, che a sua volta fanno parte anche di importanti realtà associative laicali presenti sul territorio.

Abbiamo tutta l’intenzione di “dare gambe” all'esperienza e alle 10 proposte che come Centro Cardijn, Gioc e CML abbiamo presentate all’assemblea pubblica “Famiglia e nuove povertà”, confrontandoci e collaborando con tanti altri. Come potete vedere dal documento che vi rioffriamo questa sera, riguardo la maternità, gli asili, la casa, ecc…, è sempre più necessaria una mobilitazione delle stesse famiglie promuovendone l’associazionismo e creando un Osservatorio-Laboratorio trasversale alle diverse politiche settoriali, ma che non si limiti ai soli casi di povertà.
Le forme di sostegno alla genitorialità e alle famiglie, diversamente da quanto è accaduto fino adesso, si rivolgono alla totalità dei soggetti e non soltanto a chi si trova in situazione di difficoltà conclamata. Inoltre esse sono accomunate da un’idea di famiglia come soggetto portatore di risorse e competenze, da riconoscere e promuovere attraverso azioni di ascolto, accompagnamento educativo, creazioni di spazi di socializzazione, confronto, mutuo aiuto tra i singoli soggetti.
Realtà associative e istituzioni pubbliche a partire dal locale, non possono ignorare che per convivere e avere un futuro, devono passare attraverso il riconoscimento della famiglia quale interlocutore a pieno titolo, invece di combatterla o/e ridurla a solo fatto privato.
La famiglia non è una semplice istituzione-guscio. Essa è il bene relazionale insostituibile la cui centralità nella vita della comunità civile ed ecclesiale è nell’essere il punto culminante dell’incrocio fra persona e società, svolgendo i compiti di grande responsabilità quali l’essere comunione di amore e vita, luogo di reciprocità e educazione delle nuove generazioni, motore di coesione solidale. In una visione dominate che riduce tutto a solo economia sia nella teoria che nella pratica attraverso le singole scelte quotidiane, non si tiene conto anche dei fattori come quelli relazionali e affettivi. Tutto ruota ed è quasi interamente incentrato attorno alle merci e al denaro, restando così fuori o comunque subordinando a queste altre forme di beni ben più importanti, quali quelli relazionali, ambientali e che riguardano le generazioni future. Questi beni valgono proprio perché per essere posseduti non basta essere da soli. Essi si caratterizzano riguardo l’identità delle singole persone, la reciprocità, la simultaneità, le motivazioni, l’emergere all’interno della relazione stessa, valgono in sé e non hanno un prezzo di mercato. Infatti concentrandosi solo sulle variabili del benessere come il reddito, la ricchezza, il consumo, ecc…, si trascurano quelle che si riflettono sullo star bene, sul ben-essere delle persone.
Al lavoro pensiamo ai bambini che abbiamo lasciato a casa. A casa pensiamo al lavoro che non abbiamo finito. Tutto questo se va oltre le legittime responsabilità diventando apprensione, vuol dire che c’è un conflitto che si scatena dentro di noi e che lacera il nostro cuore, e questo perché si minaccia il giusto ordine dei valori, un ordine che viene stravolto dall’organizzazione sociale ed economica. Nella Carta dei Diritti della Famiglia (1983) della Santa Sede all’art. 10 si legge: “Le famiglie hanno diritto a un ordine sociale ed economico in cui l’organizzazione del lavoro permetta ai membri di vivere insieme, e non ostacolare l’unità, il benessere, la salute e la stabilità della famiglia”. Ma a sua volta “Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro” (Compendio della dottrina sociale della Chiesa). C’è un primato della famiglia sulla società, sul lavoro, sul capitale, che non ne annulla il valore necessario, ma implica che questi si orientino ordinatamente al bene della persona.

Riguardo la felicità, come dimostrano scientificamente studi recenti nelle società avanzate e riguardo l'esperienza delle imprese dell'Economia di Comunione del Movimento dei Focolari, essa è per sua natura pubblica, quindi
1) non si può essere felici da soli: la felicità è piena nella comunione;
2) la felicità nasce dal donarsi;
3) ha una struttura paradossale: la si trova anche collaborando e facendo felici gli altri;
4) è un risultato indiretto di una vita virtuosa.
Molti decretano il fallimento della famiglia vedendo la fine di certi automatismi, invece di ancor più sostenerla e renderla consapevole di essere un traguardo da conquistare giorno per giorno, un compito e una sfida a cui merita di essere dedicata la vita e l’impegno di tutti nelle modalità in cui si articola nel presente dato. Tener conto del presente vuol dire tener conto del cambiamento sociale che produce una vulnerabilità sempre più legata all’intreccio dell’aumento del costo della vita, alla precarietà del lavoro, al costo dei servizi e alla malattia/disabilità.


