domenica 23 ottobre 2011

Scout: al passo con i tempi

di Romano Nicolini

Dal 27 luglio al 7 agosto 2011 si è svolto a Rinkaby, in Svezia, il 22° Jamboree mondiale dello scoutismo. La parola jamboree viene dall'inglese: jam, marmellata. Quando il fondatore Baden Powell (detto BP) lo indisse per la prima volta nel 1920, gli diede questo appellativo poiché, affermò, «deve essere come una marmellata di ragazzi che si ritrovano in allegria».
La sua fu un'intuizione profetica poiché in quel momento stava montando la marea mefitica del razzismo: chiedere di fraternizzare a ragazzi di tutte le razze, nel periodo storico in cui l'impero britannico trionfava su ogni fronte, era davvero una scelta coraggiosa. Aiutato dalla fede (era figlio di un pastore anglicano), Baden Powell ebbe un coraggio veramente unico. Da quella volta i Jamborees si sono susseguiti con ritmo costante ogni quattro anni: in ogni adunata (l'ho visto di persona) sono caduti steccati e barriere: fra bianchi e neri sudafricani, tra musulmani ed ebrei, tra indiani e pakistani... Un vero trionfo!
Lo scoutismo cattolico. A motivo della sua origine protestante e per il timore di una visione panteista della realtà, dapprima lo scoutismo fu visto con diffidenza nel mondo cattolico. Stranamente, i più fieri sostenitori della sua scelta metodologica portata avanti da educatori non-chierici furono proprio i sacerdoti che sostennero il fondatore, il conte Mario di Carpegna (1856-1924). Il cardinale Bagnasco è stato assistente ecclesiastico scout per la regione Liguria: si inserisce nella lunga lista dei porporati amici come, per esempio, il cardinale Pignedoli, Baggio, ecc. E poi le cose si sono chiarite: l'immersione nella natura non era vista come una dispersione dei valori, ma come un aggancio alle radici della fede: Gesù non appare mai distaccato dal vissuto esistenziale del suo popolo.
Oggi la collaborazione fra Chiesa cattolica e Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani) e Fse (Federazione scout d'Europa: riconosciuti dalla Cei nel 1998) è del tutto consolidata e tranquilla. L'unica remora è talora, per noi preti, la metodologia "scautese" che rimane ostica e che non sempre è facilmente comprensibile: Co.Ca. (Comunità Capi), Branca L/C (Lupetti-Coccinelle: 8-11 anni), Branca G/E (Guide- Esploratori: 12-15 anni), Noviziato (16 anni), Branca R/S (Clan: 17-21 anni), Partenza, ecc. Se si aggiunge una sorta d'incomunicabilità dovuta all'uniforme, ai termini stranieri, alla voglia di evadere... non sempre i rapporti fra parrocchia e gruppo scout sono idilliaci.
L'immersione nella natura
non era vista come una dispersione dei valori,
ma come un aggancio alle radici della fede.
Tuttavia... vale la pena investire molte energie nello scoutismo. Questi i motivi:
1. È un metodo attivo che riesce a trattenere i giovani proprio quando la nostra catechesi è più affannata: si pensi al dopo-cresima.
2. È un metodo educativo che si rivolge alla globalità della persona. Uno dei motivi delle crisi familiari è da ricercare anche nell'insofferenza nei confronti del sacrificio. Nello scoutismo i momenti duri abbondano, se non altro quando i ragazzi devono costruire una città-di-tende ogni volta che campeggiano.
3. La catechesi torna ad essere risonanza di qualcosa che si vive: katàechein, fare eco, risuonare. Esempi: una veglia sulla spiaggia dopo aver letto la chiamata degli apostoli; la tempesta sedata mentre si rema davvero su una barca; il cibo cotto e mangiato dopo aver riflettuto sulla cena di Betania; l'invito ad Abramo di contare le stelle mentre si è distesi su un prato nel bosco più buio; la sollecitazione di Gesù a imparare dagli uccelli del cielo mentre si è raccolti in silenzio nel fitto degli alberi; Elia che resiste alla sete nel deserto mentre si cammina in una zona desolata; il brano in cui Gesù dichiara di non avere una pietra dove posare il capo quando si arriva a un certo punto e non si sa dove fermarsi...
4. Il raccordo con la parrocchia (punctum dolens in molti casi) non è impossibile: basta concordare con anticipo le modalità e non pretendere una disponibilità estemporanea. Oggi la vita di tutti, ragazzi e adulti, è programmata quasi al minuto: non è corretto inventare impegni subitanei in nome di una disponibilità offerta e talora meritata.
5. Un cenno sugli adulti. Quasi sempre, dopo la Partenza (21 anni) gli scouts mettono a disposizione le loro capacità sia in campo educativo (oratorio, catechismo, scoutismo) sia in ambito sociale (quartieri, partiti, associazioni). Generalmente chi proviene dallo scoutismo dà di sé una buona prova di affidabilità. In ogni caso, se si dà avvio anche alla metodologia Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), abbastanza spesso i genitori rispondono positivamente e prendono gusto a sperimentare su di sé lo scoutismo fino al punto di chiedere di dare la Promessa scout e farsi carico gioioso del motto ufficiale, che è: "Servire".
Don Romano Nicolini
Conclusione: Dopo 45 anni ininterrotti di servizio come assistente ecclesiastico nello scoutismo, posso dire con soddisfazione di aver trovato un metodo che mi ha aiutato a vivere con entusiasmo il mio sacerdozio e mi ha permesso di vedere molti frutti.



