giovedì 29 dicembre 2011

Generazione uno e cinquanta

di Brahim Maarad
redattore presso Il Nuovo Quotidiano

L'integrazione tra i banchi di scuola

Io sono 1,50. Non è l'altezza. Anche se in effetti sono sopra solo di qualche centimetro. Uno e cinquanta è la generazione alla quale appartengo. Lo dice l'ultimo rapporto sui dati dell'immigrazione presentato dalla Provincia. Non sono di seconda generazione perché non sono nato qua. E non sono di prima generazione perché ero ancora piccolo quando sono venuto qua. Sono insomma una via di mezzo. Uno e cinquanta, appunto. Al di là dei numeri, delle percentuali e delle classifiche, ricordo ancora molto bene il mio primo giorno di scuola in Italia. Avevo dieci anni ed ero arrivato dal Marocco da un paio di settimane. In pratica se uscivo da casa da solo, correvo il serio rischio di perdermi. Ho iniziato in quarta elementare. Per la seconda volta: l'avevo già fatta in Marocco ed ero stato promosso a pieni voti. Ma lì si scriveva da destra a sinistra. Ricordo ancora il discorso di presentazione che ha fatto la maestra Elisabetta. Ricordo solo i gesti e la parola “piano”. Credevo parlasse del pianoforte. Solo dopo qualche settimana ho capito che intendeva dire che piano piano avrei imparato a parlare l'italiano e a comunicare con i miei compagni. In effetti il discorso non era rivolto a me. Era per i miei compagni. E' stato chiesto loro di aiutarmi in questo difficile percorso. E qualcuno lo ha fatto. A dire il vero lo hanno fatto quasi tutti. Ricordo ancora il mio primo vicino di banco: Nicholas. Nei primi giorni ci capivamo, o comunque arrivavamo al punto, solo coi gesti. Ora basta uno sguardo per capirci: abbiamo fatto elementari, medie e superiori insieme. Siamo amici. Così come sono amico di tanti altri miei compagni di classe dopo tredici anni tra i banchi. Ho imparato da loro tanto, a cominciare dalle prime parole di italiano. E credo abbiano imparato da me anche loro tanto: i musulmani non mangiano il maiale, digiunano per un intero mese e in Marocco non c'è solo il deserto. Credo che sia questa la vera integrazione. Quella spontanea, che avviene tra i banchi. Non sono indispensabili statistiche e progetti. Basterebbe fare capire ai piccoli che i diversi non sono poi così diversi. Che possono essere anche cari amici. Questo dovrebbero farlo i grandi. E forse è questo il problema. Io resto 1,50.

Articolo pubblicato su NQnews.it

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