Relatori e Fonti dei dati
La dott.ssa Sabrina Zanetti sociologa e Presidente delle ACLI di Rimini, ci presenterà le conclusioni di un’Indagine che ha curato per l’Associazione “Forum per la famiglia”, in collaborazione con Assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Rimini e Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia.
Il titolo è “La famiglia tra idealità e quotidianità”, Indagine sul disagio sociale e relazionale nelle famiglie del Comune di Rimini. Fara Editore.
Essa è realizzata su un campione di 470 unità con un questionario di 25 quesiti, e tratta delle trasformazioni valoriali e dei modelli di famiglia che cambiano a partire dal nostro territorio.

Roberto Soldati, dell’Associazione Papa Giovanni XXIII° e membro dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale, ci porterà la sua esperienza commentando
- Le Famiglie di Rimini: tipologie, modelli emergenti, servizi e prospettive di prevenzione. Dati a cura del Comune di Rimini
-“Report Nuove Povertà”, traiettorie di nuove povertà e vulnerabilità sociale nel territorio riminese: tendenze, peculiarità e forme di contrasto; a cura di Costantino Cipolla e Antonio Maturo, Corso di Laurea in Sociologia della Salute e Degli Stili di Vita, Facoltà di Scienze Politiche “Roberto Ruffilli” Università di Bologna.

Cesare Giorgetti dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale della Famiglia ci dirà sul compito irrinunciabile della “Comunità cristiana e le famiglie in difficoltà”, cioè quelle di tutti noi o per un motivo o per un altro, a partire dalla vincita della solitudine. Come avrà modo di approfondire il primo impegno è quello della formazione capace di prevenire le crisi e che abbia caratteri permanenti. Serve una maggiore e più efficace informazione sui servizi per la famiglia. Servono progetti organizzati che possano partire dalle giovani coppie. Una rete di famiglie in cui condividere le esperienze e possa offrire aiuto ai bisogni che si incontrano.

Con amore con i “nuovi poveri”
Nel Comune di Rimini le famiglie sono complessivamente 56.941 (bollettino statistico demografico del Comune di Rimini, anno 2005).
Esse sono formate mediamente da 2,5 componenti per famiglia, ponendosi di qualche decimo di punto al di sopra della media regionale (2,39 componenti per famiglia).
Il primo dato evidente è che quasi l’80% delle famiglie rientra nella fascia 1-3 componenti.

La tipologia familiare prevalente (54,7%) è quella costituita da coppie coniugate, con figli (33,7%), senza figli (17,1%), o con altri (3,1%).
I nuclei familiari composti invece da un solo genitore con uno o più figli sono l’8,7% e, nella grande maggioranza dei casi (83% dei casi), il genitore è la madre. Questa tipologia appare in costante crescita rispetto al decennio precedente.


COMUNE DI RIMINI – ANNO 2005 –

Popolazione residente

135.682
Numero di famiglie

56.941
Dimensione media familiare

2,3

FAMIGLIE IN BASE AL NUMERO DI COMPONENTI

1 Componente
17.957
31,5%
2 Componenti
15.576
27,3%
3 Componenti
12.044
21,1%
4 Componenti
8.662
15,2%
5 Componenti
2.040
3,6%
6 Componenti
468
0,8%
7 Componenti
115
0,2%
Altri
------
------

TIPOLOGIA FAMILIARE

Coppie coniugate
di cui prevalentemente:
-         con figli
-         senza figli
-         con altri

54,7%

33,7%
17,1%
3,1%
Famiglie monogenitore con figli
di cui prevalentemente:
-         madre e figli

8,7%

83%
Famiglie unipersonali
di cui prevalentemente:
-         Anziani

31,5%

44,8%



FAMIGLIE RICOSTITUITE
(circa il 6% delle coppie totali con figli)

Coppie con figli avuti da precedenti unioni

24,7%
Coppie con figli avuti dall’attuale unione

62,8%
Coppie con figli avuti da attuale e precedenti unioni
12,5%



Assegno di maternità –Anno 2005 -
132
Assegno nucleo familiare numeroso – Anno 2005 -
170


Sono cresciute poi in maniera sensibile le famiglie unipersonali, che attualmente sono il 31,5% delle famiglie complessive (tra esse, nel 44,8% dei casi, vi è una persona che ha almeno 65 anni di età).
Alcune puntualizzazioni iniziali ci sono utili per introdurre alcune riflessioni e analisi più specifiche e approfondite:
• aumenta il numero delle famiglie monogenitoriali;
• aumenta il numero delle famiglie ricostituite;
• presenza del fenomeno delle libere unioni.