Commento di Carlo Pantaleo
Presidente Associazione Centro Studi Nuove Generazioni
Ringrazio di cuore Don Romano per aver condiviso una sintesi e proposta di un'intera vita da scout.
Il metodo scout, orientato a fare delle cose buone e giuste, educa contemporaneamente se stessi formando la persona a prendere con serietà e consapevolezza la vita e le scelte delle proprie azioni.
Poche righe quelle di Romano ma essenziali perché veramente permettono di andare al cuore dell'esperienza, e se l'esperienza non è comunicabile nel suo essere, tale non sarebbe. Non è il fare esperienza che forma l'uomo, ma l'essenza di esse ricondotte all'unità della coscienza di esse stesse, ovvero a come ci si pone davanti alla realtà: accettandola o negandola. Dalla prima scelta ne discendono due conseguenze: o l'adeguarsi al mondo diventando o servi o padroni, oppure esser protagonisti con gli altri. Nella seconda scelta il risultati sono o l'utopia irraggiungibile o la maledizione di tutto quello che accade. Nelle parole dell'articolo di Don Romano ci siamo dentro tutti ed è un articolo che ci insegna a vedere come un granello può germogliare divenendo un albero robusto ed enorme quale è tutto lo scoutismo, addirittura anche con chi crede di non credere o di altre religioni. Si vede come è cambiata la percezione all'esterno di quell'esperienza anticipando o riconducendo ad elementi essenziali la fede stessa che sgorga da un incontro con una persona e non da una ripetizione di atti esterni. Lungo questa storia dello scoutismo così amabilmente tracciata, si riscontra una proposta formidabile per una formazione permanente che vada oltre la partenza, senza ridurne in nulla il significato profondo, ma al tempo stesso offrendo il sostegno necessario al discernimento e un gruppo necessario a non esser tanti singoli che poi si lasciano vincere dal mondo. Itinerari formativi comunitari dopo la partenza, contiene in sé una proposta generativa di uno scoutismo che prende coscienza di se stesso e impara dai propri limiti, e inoltre rimanda alla quotidianità di un impegno per tutta la vita ma dentro ogni giorno, come lo è l'eucarestia: mai semplice ricordo con nostalgia di momenti intensi, ma esperienza che si rende presente, si rinnova e si comunica ogni volta generando la Chiesa, popolo di Dio in cammino, Corpo di Cristo, ma anche che necessita di essa stessa. Troviamo questa stessa interdipendenza fra l’Eucarestia e la Chiesa nella Didachè o Dottrina dei dodici apostoli verso la fine del I secolo: “Come questo pane spezzato era disperso sui monti e, raccolto, è diventato uno, così la tua Chiesa sia raccolta dalle estremità della terra nel tuo Regno”. Giovanni Paolo II ha riconosciuto nella sua enciclica pienamente che l’Eucarestia edifica la Chiesa. “Possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi". “Da ciò ne consegue che la Chiesa deve costantemente conformarsi all’Eucarestia e al suo senso più essenziale – che è il sacrificio di Cristo – più che l’Eucarestia conformarsi alla Chiesa. Le due cose, chiaramente, non si oppongono, ma stabilire la precedenza di un aspetto sull’altro è, soprattutto in questo caso e nel nostro tempo, di importanza vitale”. "Nondimeno la Liturgia è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù" (Sacrosantum Concilium, 10). Giuseppe Dossetti affermava di "non celebrare, ma vivere", che tradotto significa celebrare Cristo ogni giorno con tutta la vita, vivendo intensamente questa vita che ci viene incontro, affinché il Volto di Cristo sia formato in noi.

