sabato 17 dicembre 2011

Appunti circa il nesso tematico tra ragione, scienza e civiltà

di Alessandro Ghisalberti
Ordinario di Filosofia teoretica e Direttore della “Rivista di Filosofia Neoscolastica” dell'Università Cattolica di Milano

Relazione tenuta in ambito del Progetto culturale nel 2007

A. Per "allargare la ragione": all’origine dell’interrogazione sulla razionalità
Se nell’ambito delle tecno-scienze, dove la subordinazione della questione della verità alla riuscita dell’esperimento annulla ogni possibilità di domanda sul senso della prassi scientifica stessa, la ragione non viene mai messa in crisi, nel dibattito filosofico contemporaneo si assiste invece alla discussione su che cosa si intende quando si parla di ragione e di razionalità. Pare ormai superata l’idea di una ragione semplicemente deduttiva: essa risulta incapace di rendere conto della situazione dell’uomo concreto, segnato dallo spazio e dal tempo. D’altra parte il pensiero contemporaneo è consapevole della irrinunciabilità del momento riflessivo, in cui si pone la questione del senso della vita. Questa situazione (da una parte l’impossibilità di riproporre una struttura semplicemente logico-deduttiva della ragione e dall’altra l’inevitabilità della posizione della questione sul senso) invita a rimettere a tema l’indole critica che è propria della ragione. Come mai l’uomo si pone la domanda sul senso? Da dove ha origine tale domanda? Quale radice ha la cura logico-deduttiva per cui l’uomo, dopo aver riconosciuto una verità, la sistematizza cercando di mostrarne le ragioni? Mi pare che anche questi interrogativi consentano di assumere l’istanza di “allargare la ragione”, nella misura in cui vanno oltre la domanda di senso, e si interrogano sul perché l’uomo si pone la domanda sul senso, creano cioè l’urgenza di andare all’origine dell’interrogazione della ragione.
La riflessione contemporanea vede tale origine nel nesso originario tra conoscenza e volontà, il che significa che l’imprescindibile domanda critica implica sempre una questione etica, vale a dire una attestazione della verità come ciò che non è prodotto dall’uomo, ma riconosciuto come dato. La verità è perciò anticipata e tale anticipazione si realizza come appello alla responsabilità e il momento critico deduttivo è la progressiva appropriazione della verità manifestata.

B. Evidenza e verità
Volendo attivare un sintetico approfondimento del nesso tra ragione e verità, la prima caratteristica della verità in quanto viene all’evidenza è la sua precedenza. Sin dall’inizio della filosofia la verità si presenta come una rivelazione; ciò significa che la verità è ciò che si trova, non è un prodotto dell’uomo, è un compito. In questo senso si capisce la comprensione di sé del filosofo antico, che pensava alla propria vita come ad una missione. Tale caratteristica della verità esprime anche un tratto significativo dell’evidenza, vale a dire della modalità attraverso la quale la verità stessa si presenta: l’essere già là disponibile alla ricerca. La metafisica classica ha interpretato questo essere già là della verità in chiave ontologica: la verità è precedente perché è una caratteristica dell’essere, del fondamento di tutte le cose: alla verità si accede nell’atto stesso in cui si giunge alla causa degli enti in quanto enti.
La precedenza della verità a sua volta si declina come immutabilità. La verità si mostra sempre come uguale a se stessa. Certo, negli itinerari di ricerca si danno verità parziali; anche queste però, sono verità che, una volta determinate, permangono. In questo senso è evidente ciò che rimane uguale a se stesso e non è soggetto alle mutazioni del tempo. La riflessione antica e medievale ha cercato di chiarire questo stato di cose elaborando le teorie della partecipazione e della analogia: una verità parziale rimanda alla verità in quanto questa si partecipa. La verità si lascia “vedere” nelle diverse verità che troviamo nell’itinerario di ricerca ed è l’orizzonte nel quale la nostra ricerca sempre permane, in quanto la verità è sempre altra rispetto alle proprie determinazioni.

C. Una riflessione finale
Circa il rapporto tra la riflessione critica e la scienza, è ben noto come in questi ultimi anni abbiamo assistito ad una mutazione della prassi scientifica: la scienza è diventata tecno-scienza. L’idea dominante nella scienza contemporanea è quella per la quale ciò che si riesce a fare in modo efficace attraverso le tecniche per ciò stesso deve essere realizzato. L’unico criterio di verità risulta la praticabilità. Precisamente in questo clima culturale occorre far emergere un importante punto di vista, ossia che la praticabilità di ciò che si scopre non è scontata, e che occorre un confronto critico in cui si arrivi a riconoscere ciò che autorizza e rende praticabile una scoperta, vale a dire la bontà di ciò che si scopre per l’uomo. In altri termini, occorre che la tecno-scienza si confronti con la riflessione sulla struttura ontologica dell’uomo, in un percorso dialogico aperto tra filosofia e scienza, in cui la comune radice costituita dalla razionalità non consenta mai di perdere di vista il senso della ricerca e la centralità in essa della domanda di senso.
Se assumiamo questo problema in ordine al futuro delle civiltà, si può facilmente osservare come da molte parti si affermi che il dialogo tra le diverse civiltà dovrebbe essere promosso dalla riscoperta della razionalità che accomuna tutti gli esseri umani. Tale prospettiva è certamente condivisibile da un punto di vista generale; tuttavia occorre comprendere a quale modello di razionalità ci si riferisca.

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