MODELLI EMERGENTI
Per la nostra analisi è interessante sottolineare come le famiglie ricostituite, con la presenza di almeno un figlio, è circa il 6% delle coppie totali con figli.
Tra esse, vivono con figli avuti da precedenti unioni il 24,7% delle coppie, vivono con figli avuti dall’attuale unione il 62,8% delle coppie, vivono con figli avuti sia da unioni precedenti che da quella attuale 12,5%.
Si tratta generalmente di famiglie adulte (81% dei casi), e la classe di età in cui si concentrano maggiormente è da 35 a 44 anni (il 41 %) e da 45 a 54 anni (il 29%).
Nella Provincia di Rimini vi è una maggiore propensione delle coppie ricostituite a sposarsi, risultano infatti coniugate il 62% delle famiglie ricostituite riminesi, contro il 59% della media regionale.

LIBERE UNIONI
Le libere unioni, costituite da una coppia la cui unione non è stata sancita dal matrimonio, rappresentano nel riminese un fenomeno ancora piuttosto limitato, o comunque in linea con la media nazionale, la cui incidenza sul complesso delle coppie è del 3-4% (dato che non è comunque attendibile, sicuramente in difetto, per motivi prettamente anagrafici).
In prevalenza (59% dei casi) sono formate da partner entrambi celibi o nubili, in età compresa tra i 25 e i 40 anni; in questo caso si caratterizza quindi come una tipologia di unione scelta prevalentemente dalle giovani generazioni.
Esistono però altri casi in cui almeno uno dei due partner proviene da una precedente esperienza matrimoniale nel 23% dei casi, la percentuale scende al 17% per le unioni formate da partner entrambi provenienti da precedenti esperienze coniugali, terminate con divorzio o vedovanza.

DIVORZI
Nel 2002, per mille coppie coniugate, i tassi di separazione risultano del 5,5% e quelli del divorzio a circa il 2,9%. I dati riguardanti la Regione Emilia Romagna e il nostro territorio si caratterizzano per valori più alti rispetto alla media nazionale (rispettivamente il 6,2% per i tassi di separazione e il 3,7% per i divorzi).

Dal 1995 al 2002, in Italia, resta più o meno costante il rapporto tra separazione e divorzio pari a 1,9% (per ogni divorzio si hanno due separazioni).
La percentuale di separazione entro i primi 5 anni di matrimonio è pressoché la stessa in Italia (25%) e nel nostro territorio (26%) mentre, per quanto riguarda la separazione per matrimoni di lunga durata, la media regionale risulta più elevata rispetto a quella nazionale (36,7% dell’Emilia Romagna contro il 33,3% dell’Italia).
Per i residenti nella Provincia di Rimini si può stimare che il divorzio avviene mediamente per le persone delle generazioni più giovani, dopo 7-8 anni dal matrimonio.
L’età media al momento del divorzio è di 42,7 anni (44,4% per i maschi e 41,5% per le femmine), ma si registra la più alta frequenza nella classe di età compresa tra i 35 e i 44 anni (43,7%) e nella classe di età compresa tra i 45 e i 54 anni (25,6%).
In generale pare esservi una minore propensione delle donne a risposarsi rispetto agli uomini che, invece, più frequentemente accedono a seconde nozze.

SULL’IMPOVERIMENTO
Molti sono i fattori implicati nel processo di impoverimento a cui una larga fascia di persone è oggi esposta. Tre variabili, però, assumono, come per il passato, ma con forme del tutto nuove, un peso decisivo: lavoro, casa e salute.