Commento di Gabriele Paganelli
Responsabile Area Famiglia e Educazione Associazione Centro Studi Nuove Generazioni
Bravo il nostro don Romano: un articolo chiaro, semplice che fa bene il punto sulle ricchezze che ha offerto alla società prevalentemente razzista di quei tempi e quindi sulle difficoltà incontrate storicamente nell’affermazione dello scoutismo all’interno della Chiesa cattolica, poi prende in considerazione la validità del metodo educativo, e ritorna sulla fatica di convivere in modo fecondo ed accogliente all’interno della parrocchia. Poi si illumina nel finale evidenziando le concrete possibilità di germogliare vita a partire dallo scoutismo. Una nota al riferimento di don Romano al sacrificio: è centrale un’educazione al sacrificio e condivido la difficoltà a proporlo a partire dall’ambito familiare, dove, il padre, che sarebbe intrinsecamente deputato a questo tipo di educazione, non ne è spesso all’altezza, perché fa fatica lui stesso a proporsela per sé. Ma su questo punto mi propongo di tornare fra qualche giorno, quando parlerò di "Cosa tiene accese le stelle" di Mario Calabresi. Tornando al tema principale, in particolare vorrei concentrarmi sui motivi.
Trovo un intelligente elemento catalizzatore, che attira, coinvolgendo profondamente i ragazzi in un percorso educativamente ben strutturato e non improvvisato oltre alla cresima: decisamente un successo che, come osservava opportunamente don Romano, è piuttosto infrequente presso le altre proposte educative e formative. Una preponderante fetta di partecipazione infatti viene a mancare, sono la maggioranza i ragazzi che preferiscono non proseguire perché probabilmente non vedono nella comunità educante un valido aiuto e un efficace riferimento o, più semplicemente, non sono allenati a ricercare bellezza, a quella sete di verità, di felicità, che li motiva a cercare Colui che quella sete riesce a soddisfare. Non che l’insistenza da parte dello scoutismo su questo punto sia evidente e precipua, però trovo che la forza di questo movimento risieda nella spinta verso l’operosità, la scoperta, l’esplorazione (è questo il significato del termine scout), la conoscenza attraverso l’azione, attraverso l’esperienza attiva, e quindi quello scout è un metodo attivo che tende a sviluppare la fiducia e l’autostima del ragazzo incoraggiandone la scoperta delle proprie risorse e dei propri limiti, stimolandone quindi l’intraprendenza. E’ un’educazione al viaggio (in senso letterale e metaforico), alla trasformazione della coscienza, infatti una delle parole chiave per definire questo percorso è strada. In modo particolare poi è da sottolineare l’attenta programmazione (mai rigidamente definita, ma pur sempre flessibile a seconda dei ragazzi che partecipano!) che viene pensata da adulti educatori che hanno a cuore la crescita non solo spirituale, ma anche fisica/sportiva, socio-relazionale (che significa anche una particolare attenzione al tuo compagno di sestiglia, di squadriglia, di clan…), pratica (nel senso di una sorta di educazione al lavoro manuale e questa comprende anche un’attenzione ai materiali a disposizione, alle risorse ambientali; inoltre c’è il messaggio fondamentale che se vuoi ottenere qualcosa devi lavorare, fare fatica, usare il tuo ingegno e i tuoi talenti), un’educazione alla responsabilità verso i più piccoli (attraverso il sistema adottato in reparto in cui bambini più grandi vengono educati ad avere uno sguardo più attento verso i più piccoli), un’educazione alla gratitudine e alla sensibilità più spiccata verso i doni che Dio ci elargisce attraverso lo stupore della natura (non soltanto limitata ai giorni del campeggio o della route), una valorizzazione dei rapporti umani anche con persone estranee, anzi, di più, direi una vera e propria simpatia verso il prossimo (sto pensando a quei momenti che la vita immersi nella natura, quasi all’avventura, possa portare più facilmente a relazionarsi con persone presenti nel luogo in cui ti trovi, anche fosse soltanto per chiedere un’indicazione), un’educazione alla fatica e alla condivisione della fatica durante le camminate, un educazione al servizio, che si concretizza nell’offrire tempo, energia, sudore, passione per qualcuno, bambino, anziano, sofferente o gaudente che sia…
Una nota particolare la vorrei spendere sul punto fede, sulla spiritualità. Trovo davvero interessante il tipo di catechesi che viene proposta, che trovo di immediata accoglienza, ricca di riferimenti presenti, vivi, attuali e facilmente incarnabili. Il grande pericolo di oggi per la fede è che essa rimanga un’esperienza di tipo sentimentale, passeggera, emozionale, un’adesione di cuore: mi piace credere, mi sento di credere, oggi mi va, ma sì facciamo che esista, almeno per ora… e via di questo andazzo. Ora Uno che ha dato la vita al posto mio, Uno che ha perso la testa e il sangue per me, per me così fragile e peccatore, non è che oggi c’è e mi abbraccia e domani chissà… Non ci abbandona ed è fedele nel suo amore misericordioso. Tutti i movimenti nel comunicare la fede ai giovani hanno particolare attenzione su questo punto e però esistono movimenti – gli scout non sono fra questi – che esasperano l’emozionalità come approccio privilegiato alla fede. Il fatto che oggi il principio di piacere domini sul principio di realtà non è una buona scusa per non credere che ognuno di noi è vivo con un cuore certo, ma anche con una testa certa. E quindi entra in gioco la questione della ragionevolezza nell’esperienza di fede, ragionevolezza che costituisce un aspetto determinante. Se non ritenevano ragionevole credere i primi cristiani perché mai avrebbero scelto di farsi ammazzare? Per un Dio imprevedibile e distante? La ragionevolezza consisteva nel fatto che vedevano compiersi in Gesù l’attesa che li animava nelle loro faccende quotidiane. Cosa attendevano? Cosa cercavano, desideravano? Desideravano dei rapporti incentrati sulla lealtà, desideravano vivere nella verità invece che nella falsità, desideravano l’esperienza del perdono invece che della vendetta, desideravano un gesto di amore e gratuità invece che indifferenza, egoismo, desideravano cordialità e gratitudine invece che viltà. Tutto questo era per loro una vita auspicabile, desiderabile e quindi era ragionevole affermare l’adesione a questo regno, così ragionevole e così corrispondente alla loro sete di felicità che arrivavano a dare la vita. Pur di affermare che a queste beatitudini Gesù li aveva chiamati, pur di rimanere fedeli a questa chiamata di felicità, pur di testimoniare la fede in un Dio così infinitamente bello erano disposti a lasciarsi ammazzare.
E’ a questa fede che anche lo scoutismo chiama, è a questa fede che lo scoutismo, essendo realtà ecclesiale, tiene e vuole proporre e quindi ci credo bene che don Romano ha visto molti frutti in questa… strada e che vale la pena investire nello scoutismo!

