lunedì 1 agosto 2011

Referendum: il fattore CIC
(Corrida, Internet, Chiesa)

di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese
Direttori di "Prospettiva persona"
da La Tenda n.6 - Giugno 2011


Il fattore CIC non è “Compagnia Italiana Costruttori”, ma la combinazione di tre aspetti che mi pare abbiamo deciso il risultato del referendum.
Innanzitutto si è visto in atto il metodo Corrida (C): agitare il drappo rosso davanti al toro per eccitarlo, ossia paventare alla gente un grande pericolo di democrazia e di sopravvivenza per ottenere l’effetto di individuare il nemico sicuro, con un volto e un nome, eliminato il quale, tramite referendum o in qualunque altro modo, ci si salverà. E ciò sorvolando sul contenuto in discussione. La politica populista si nutre di qualunquismi e contrapposizioni ideologiche che liberano dalla fatica di pensare e soppesare ciò che è meglio e orientano verso una opinione pubblica di massa. Il risultato è che non ci si confronta; si afferma o nega, si difende o si attacca.
Vi è stato poi il trionfo di Internet (I). Se gli studiosi hanno rilevato la centralità della radio per la vittoria del nazismo, oggi quello strumento appare desueto: il quarto potere manipolatore è ormai di internet e passa via cavo, surclassato dal rapporto interpersonale virtuale, dal passaparola, con cui puoi esprimere le tue forti convinzioni mettendoci la faccia. Lo si è constatato nel Nord Africa e il referendum l’ha confermato. L’altro del messaggio e mail non è la voce asettica e lontana della radio, ma l’amico di cui ti fidi, che ti consiglia di votare in un modo piuttosto che in un altro perché lui o lei lo fa con convinzione. Effetto trascinamento. Nei computer di casa sono arrivate decine e decine di messaggi in cui l’amico si confessa convintissimo e si raccomanda di votare come lui vota per il bene dell’Italia, naturalmente…
Il terso fattore è la Chiesa (C). Usarla a proprio piacimento è abitudine consolidata di chi raccoglie ciò che è comodo e scarta o sottace ciò che disturba nelle parole del Magistero. D’altro canto parlare sotto elezioni, dando indirette e chiaramente allusive indicazioni di voto, è pure un modo di entrare a gamba tesa nel dibattito. Si è tanto criticato il collateralismo, ritenendolo responsabile dei guasti di certa politica, ma è davvero meglio che parlino i vescovi piuttosto che – come un tempo – i laici direttamente implicati nella cosa pubblica? Dove sta la proclamata assunzione di responsabilità di laici che in prima persona dovrebbero mediare tra l’ispirazione della fede e il realismo della mediazione politica? Vescovi e cardinali eminenti, sulla base della divisone bipolare degli schieramenti in cui confluiscono i cattolici di destra o di sinistra, hanno finito col preferire di strizzare l’occhio direttamente agli elettori e la tanto proclamata titolarità dei laici raccomandata insistentemente dal Magistero è stata surclassata. Tant’é.
A tutti noi restano i problemi dell’Italia. Passato il fattore CIC, si potrà finalmente discutere seriamente e pacatamente, calcolando e ponderando investimenti e guadagni, per vedere se convenga di più al Paese una cosa o l’altra? Lo speriamo giacché… non è mai troppo tardi.

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