Il lavoro, contrariamente al passato, non va considerato nella sua presenza o assenza, ma in tutta quella gradualità di possibilità che esso può assumere con le nuove modalità di impiego o parziale impiego. La flessibilità si declina, in soggetti che non hanno forti reti famigliari, in precarietà. In molti casi, le persone vivono periodi di relativo benessere, ma a questi accade che ne sopraggiungano altri di difficoltà.
E spesso, la persona, se è sola oppure se si ammala, o comunque se è esposta a un evento imprevisto, può non riuscire a risollevarsi. Tanto più che per lavorare, per lo più, è necessaria una dotazione iniziale che agisce come meccanismo selettivo (macchina, vestiti di un certo tipo, possibilità di consumare pasti fuori, disponibilità a lavorare in orari “scomodi”). Va da sé che l’accesso al credito è negato. E così si corre il rischio di indebitarsi presso le persone sbagliate.
Per quanto riguarda il lavoro, a Rimini (dati provinciali 2005) il tasso di occupazione si attesta a un valore sensibilmente inferiore a quello regionale: siamo al 63,8%, mentre quello regionale è al 68,3%. Anche il tasso di occupazione femminile è basso rispetto a quello regionale: 53,7% contro 60,2% - vi è da dire, però, che è in forte crescita negli ultimi cinque anni. Analogamente, troviamo un tasso di disoccupazione al 5,8% (contro una media regionale del 3,7%) con una disoccupazione maschile al 4,1% (contro il 2,7% della media regionale) e una femminile all’8,1% (a fronte del 5% media regionale). Probabilmente i valori sono falsati dal fatto che d’estate vi è la possibilità per molti riminesi di lavorare presso le strutture legate al turismo, in alcuni casi non in regola. Tuttavia, c’è da segnalare che questo aspetto non fa altro che aumentare la precarietà delle occupazioni che spesso coincide con il progressivo superamento e marginalizzazione di persone non più giovanissime, anche al di sopra dei 35-40 anni. Se, la precarietà giovanile in ambito lavorativo è un dato purtroppo acquisito, meno si sa di coloro che vengono espulsi dal mercato produttivo dopo che pensavano di essersi integrati o mentre erano in via di integrazione.
Come è possibile notare la necessità di intervenire secondo strategie di rete è un elemento che viene rimarcato anche dai dati quantitativi che delineano la situazione occupazionale nel contesto riminese.
Altro dato fondamentale è l’incidenza delle assunzioni part-time che nel 2004 sono il 26,2%, mentre dieci anni fa era il 2,2%.
Il Centro Cardijn, con Gioc e CML nel documento “ATTUALITA' E FUTURO DEL SINDACATO” discusso con i tre segretari confederali di Rimini, evidenziava che il problema più importante che il sindacato deve oggi affrontare è il passaggio dal lavoro ai lavori, derivante dalle trasformazioni in atto nei modelli produttivi postfordisti, dal peso crescente della tecnologia in rapporto alla valorizzazione della risorsa umana, al divario sempre più esiguo tra lavori a posto fisso e quelli precari. In una fase di aumento dei lavoratori atipici ed autonomi, di sviluppo delle collaborazioni, di frammentazione dei tipi di lavoro, il sindacato deve riuscire a incidere e valorizzare questi mutamenti, se non vuol ridursi nella sua consistenza ed indebolirsi nella rappresentanza dei nuovi lavoratori. Per questo deve essere aiutato a essere più presente e deve puntare sulla formazione, ma allo stesso tempo esso deve avere il coraggio di spostare le tutele dall'azienda alla società. Questo accade attraverso ammortizzatori sociali che consentano alle persone che perdono il posto di essere accompagnate ad un nuovo lavoro, senza che ciò generi insicurezza, paura ed abbandono. L'intreccio tra sussidio, formazione ed inserimento lavorativo deve diventare un nuovo modo di tutelare le persone, in una realtà sempre più frammentata.

La casa. Non è una novità il costante e, all’apparenza, inarrestabile aumento dei prezzi degli alloggi e degli affitti. Pensionati, persone separate, ma anche famiglie monoreddito sono escluse, semplicemente, dalla possibilità di avere una casa decente in affitto, tanto meno hanno la possibilità di comprarla.
La crescita iperbolica degli affitti e del prezzo delle case a Rimini è ancora più accentuata che nel resto d’Italia vista la sua vocazione turistica. Inoltre il contesto riminese sconta una domanda abitativa crescente, domanda peraltro di soggetti anziani, immigrati con redditi di fascia medio-bassa e di studenti che hanno disponibilità, in media, maggiori. In più, gli studenti, essendo disposti a vivere in più persone, contribuiscono a far crescere il prezzo degli affitti. Senz’altro la precarietà dei lavori di oggi rende difficile pagare gli affitti con regolarità, e quasi impossibile acquistare una casa; vi è di certo un nesso tra la crescita di povertà tra gli anziani e la difficoltà di pagare l’affitto così come riesce difficile pagare affitti o mutui in situazioni di malattia… Però, anche se una persona non è gravata di problemi su altri fronti il prezzo dell’abitare può essere causa di impoverimento. Senz’altro per affittare una casa è necessario un doppio reddito (se si tratta di redditi “normali”). Se dieci anni fa gli sfratti per morosità erano meno del 30% oggi siamo al 70% (da intervista Ass. Buldrini). Mentre nel 2001 c’erano meno di 900 domande per concorrere all’assegnazione di una casa popolare oggi si aggirano intorno alle 1700.
Anche le domande per alloggi ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) aumentano in modo esponenziale. La domanda per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ha subito un’impennata negli anni: da 828 domande nel 2001, a 1.503 domande nel 2004 (con una lieve flessione nel 2005, con 1.396 domande). Rimini ha un numero di case popolari basso rispetto alle altre provincie romagnole, ma sono in costruzione oltre 300 appartamenti.
Va però sottolineato che sono aumentati, negli anni, gli alloggi assegnati in emergenza abitativa (es.11 nel 2001,26 nel 2004).
L'ipotesi poi dell'autocostruzione -che abbatte i costi della casa di due terzi- è al vaglio degli uffici dell'Urbanistica. C'e' l'impegno del Vice-Sindaco, ed al tempo stesso è oramai in direttura d'arrivo nei Comuni San Giovanni in Marignano, Riccione, Coriano.