Commento di Gabriele Bernabini
Associazione Centro Studi Nuove Generazioni
È sempre bello vedere come a volte trovi le parole, per esprimere che ciò che stai facendo è buono. Don Romano ha esplicitato uno dei tanti aspetti per cui lo è lo scoutismo, perché oltre al lato educativo ha dei risvolti incontrovertibili e difficilmente non condivisibili sulla società, per la quale risulta una proposta sempre costruttiva e mai distruttiva.
In realtà non ho capito molto bene che taglio della discussione sugli scout, nel senso di: vogliamo parlare dell'effetto che ha sui giovani? Oppure per il valore che ha oggi l'associazione? Di come la proposta ha una vocazione strutturale per aiutare le situazioni disagiate? Piuttosto che del valore che ha come comunità di riferimento localmente radicata?
Gli spunti sono molteplici, basta capire in che direzione vogliamo parlare della cosa, dalla Fede come ha sottolineato Tiger, al valore dello stare assieme.
Ovviamente Gabri non posso che condividere la relazione che hai fatto, e per la quale ti ringrazio: molto equilibrata come osservatore esterno, ma che approfondisce correttamente nel merito. L'interpretazione è quella giusta, di un associazionismo che include, e non esclusivo, come è stata per me fino ad ora l'esperienza di essere orgogliosamente uno scout, per ciò che comporta, e non solo per l'attenzione alla signora che non riesce ad attraversare la strada. Come il mercatino ha reso possibile una relativamente piccola sinergia ed incontro, sarebbe una cosa veramente avanti intraprendere un percorso per unire tutti i movimenti sotto l'unica Fede che li unirebbe, un percorso che crei le relazioni tra i giovani che ne fanno parte, perché sono presente e futuro dell'associazionismo.
Manca purtroppo la consapevolezza dei membri che ne fanno parte, perché presuppone un'alta visione non solo del tuo agire, ma di te come parte attiva di un'associazione che vive nella città e che quindi con le sue scelte fa o meno una cosa... è un gradino che non molti raggiungono, o perché non vivono fino in fondo ciò che gli viene proposto, e non secondariamente, perché le associazioni non pensano certo a promuovere ciò, almeno non direttamente, quindi se la vita associativa non include percorsi di incontro con le altre realtà associative (altre esperienze di vita nella propria città, condivisioni, spunti per agire, relazioni interpersonali), il percorso dev'essere stimolato dall'esterno.

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