Fondazione Di Vittorio
Intervento al convegno: "Legal Ethics: l’etica delle professioni legali, l’esempio di Giorgio Ambrosoli. – Roma Tre, Facoltà di Giurisprudenza - Roma, 11 maggio 2011".
Ricordiamo l'importante studio di Giuseppe Amari, "In difesa dello Stato, al servizio del Paese", Ediesse, Roma 2010.
Ricordiamo l'importante studio di Giuseppe Amari, "In difesa dello Stato, al servizio del Paese", Ediesse, Roma 2010.
Parlare di Giorgio Ambrosoli, significa parlare di una delle figure più nobili e limpide del Novecento, non solo italiano, per l’alto contributo intellettuale e morale dato in vicende di dimensione internazionale.
Nato a Milano, il 17 ottobre del 1933, avvocato, esperto in liquidazioni bancarie, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, la banca di Sindona, fu assassinato, sempre a Milano, nella notte dell’11 luglio del 1979, ad appena 46 anni.
L’assassinio fu compiuto da un mafioso ingaggiato dal banchiere siciliano, partito da New York e quindi con la consapevolezza e l’assenso della mafia. L’omicida, reo confesso e condannato all’ergastolo, fu poi ucciso nel corso di un tentativo di evasione. Un morte classica per testimoni scomodi.
L’assassinio, fu preceduto da un crescendo di avvertimenti e minacce sempre più esplicite, nell’isolamento e nell’omertà diffusa. Ambrosoli non godeva di alcuna protezione, gliela forniva il maresciallo, collaboratore e amico, Silvio Novembre, sul piano volontario. E, quando fu ucciso, Novembre non era a Milano.
Giorgio Ambrosoli, indagò sulle attività del banchiere siciliano, comprovandone le malefatte finanziare e gli intrecci con la mafia siciliana e americana, la finanza vaticana, la massoneria, servizi segreti e quelli perversi con la politica. Tra l’ostilità, l’incomprensione e l’indifferenza generale del mondo politico e delle istituzioni, sino al massimo livello. Salvo pochissime eccezioni alcune delle quali saranno ricordate più avanti.
Soprattutto respinse, con estrema fermezza, insieme alla Banca d’Italia, inconsistenti progetti di salvataggio di Sindona e dei suoi sodali a spese della collettività. Nonostante le fortissime pressioni di “mezza Italia”, come denunciò l’allora ministro del Tesoro, Ugo La Malfa; comprese quelle del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti e del Banco di Roma inquinato, come si seppe dopo, dalla Loggia P2.
Questo rifiuto di un salvataggio a danno della collettività, indagando a fondo nel labirinto sindoniano per recuperare all’attivo della liquidazione risorse altrimenti sommerse e nel rifiutare indebiti inserimenti nel passivo per crediti di cui non si aveva titolo come quelli avanzati dall’Istituto per le Opere della Religione (IOR), la banca vaticana, rappresenta il grande merito professionale di Giorgio Ambrosoli, ed anche la sua condanna. Ma dimostrò che si può fare, nonostante tutto. Per questo abbiamo tutti un grande debito nei suoi confronti, e chiunque voglia seguire la sua professione ha un altissimo esempio a cui ispirarsi.
Al suo funerale, partecipò solo un esponente delle istituzioni, l’allora Governatore della Banca d’Italia, Paolo Baffi, anche lui soggetto all’attacco dei medesimi ambienti che avevano isolato e poi eliminato Ambrosoli. Ma non la sua lezione che anzi cresce nel tempo.
La Sua vicenda, si intreccia con quella umana e professionale di altre eccezionali figure che hanno operato in difesa dello Stato e al servizio del Paese. Mi riferisco al suo più stretto collaboratore il maresciallo Silvio Novembre, a Paolo Baffi e al responsabile della Vigilanza Mario Sarcinelli con i quali la Banca d’Italia raggiunse, occorre dirlo, un vertice di autorevolezza e indipendenza rimasto un “unicum” nella storia della Banca d’Italia. E poi a Tina Anselmi, l’intrepida Presidentessa della Commissione parlamentare sulla Loggia P2 di Licio Gelli.
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