Analizzando i dati relativi al fondo sociale affitto le “domande accolte” sono andate via via crescendo negli anni: ad esempio, si è passati da 1.068 domande nel 2001 a 1.345 domande nel 2004. Se si esaminano, inoltre, i dati relativi alle “domande pervenute” ci si rende conto che il trend di richiesta è in aumento, infatti si è passati da 1.392 domande pervenute nel 2003, a 1.502 nel 2004 e 1.743 nel 2005. I dati confermano una crescente richiesta da parte dei cittadini e, allo stesso tempo, evidenziano un impegno crescente da parte dei servizi per rispondere a questa forte domanda. Inoltre, se la quota regionale del fondo sociale affitto è andata diminuendo negli anni, registrando un – 5,6%; la quota comunale, invece, è andata crescendo, da 206.572,92 Euro nel 2001 a 407.121,00 Euro nel 2004, a conferma del forte impegno del Comune di Rimini nel rispondere alla domanda dei cittadini.
Inoltre è stato depositato in Comune il nuovo contratto concordato, che prevede sia per l'affittuario, sia per il proprietario una serie di sgravi fiscali a fronte di un tariffario più basso del 20% rispetto ai prezzi del mercato immobiliare. Si sta valutando un'ulteriore agevolazione sull'ICI tenendo conto del numero dei figli a carico delle famiglia ivi abitante, e non più solo del numero dei mq. Finora è stata approvata solo per le famiglie numerose.

La femminilizzazione della povertà nel territorio riminese è uno temi rilevanti emersi durante gli incontri con i testimoni significativi: una maternità vissuta in solitudine, la separazione o la morte del coniuge rappresentano per molte donne eventi critici nel corso della vita non superabili se non tramite l’intervento dei servizi. Le famiglie monoparentali sono composte sei volte su sette da donne sole con figli a carico (nel 2003 le famiglie monoparentali con solo padre erano 403, mentre erano 2.921 quelle con sola madre). Senza reti famigliari e/o sociali il costo degli asili, di baby parking o baby sitter non è affrontabile con uno stipendio medio.
La salute entra in gioco nelle dinamiche di povertà: nel caso delle dipendenze, della salute mentale, degli anziani e del disagio psico-sociale senza tener conto delle conseguenze di handicap, malattie invalidanti e incidenti.

Asili Nido

LISTA D'ATTESA PER I NIDI D'INFANZIA ( al SETTEMBRE 2005)

TOTALE RICHIESTE
975
OFFERTA DEL COMUNE
528
LATTANTI IN ATTESA
61
PICCOLISSIMI IN ATTESA
101
PICCOLI IN ATTESA
82
MEDI IN ATTESA
121
GRANDI IN ATTESA
67
                                 TOTALE IN ATTESA
432

                                    RICHIESTE EVASE

DA ASILI NIDO PRIVATI
103
DA EDUCATRICE DOMICILIARE
15
TOTALE INEVASE DAL SISTEMA INTERO
314
nati nell'anno 2003
432
                                                                                  
LISTE D'ATTESA PER LE SCUOLE MATERNE

RICHIESTE INEVASE (DAL SISTEMA)
190


TOTALE RICHIESTE  
3417
RISPOSTA DAL COMUNE (47 Sezioni)
(37%) 1215
RISPOSTA DALLE STATALI
(17%)     67
RISPOSTA DAI PRIVATI PARITARIE
(46%)  1623
NUMERO INSEGNANTI

INSEGNANTI SCUOLA INFANZIA
 107 in ruolo + 23 a tempo det. = 130
INSEGNANTI NIDO INFANZIA
 55 in ruolo + 32 a tempo det. =  87

 
Benchè nella nostra regione siano attivi più di seicento asili, frequentati dal 23% dei piccoli fino a tre anni di età (la media italiana è del 7,5%), rimangono ancora settemila bambini in lista d´attesa. In base alle modifiche alla Legge 1 del 2000 sono state semplificate le modalità per aprire ed accedere a nuovi asili privati e aziendali.

