mercoledì 7 dicembre 2011

Abbiamo secolarizzato anche il denaro?

di Andrea Fiamma, laureato in Filosofia presso l'Università degli Studi "Gabriele d'Annunzio" di Chieti discutendo la tesi Commento al De visione Dei di Nicola Cusano, studioso della filosofia neoplatonica a cavallo tra il Medioevo e l'età moderna.

Gli accadimenti di questi giorni in merito alla crisi mondiale stanno spingendo all'acuirsi di odi, di lotte di fazioni, di risatine francesi e, purtroppo, di auto e case bruciate; la crisi economica, insomma, fa problema anche oltre i meri flussi di denaro, i grafici e le statistiche dei tecnici. Negli ultimi tempi, nonostante la mia formazione, mi sono cimentato con varie letture di ambito economico, seppur, per forza di cose, ancora superficiali e "divulgative". Ebbene, l'idea che ho coltivato e che vorrei proporvi risulterà forse un po' banale ad un occhio avvezzo alle discussioni di economia: alle spalle di tutto questo dramma che stiamo vivendo, probabilmente, vi è una crisi ben più profonda di un abbassamento degli indici di Wall Street. Questa ipotesi, d'altronde, circolava già da un po' e, per dirla in termini filosofici, potrebbe consistere in una riproposizione del concetto di occidente heideggeriano, pensato come "terra dell'occado", che porta inevitabilmente alla negazione di ogni valore (Nihilismus). Oppure in questa crisi non c'è nulla di tutto questo e si tratta, ancora, dell'avidità umana di denaro - e del suo corrispettivo morale nella volontà appropriativa (Eigenschaft) di cui altre volte abbiamo trattato nelle pagine de La Cittadella? Credo ci sia qualcosa di più. Qualcosa è cambiato.

L'ipotesi che vorrei sottoporvi si potrebbe esprimere con questa domanda (retorica): che la crisi di valori dell'occidente post-metafisico abbia secolarizzato anche il denaro? Il denaro perde di valore e dunque di potere - si svaluta, si dice in economia - se a sorreggerlo non vi è un sistema sano di "fiducia". Lo scrivono tutti gli economisti: Tu devi difatti avere fiducia che chi ti paga con una banconota possegga il valore corrispondente da pagare al portatore. Troviamo le radici di questo concetto nella nascita stessa del sistema economico in sostituzione al più immediato baratto: invece che scambiare i pomodori che ti di offro con un sacco di patate, mi "paghi" con un pezzo di carta su cui scrivo "100" (cento = un sacco di patate) e io ho fiducia che tra una settimana, un mese, un anno quando ritornerò con quel pezzo di carta, tu:
i) lo riconosca come valido e dunque come "pagabile a vista del portatore";
ii) abbia ancora il sacco di patate che ti eri impegnato a pagarmi come trovo scritto sulla banconota da "cento".

La crisi attuale è causata dal fatto che al momento in cui il creditore è tornato al contadino per riscuotere i pagamenti promessi qualche tempo prima, ha scoperto che quel secco di patate già pagato non c'era più: era stato a sua volta "re-investito". Ebbene, non posso che far notare come tradire queste due aspettative significhi venir meno all'onestà (punto 1) e all'onore (punto 2) cosicché la fiducia del creditore nei tuoi confronti si è dimostrata ingenua, infondata. Ma cosa ha portato a tradire la fiducia e ad investire ulteriormente quel sacco di patate per altre transazioni quando esso era già erano stato venduto e compromesso, come è accaduto con le operazioni di "finanza speculativa"? L'avidità di denaro, certamente, è un buon movente. Eppure non è stata forse la fiducia tradita ad innescare tutto il meccanismo? Non è forse questo il segno più radicale della crisi di valori di un mondo che "non crede più a niente", come scriveva bene Charles Péguy (Il mondo di chi non crede più a nulla, nemmeno all’ateismo, / di chi non si prodiga per nulla e non si sacrifica per nulla) e che dunque non crede neanche che la fiducia riposta vada onorata?

"In God we trust" - c'è scritto sul dollaro. Gli americani più accorti sapevano benissimo che in assenza di un sistema etico garante del fatto che la fiducia vada a buon fine, il denaro aveva perso di valore. Quel sistema, in coerenza con la tradizione puritano-calvinista dei padri fondatori, era rappresentato dal "God" in cui "we trust" - si legga qui anche il senso di un mondo che al contempo si dimostra senza freni in economia, ovvero che rifiuta qualsiasi intervento esterno volto a limitare l'assoluta parresia del numero, e, dal punto di vista etico, rigidamente arroccato sulla tradizione cristiano-calvinista (si aprirebbe poi il tema del New Age e della religiosità negli U.S.A., che non possiamo trattare ora). La domanda fondamentale è allora se la responsabilità della crisi economica risieda davvero negli speculatori finanziari o se forse, in realtà, essi non siano altro che strumenti di una visione del mondo che li precede; la radice ultima è allora da rintracciare in quelle concezioni filosofiche che hanno contribuito a creare un mondo in cui i termini valore, onestà, fiducia, sincerità e quant'altro non valgano più perché venuto meno il loro fondamento unitario (God); un mondo in cui, al contrario, è tornata a dettar legge prepotente la forza del più bruto, la virtù del disvalore, che prende piede in assenza di una struttura di valori; un mondo che ha dismesso Dio per ripiegarsi solo su se stesso, e che, come ultimo baluardo, non ha fatto altro che secolarizzare anche il denaro.

Dal blog "La Cittadella"
Vedi anche la risposta del prof. Carlo Lottieri sul suo blog "Credere nello Stato?"

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