di Alessandro Ghisalberti
Ordinario di Filosofia teoretica e Direttore della “Rivista di Filosofia Neoscolastica” dell'Università Cattolica di Milano
Relazione tenuta in ambito del Progetto culturale nel 2007
Per una riflessione sulla vita del cristiano oggi e sulla possibilità di trovare orientamenti sintetici e significativi per la sua vita, occorre innanzitutto comprendere il momento storico nel quale stiamo vivendo. Nel reticolo delle relazioni che costituiscono la società di oggi, diventa estremamente difficile il discernimento dei comportamenti e dei valori a cui questi si ispirano. Tale situazione ha spesso come conseguenza sulla vita dei singoli l’impressione d’impotenza, la sensazione che il sistema abbia una sua vita alla quale ci si deve adeguare e sulla quale la mia scelta non incide. Ciò conduce spesso alla convinzione che il senso da conferire alle azioni non è qualcosa che si è chiamati a riconoscere come un valore, ma una semplice conseguenza del sistema, in cui il soggetto si sente riassorbito.
A partire da questa situazione dobbiamo domandarci chi è l’uomo e qual è il senso della sua vita; la domanda può essere formulata anche come interrogazione su che cosa implica essere cristiani oggi. Significa certamente credere in Gesù Cristo morto e risorto e testimoniare questa “Buona Notizia” all’uomo contemporaneo. Ma resta da tenere viva la ricerca su che cosa implica la testimonianza nella situazione attuale: quali le vie da percorrere? Quali valori possono conferire un senso alle scelte che siamo chiamati a compiere?
1. La verità dell’uomo e l’unicità della fede cristiana.
La rivelazione cristiana indica immediatamente un obiettivo: essa è rivolta all’uomo e si realizza chiedendo all’uomo di essere interlocutore libero. Da questa dinamica della Rivelazione viene al cristiano la consapevolezza della centralità dell’uomo. Tale centralità non è da intendere come affermazione del primato dell’individuo, ma come capacità del soggetto di riconoscere, accogliere e praticare la verità circa se stesso e il mondo nel quale vive.
In questa direzione è illuminante l’insegnamento della Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, che, al n.33, parlando della liberazione dell’uomo contemporaneo, afferma che la cura della Chiesa è rivolta all’uomo intero, che è appunto l’interlocutore della Rivelazione. Sembra che il compito oggi più urgente per il cristiano sia quello di mantenere l’uomo nella sua interezza come essere capace di riconoscere la propria verità, a fronte di correnti culturali che tendono ad estenuare tale capacità dell’uomo e a ridurre l’uomo stesso ai propri bisogni.
Da ciò deriva una conseguenza immediata: il dialogo con le culture storicamente disponibili, non deve far dimenticare che la fede cristiana, pur avendo a cuore il dialogo con esse, non si identifica con nessuna di esse. Il Regno è l’azione liberatrice di Gesù Cristo e non può essere identificato con qualsivoglia cultura, politica o assetto sociale presente nella storia umana (Evangelii Nuntiandi, nn.32/35).
In questo senso sembra evidente che non deve essere perseguita l’identificazione tra fede e politica: ogni progetto politico deve essere giudicato per la sua capacità di rispondere alla esigenza di giustizia che abita il cuore di ogni uomo, ma deve essere distinto con prudenza dalla intenzionalità ultima della fede, che è la salvezza dell’uomo e la rivendicazione della capacità di quest’ultimo di essere partner di Dio. Certamente la fede aiuta a discernere le convivenze civili che hanno a cuore la custodia di questa capacità dell’uomo, rispetto a quelle che lasciano trasparire l’idea che l’uomo è risolvibile nelle condizioni socio-economiche della sua esistenza.
2. La vita umana come fine primario
Precisamente da questa cura dell’uomo che Dio ha mostrato nella sua rivelazione in Gesù Cristo, viene la preoccupazione della comunità cristiana per la vita dell’uomo: nessun uomo, nella sua inviolabile singolarità, può diventare il mezzo per il benessere degli altri. Laddove il singolo viene sacrificato dalla tecnica per il vantaggio dei più si ha una caduta della civiltà, perché si dimentica che la civiltà sussiste dove il singolo viene riconosciuto come fine dell’azione e non come strumento di essa. Tale criterio vale per il rifiuto delle ideologie totalitariste, ma anche per la critica della mentalità tecnologica e strumentale dello scientismo attuale, che rifiuta ogni domanda sul bene dell’uomo e pretende di identificare questo bene semplicemente con il vantaggio che se ne può trarre da un certo comportamento tecnicamente regolato.
3. Primato dell’umanesimo nella vita civile
Proprio la necessità della fede di esprimersi nella costruzione di una civiltà che abbia a cuore la libertà dell’uomo, conduce il soggetto credente a delle scelte.
3. a. Da un punto di vista politico, sembra inevitabile la scelta della democrazia che, nelle sue diverse espressioni, si presenta come la struttura politica più adeguata alla salvaguardia delle libertà umane, libertà religiosa compresa. Scegliere la democrazia però non significa adeguarsi alla volontà dei più, anche quando questa è palesemente sfavorevole al riconoscimento della inviolabilità della vita umana; significa invece accettare il compito di rendere condivisibile i valori affermati dalla filosofia e ricavati dalla Rivelazione, relativi alla concezione sopra ricordata dell’uomo. Tale indicazione viene dalla convinzione che quando l’uomo cerca onestamente la verità su se stesso non può non riconoscere l’autenticità della visione antropologica che scaturisce dall’esperienza della fede.
3. b. Ancora: la comunità cristiana è chiamata a contribuire con il suo impegno alla realizzazione di una società giusta, in cui le risorse vengano distribuite equamente e ad adoperarsi affinché la solidarietà sia il legame che coagula una società civile. Questo compito viene dall’aver compreso che non è l’economia a dare significato alla vita umana, ma che è la vita del singolo a conferire senso alle attività economiche.
3. c. Da condividere è altresì l’importanza centrale per la società della famiglia fondata sul matrimonio. Il matrimonio è il gesto umano per il quale io mi prendo cura pubblicamente dell’altro; è un gesto contrattuale, pieno di profondi significati per la tenuta della società civile stessa. Nel matrimonio si impara a custodire la relazione come la forma dell’esperienza umana che realizza pienamente la libertà dell’uomo. Si mette in pratica l’indole dialogica della natura umana e si conferisce un senso pienamente compiuto alla dimensione corporale e sessuale dell’esistenza umana. Inoltre, si vive l’esperienza della generazione della vita, non come accadimento che viene a seguito di un incontro di singoli, ma che scaturisce dal progetto di vita di due persone. La forma pubblica del matrimonio è precisamente la realizzazione simbolica di ciò per cui una società umana vive: l’accoglienza, la custodia e l’educazione del soggetto.
Nella società complessa convivono diverse culture e tradizioni religiose: il dialogo con esse è auspicabile, in quanto sono l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi umani. Tuttavia tale dialogo non può prescindere dalle prospettive che sopra abbiamo delineato. Anzi, proprio circa questi temi si possono trovare terreni di confronto per la costruzione di una convivenza civile fondata sui valori che un umanesimo integrale individua e propugna, in vista del conseguimento di quella libertà, giustizia e pace che tutti gli uomini desiderano.
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