Per quanto riguarda gli anziani e la povertà, anche qui il nesso è a prima vista evidente, una salute cagionevole, tipica di persone in là con gli anni, richiede cure, in alcuni casi molto costose e l’anziano che ha solo la pensione non ce la fa. La povertà dell’anziano può essere dovuta, in modo drammaticamente semplice, anche al semplice “aumento del costo della vita” oppure all’istituzionalizzazione e quindi alle rette delle case di riposo (o RSA o Case Protette), resta il fatto, comunque, che la salute, nel caso degli anziani è il fattore determinate nei rischi di impoverimento. Vi è un altro aspetto che ha molto peso sulla vulnerabilità anziana: la solitudine. Come abbiamo già scritto, c’è una precisa catena causale: la solitudine comporta depressione, la depressione comporta vulnerabilità psico-fisica, la vulnerabilità psico-fisica aumenta la possibilità di incidenti domestici e quindi di disabilità, la disabilità causa grosse spese di denaro. Riepilogando, gli anziani sono una categoria sociale a forte rischio di impoverimento. Per definizione sono più “vulnerabili” di altri gruppi sociali. In molti casi hanno pensioni basse, possono in poco tempo vedere peggiorare radicalmente le loro condizioni fisiche, sono o possono divenire vedovi o, più frequentemente, vedove, con conseguenti crisi depressive dovute alla solitudine che a loro volta possono innescare malanni fisici e quindi spese e dunque esborsi…

La povertà è un circolo vizioso. Di fronte a un evento avverso si innesca una spirale che sgretola i presupposti con cui quella povertà si potrebbe affrontare.
Chi non possiede neppure i mezzi per lavorare (auto per raggiungere il luogo di lavoro, denaro per usare mezzi pubblici…) perde delle opportunità di guadagno. Il lavoro, oltre al sostentamento permette anche la crescita di contatti sociali che a loro volta sono utili per l’accesso all’informazione. Se si è impossibilitati a coltivare contatti sociali, diviene più difficile raggiungere informazioni che sarebbero potute essere utile per ulteriori lavori o per trovare un alloggio. Si perpetua, così, la condizione di povertà “virale” che si diffonde anche ad altre persone (famigliari), con il rischio che si inneschino dinamiche di cronicizzazione del bisogno.
Se la povertà, come crediamo di avere mostrato, è un circolo vizioso, gli interventi per uscire dalla povertà dovrebbero venire concepiti come azioni in grado di innescare catene causali positive.
Sostenere la famiglia è una modalità di azione che agisce come moltiplicatore. Mettere in condizione le persone di crearsi delle reti sociali significa creare il contesto affinché il soggetto possa da solo risolvere (o attenuare, o accettare) i suoi problemi (pro-attività). Interventi puramente assistenzialistici possono avere l’effetto di cronicizzate lo stato di bisogno.
La sfida, dunque, consistente nel contrapporre al circolo vizioso della povertà interventi mirati in grado di innescare circoli virtuosi di recupero dell’autonomia, un’autonomia in alcuni, forse molti, casi relativa, ma pur sempre uno stato in cui il soggetto, nei casi più gravi, si senta di poter ricevere con dignità. Sicuramente queste azioni sono un antidoto per quella “zona grigia”, come è stata definita da un intervistato, che è il disagio psico-sociale che attanaglia chi cade nelle nuove povertà e che li grava di una zavorra paralizzante all’azione. Ripristinare la dignità è il primo passo e, insieme, l’esito, di qualsiasi politica contro la povertà, nella consapevolezza, inoltre, che la ricerca ha messo in luce come in molti casi sia davvero difficile distinguere tra “nuove” e “vecchie” povertà. Le nuove povertà invecchiano molto in fretta…

Importante innovazione è la possibilità di costituire ciascuno dei cinque Forum cittadini su base di Quartiere: infatti a livello di Statuto Comunale sono stati inseriti i Forum dei Giovani, delle Famiglie, degli Enti Educativi, del Volontariato e dell’Immigrazione. Questi, che possono ricevere fondi sia dal Comune, sia dal Quartiere sia da privati. Sono una struttura innovativa rimasta sullo solo scritta nella modifica dello Statuto comunale, ma che se partono servono a mettere in comunicazione il complesso, variegato e vitale sistema di associazioni e corpi intermedi che vive in ciascun Quartiere di Rimini. I quartieri diverrebbero luogo di progetti e svolgerebbero una funzione civica utile che vada oltre la protesta o il parere.

Il Mese delle Famiglie può diventare l’inizio di un percorso in cui tutta la comunità si ritrova, anno dopo anno, su tutte le iniziative riguardanti la genitorialità, rendendolo parte integrante delle politiche, dei servizi e del “sentire civico” di Rimini e dei Riminesi. Il Mese indicato dal Comune di Rimini per far partire questa esperienza è Marzo 2007.


Alcune proposte sulla famiglia del Centro Cardijn, Gioc e CML
presentate all’assemblea pubblica “Famiglia e nuove povertà”.

Le politiche sociali, che si stanno trasferendo da statali a regionali e comunali, trasformando il welfare state in welfare di comunità, devono chiamare il singolo e la comunità locale a mobilitare tutte le risorse, pubbliche e private, per una reale integrazione delle politiche di sviluppo con quelle socio sanitarie. Il welfare di comunità riconosce la centralità del territorio come luogo di sviluppo insieme economico e sociale, attua un modello di politica sociale che garantisce la soggettività ed i protagonismo dei corpi sociali intermedi, con la promozione della sussidiarietà.
Pertanto occorre andare verso una reale attuazione del principio di sussidiarietà, in cui enti locali e Stato riconoscono a cittadini e associazioni un ruolo da protagonisti nella programmazione e gestione dei servizi che si integrano in un organico disegno di stato sociale.
Il fondamento etico dello stato sociale e l’obiettivo finale è il valore della persona umana, con la sua dignità, i suoi bisogni ed i suoi diritti. Non una persona presa singolarmente, ma una persona nella dimensione più ampia, di cui è parte integrante: la dimensione familiare.
Quindi le politiche sociali devono avere una doppia centralità: quella della persona e quella della famiglia in cui vivono donne, uomini, bambini, anziani, soggetti svantaggiati, ciascuno con la propria identità, i propri bisogni ed i propri diritti.
Benedetto XVI chiede che la famiglia faccia notizia perché essa rimane il bene relazionale, il nodo centrale della vita e il modello di riferimento che più di ogni altro garantisce e distribuisce aiuto e solidarietà: dal supporto alle categorie fragili come i giovani, gli anziani, le donne, gli immigrati, i disabili, ecc…
“Siate felici di appartenere alla Chiesa e di immettere nel grande circuito della comunicazione la sua voce e le sue ragioni. Non stancatevi di costruire dei ponti di comprensione e comunicazione non evasiva ma amica, al servizio dell’uomo di oggi”. Costruire ponti significa rompere quelle solitudini nelle quali spesso si trovano soprattutto le famiglie, abbandonate a se stesse di fronte al potere dei media. Costruire ponti significa, guardando ai cinque ambiti della testimonianza indicati dalla riflessione nel Convegno di Verona, ricomporre a unità i frammenti della vita personale e sociale e prendere consapevolezza che esse sono il filo rosso che unisce vita affettiva, festa e lavoro, fragilità umana, trasmissione della fede e cittadinanza.

L’Istat parla chiaro: “I mutamenti sociali e demografici degli ultimi due decenni hanno cambiato profondamente le famiglie. Le fasi del ciclo di vita si dilatano e si trasformano, determinando di conseguenza cambiamenti nelle strutture, nelle relazioni e nelle reti delle famiglie. Il modello coniugale di coppia con figli perde terreno, mentre crescono di importanza nuove forme familiari: single e genitori soli non vedovi, coppie di fatto celibi e nubili, coppie in cui almeno uno dei partner proviene da una esperienza coniugale. Si tratta di oltre cinque milioni di famiglie (circa il 23% del totale) con un incremento di 5 punti percentuali rispetto a 10 anni prima.
Riteniamo invece che la famiglia, fondamento delle comunità e della società, sia quella che “nasce dall’intima comunione di vita e di amore fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna”.
La famiglia è per la nostra Repubblica un valore portante in quanto tale, non soltanto se è in difficoltà. Compito di chi difende la dignità della persona è chiedere non politiche assistenziali per pochi casi o beneficenza dai privati ricchi, ma che tutta la società e tutte le politiche considerino al massimo grado il capitale familiare senza cui non c’è futuro. Le politiche per la famiglia non possono essere confuse con le altre e richiedono un ben più efficace sistema di relazioni tra chi governa, i soggetti pubblici, il Terzo settore e il volontariato. Si ispirano al principio dell'universalismo selettivo, in cui la scelta non è mai sulle persone ma è sempre sulle prestazioni, facendo leva sull'appropriatezza e il coinvolgimento.
Questa è la sussidiarietà che riconosce i corpi intermedi, e chiede universalmente e secondo giustizia sociale, le condizioni perché questi possano essere sempre più responsabili del bene comune, e non subordinati allo Stato o al mercato come se non ci fossero.

Alcune proposte

1. I minorenni non hanno alcuna rappresentanza. Riconoscere il diritto di voto fin dalla nascita, delegandolo ai genitori fino alla maggiore età, negli organi di partecipazione e deliberazione democratica degli Enti locali, permette di avvicinare istituzioni e cittadini reciprocamente creando reti di rappresentanza all'interno della società stessa, oltre che aiutare a riconoscere il bisogno dei minorenni, soprattutto nei primi e più cruciali anni di vita. Anche secondo una cittadinanza economica bisogna intervenire tenendo conto dell'introduzione del calcolo del quoziente famigliare sin dal terzo mese di gravidanza.

2. Introdurre Baby Bond, ovvero conti vincolati sin dal terzo mese della gravidanza, di concerto anche con il sistema delle Fondazioni e delle Banche locali. Si tratta di un fondo intestato ad ogni nato, alimentato da risorse private e pubbliche (ed integrato da eventuali versamenti dei parenti e di conoscenti e secondo necessità da altri soggetti sociali). I genitori possono ogni anno prelevare dal fondo una quota destinata alle spese per la crescita del figlio, e il resto matura con gli anni e rende disponibile un capitale per attività di formazione, di avvio di attività economiche, di investimento strumentale. Ciò che viene utilizzato verrà poi restituito nell'arco successivo della vita lavorativa per aiutare altre famiglie.

3. Visti il prezzo degli affitti che ricopre quanto uno stipendio, si deve promuovere il contratto concordato, che prevede sia per l'affittuario, sia per il proprietario una serie di sgravi fiscali a fronte di un tariffario più basso del 20% rispetto ai prezzi del mercato immobiliare.

4. Favorire la creazione tra le stesse famiglie e con il volontariato la nascita di organismi no-profit per risponderne ai bisogni, oltre altre forme di sostegno da affidare a Forum di prossimità e quartieri, fra cui la Banca del Tempo, ed altre forme locali nuove che possano essere proposte, come Gruppi d'Acquisto solidali, cooperative di Consumo.

5. Introdurre incentivi per le aziende che adottino strumenti innovativi di flessibilità oraria del lavoro a favore delle famiglie. Inoltre sostenere e contribuire alla creazione di nidi aziendali o zonali, e in particolare la possibilità di fare formazione per poter accudire ed educare presso casa uno o più bambini.

6. Favorire le categorie e le associazioni che promuovono accordi territoriali sui prezzi al consumo, ed assieme, concordare con le istituzioni locali e la Guardia di Finanza interventi congiunti per avere un controllo più forte dei prezzi.

7. Necessita consulenza legale gratuita sul diritto di famiglia pressoché sconosciuto, sugli aspetti economici-fiscali che la riguardano, e che si informi anche dei diritti come consumatori, in collaborazione con i sindacati e associazioni; favorire la mediazione familiare, costituendo un servizio di emergenza famiglia per quelle a rischio di esplosione.

8. Realizzare una politica fiscale locale che individui come soggetto fiscale la famiglia nella sua composizione e interezza piuttosto che il singolo individuo.

9. Costituire un gruppo di studio e di lavoro assieme a Ufficio Famiglia e Pastorale Sociale per le politiche familiari con 2 obiettivi:
o verificare se e come gli interventi legislativi degli enti locali hanno al centro la famiglia;
o arrivare a un “tavolo comune” in cui fare le nostre proposte.

10. Concordare con le istituzioni locali agevolazioni per le coppie in prossimità del matrimonio per la costruzione della casa o per gli affitti.

Spunti per le conclusioni dell’incontro pubblico
L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore. Chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo. Ci sarà sempre sofferenza che necessita di consolazione e di aiuto. Sempre ci sarà solitudine. Sempre ci saranno anche situazioni di necessità materiale nelle quali è indispensabile un aiuto nella linea di un concreto amore per il prossimo. Lo Stato che vuole provvedere a tutto, che assorbe tutto in sé, diventa in definitiva un’istanza burocratica che non può assicurare l’essenziale di cui l’uomo sofferente – ogni uomo – ha bisogno: l’amorevole dedizione personale. Non uno Stato che regoli e domini tutto e ciò che ci occorre, ma invece uno Stato che generosamente riconosca e sostenga, nella linea del principio di sussidiarietà, le iniziative che sorgono dalle diverse forze sociali e uniscono spontaneità e vicinanza agli uomini bisognosi di aiuto. La Chiesa è una di queste forze vive: in essa pulsa la dinamica dell’amore suscitato dallo Spirito di Cristo. Questo amore non offre agli uomini solamente un aiuto materiale, ma anche ristoro e cura dell’anima, un aiuto spesso più necessario del sostegno materiale. L’affermazione secondo la quale le strutture giuste renderebbero superflue le opere di carità di fatto nasconde una concezione materialistica dell’uomo: il pregiudizio secondo cui l’uomo vivrebbe “di solo pane”, convinzione che umilia l’uomo e disconosce proprio ciò che è più specificatamente umano.
(dall’Enciclica “Deus Caritas Est”, n. 28 lett. b)

Come ci ricordava 25 anni fa Giovanni Paolo II nell’esortazione apostolica Familiaris consortio: “L’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia” (n.86). Oggi più che mai, gli scenari demografici che ci contraddistinguono e che vanno configurandosi per il futuro del nostro Paese danno a tale affermazione un valore profetico. Sviluppare con tutti gli uomini di buona volontà una rete di opere che sia un opera in rete capace di difendere e sostenere la famiglia significa dunque credere nel futuro (sperare, credere nel desiderio di bene). Significa lavorare affinché il nostro e l’altrui avvenire possa risultare migliore.